In Cisgiordania, formazione al lavoro per giovani e donne palestinesi a cura di Acli e della cooperazione italiana

Le aule apriranno a luglio: lezioni di lingua italiana, per cominciare. Seguiranno i corsi per la formazione di operatori sociali, operatori per la progettazione e per artigiani specializzati nella lavorazione del legno e della madreperla.
Il nuovo Centro di Formazione Professionale per giovani palestinesi – inaugurato a Betlemme il 1° maggio scorso, dalle Acli -, realizzato con la Fondazione Giovanni Paolo II e l’Università per stranieri di Perugia, «vuole offrire un’opportunità di formazione e d’inserimento nel mondo del lavoro ai giovani palestinesi della Cisgiordania», come spiega il responsabile e coordinatore Riccardo Imberti. Ed è finanziato dalle Acli con i contributi del 5 per mille.
La Cisgiordania rappresenta la 140esima economia del pianeta. Metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. La dipendenza dagli aiuti internazionali, soprattutto europei, è elevata. Così come la percentuale di disoccupazione giovanile: nella fascia fra i 15 e i 24 anni, del 37% per i ragazzi e del 46,9% per le ragazze, secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese.
Il progetto di sistemazione della scuola – ospitata nella Casa della Pace di Betlemme – è stato realizzato da Shadi Qumseya, un palestinese che ha frequentato l’Università per Stranieri di Perugia e si è laureato in ingegneria all’Università di Padova. «Gli aiuti ‘passivi’ non bastano – sostiene Riccardo Imberti – è importante che giovani come Shadi, completata la formazione, tornino nel loro Paese per mettere le competenze a disposizione di altri giovani».
Ogni corso prevede dai 15 ai 20 allievi ed è stato studiato per preparare figure professionali in grado di trovare impiego sul territorio. La lingua italiana è una chiave importante per chi decide di fare la guida turistica, per esempio. «Betlemme, come tutta la zona della Palestina Storica, è una meta turistica di grande interesse. Anche gli operatori per lo sviluppo avranno un ruolo determinante nella creazione di nuovi progetti. Dovranno diventare protagonisti».
Parola d’ordine, quindi, passare il testimone. Interagire. Fare rete. «Abbiamo il riconoscimento dell’Autorità Nazionale Palestinese e siamo in stretto contatto con le associazioni del territorio – continua Imberti – Vorremmo sviluppare le attività artigianali: lavorazione del legno d’ulivo e della madreperla. Per ora si limitano alla produzione di souvenir e oggetti sacri. Ma possono essere rafforzate attraverso il marketing, la creazione di website».
La Fondazione lavora già con la cooperativa di artigiani del legno, composta di 20 artigiani della Cisgiordania. Buoni risultati per entrambi. La cooperativa è riuscita a espandere il mercato in Italia mentre gli artigiani si sono messi a disposizione per il tirocinio degli studenti.

Sinergia con l’Autorità Nazionale Palestinese anche per il Mehawar Center nel villaggio di Beit Sahour, vicino a Betlemme. E’ nato due anni fa per la protezione e l’empowerment delle donne e delle famiglie palestinesi. Il centro è sostenuto dal ministero per gli Affari Sociali dell’Autorità palestinese e finanziato dalla cooperazione italiana con il supporto dell’Associazione «Differenza Donna».
La direttrice Maysoon Ramadan racconta che « Mehawar è un centro di accoglienza per vittime di violenza fisica e psicologica. Ma anche un punto d’incontro e di riferimento per le ragazze e le donne palestinesi. Lo scopo è di sensibilizzarle sui temi della violenza domestica e di genere. Di aiutarle a conquistare maggiore autonomia, sicurezza, indipendenza. I servizi offerti dalla struttura sono gratuiti. Una casa rifugio in grado di ospitare circa 35 donne anche con i bambini, uno sportello di ascolto, assistenza legale, attività di formazione educativa e professionale».

Sabina Frasca, operatrice di ‘Differenza Donna’ aggiunge: «l lavoro è fondamentale per acquisire autonomia. Molte ragazze, però, hanno bisogno di riconoscere i propri desideri, le proprie attitudini».
Per questo, nel centro sono stati attivati dei veri e propri ‘percorsi di valutazione’ con esperti dell’YMCA (Young Men’s Christian Association) o di altre organizzazioni.«Quando una ragazza fa richiesta di seguire un corso professionale preciso, ci mettiamo poi in contatto con i servizi già esistenti sul territorio di Betlemme, gestiti appunto dall’Autorità palestinese». E che lavoro vogliono fare in genere le ragazze? «La segretaria – sorride Sabina – ma anche il geometra. Spesso le più giovani chiedono di completare l’istruzione scolastica interrotta per colpa di famiglie ancora legate a tradizioni patriarcali».

di Antonella Appiano per IlSole24ore – job24.ilsole24ore.com

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