Talenti all’estero – Cristina Morea Dalle Ore, astronoma alla Nasa

Cristina Morea Dalle Ore, astronoma alla Nasa: «Qui professori e scienziati sono aperti al dialogo con i giovani. Ma devi lavorare sodo»
Una passione per stelle e galassie ereditata dal padre medico, una laurea in astronomia a Padova e un Phd a Harvard. Studio, tenacia e determinazione. Oggi Cristina Morea Dalle Ore, vive a San Francisco ed è ricercatrice alla National Aeronautics and Space Administration, un Istituto di ricerche e consulenza che lavora per la NASA.
Quando ha pensato di andare negli Stati Uniti?
Molto presto. Già all’ultimo anno dell’Università, avevo chiesto al mio professore, Francesco Bertola, di preparare la tesi all’estero. Volevo “distinguermi” dai miei compagni. Pochi astrofisici ma anche pochi posti di lavoro in Italia, già negli anni ’80. Sono andata all’University of California di Santa Cruz e ho preparato la tesi sulle “metallicità nelle galassie ellittiche” con una delle studiose più autorevoli, Sandra Faber.
Com’è stato l’impatto?
Duro. Parlavo un inglese scolastico, facevo fatica. Ma non mi sono lasciata abbattere anche grazie alla pazienza e alla disponibilità dei professori. Dopo sei mesi di studio intenso e tanti sacrifici, ho finito la tesi e sono tornata in Italia per laurearmi.
Perché non è rimasta?
In Italia c’erano poche prospettive. Non s’investiva nella ricerca. Risorse minime. Ho capito che sarebbe stato difficile esprimere al meglio me stessa, le mie aspirazioni. Mettere a frutto le qualità e farle circolare.
L’Italia “esporta” il quadruplo dei laureati rispetto ad altri Paesi Europei come la Francia, il Regno Unito e la Germania. E pochissimi di questi giovani ritorna in Patria. Non sono motivati. Lei che cosa ne pensa?
E’ un peccato, un vero “brain waste”, uno spreco di talenti. Però non posso certo criticarli. A sentire i racconti dei colleghi italiani che incontro durante i Convegni Internazionali, la situazione è peggiorata. Il taglio ai fondi per la ricerca è costante e progressivo. Molti amici lavorano in Francia, che invece sta aumentando gli investimenti nell’astronomia e offre buone prospettive.
Dopo il ritorno negli Stati Uniti che cosa ha fatto?
Ho seguito il suggerimento di Sandra Faber e sono andata a Santa Cruz, all’University of California, per il Phd, anche se avevo ricevuto una proposta dall’università di Stanford. Ci tenevo a restare con la docente che aveva creduto in me e incoraggiata. Ma nel frattempo mi ero sposata con un altro italiano “in fuga” con un lavoro a Boston. Così ci siamo trasferiti e il Phd l’ho preso a Harvard.
E vero che negli Usa i contatti, l’approccio con i professori, i luminari, sono più facili?
Confermo. Docenti, studiosi, scienziati cercano di “allevare” una nuova generazione e sono aperti al dialogo con i giovani. I rapporti sono informali, amichevoli. Poco tempo fa una studentessa del Montana si è messa in contatto con il mio capo ,tramite una e-mail, chiedendogli di collaborare. Ed è stata accettata. Naturalmente sono indispensabili doti di capacità, impegno e volontà. Devi lavorare sodo. Non ti viene regalato nulla ma ti sono offerte le opportunità. Fin dall’inizio della mia avventura americana, sono stata colpita dalla disponibilità di chi sta in alto. “Diamoci del tu” mi sentivo dire ed ero stupefatta. Nelle Università non esistono gerarchie, baronati. Ci si sente liberi. Anche gli spostamenti sono più semplici. Per motivi familiari dovevamo ritornare in California. Così dopo un colloquio di lavoro con Dale Cruikshank, un vero “guru” nel mio campo, ho ottenuto il posto di consulente per un Centro di Ricerca della Nasa. Studio i bordi del sistema solare per capire la storia e la composizione chimica del sistema.
Nessun rimpianto? In tutti questi anni non ha mai desiderato rientrare in Italia?
Un’opportunità l’ho avuta negli anni ’90. Dopo il Phd a Harvard mi è stato proposto un concorso universitario in Italia. Ma dopo aver superato lo scritto, ho rinunciato a sostenere l’orale perché accettando il posto, avrei dovuto rinunciare alle collaborazioni con gli Usa. Avrei dovuto abbandonare utto ciò che avevo costruito. La chiusura degli ambienti accademici è un altro problema italiano.
In Italia, per una donna, emergere è più difficile. E negli Stati Uniti?
Non esiste discriminazione ma senza dubbio, per ottenere risultati di un certo rilievo nella ricerca, bisogna lavorare di più rispetto a un uomo, soprattutto se si sceglie di avere figli. Però i superiori, i capi – questa la mia esperienza- si sono sempre dimostrati elastici, flessibili. Ho potuto organizzare il lavoro tenendo conto anche delle esigenze della famiglia.

di Antonella Appiano per IlSole24ore – job24.ilsole24ore.com

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