Delusione a Damasco, dopo il discorso che il 30 marzo Bashar al Assad ha tenuto alla Nazione. Nei negozi, nei caffè, è tutto un commento, un bisbiglio. Anche se le bandiere siriane sventolano ancora da tutte le finestre.
Ogni furgone che passa a suon di clacson, nei vicoli della città vecchia, è ricoperto da fotografie di Bashar. E gruppi di ragazzini si rincorrono intonando lo slogan «l’anima, il sangue per te, dottor Bashar».
LE PROMESSE DISATTESE. Tanti speravano nella conferma delle promesse fatte, la settimana scorsa, dalla portavoce Buthaina Shaaban. Aumento dei salari, pacchetto salute, permesso ad altri partiti, per ora esise solo il Baath al potere dal 1963, di presentarsi alle elezioni.
E ancora, lotta alla corruzione e abolizione dello Stato di emergenza. Invece, sul tema, il presidente si è limitato a dire «i cambiamenti, li vogliamo tutti».
«È troppo poco», si lamenta Ahmed, il fruttivendolo di Bab Salam che rimane dell’idea che siano solo parole. Qualcun altro gli fa eco ammettendo però di non essersi fatto illusioni.
MODERNIZZAZIONE IN CORSO. Delusione, sì. Ma anche un po’ di preoccupazione. «Ho ascoltato il discorso in ufficio con i miei colleghi», racconta Dana, avvocato 30enne, che incontro in un caffè del centro commerciale Sham City Center. «Ero certa che il presidente avrebbe annunciato almeno una riforma fissando una data precisa. Comunque non voglio che il Paese venga travolto da una guerra civile e non voglio nemmeno le dimissioni di Bashar. A me, e parlo anche a nome di tanti miei amici, basterebbe che il presidente continuassse con le riforme, piano piano».
E aggiunge: «Bashar ha introdotto qualche buona legge, di cui in Europa non si è neppure parlato. Per esempio quella, recente, che vieta alle donne con il niqab (il velo che copre il viso lasciando scoperti solo gli occhi) di insegnare nelle scuole».
Che Bashar abbia fatto, negli ultimi anni, passi reali verso una modernizzazione del Paese, lo conferma anche Bassam Al-Kadi. Una testimonianza interessante la sua perché Al-Kadi non è certo un supporter del presidente. Anzi.
Dopo aver militato nel Partito comunista dei lavoratori è stato arrestato e condannato a sette anni di carcere. Da 20 anni è privo dei diritti civili e non può lascire il Paese.
L’ABILITÀ DEL LEONE. «Io sono contro il regime per forza», mi dice sorridendo, «ma sono obiettivo. Bashar è stato abile nel tenere lontano gli estremisti, è bravo in politica estera. Ed è davvero popolare. I media stranieri hanno sostenuto che le manifestazioni di martedì 29 marzo pro-Bashar, qui a Damasco, sono state solo una farsa. Non è vero. Non si possono portare dal niente migliaia di persone in piazza. E ce ne sono state altre ad Aleppo, Homs, Tartous, Hama».
Hama mi sorprende. Nel 1982, nella città roccaforte del conservatorismo religioso, scoppiò una violenta sommossa antiregime, repressa con estrema durezza dal padre dell’attuale presidente. Ci furono 20 mila morti. «Ho amici a Hama. Fidati. Anche loro non vogliono il caos. Chiedono però che il regime riconosca che quella gente è morta. Per ora, ufficialmente, risulta scomparsa».
GLI INFILTRATI NEI TUMULTI. Bassam è convinto che la massa dei siriani voglia comunque Bashar alla guida del Paese. Anche se ora il presidente deve smettere con le promesse. «Deluso dal discorso? Stupito piuttosto. Poteva concedere qualcosa di più. Sarebbe stata la mossa giusta per spegnere il fuoco».
Però Bassam Al-Kadi ripete che i media internazionali riportano una versione parziale della situazione in Siria. E che nei tumulti, oltre ai dimostanti anti regime, sono anche intervenuti «gruppi armati interni» con l’obiettivo di destabilizzare la Siria. Ma preferisce tacere sulla loro identità: «Devo essere prudente», si scusa.
MANCA UN ALTRO LEADER. Alla fine della chiacchierata aggiunge: «Rivoluzione? E poi? Per ora non abbiamo un leader o un gruppo politico in grado di guidare il Paese. Bisogna lavorare per creare un’alternativa. Se davvero la Siria venisse travolta dalla rivoluzione rischiamo l’effetto Iraq».
Eppure ci sono tante organizzazioni all’estero. Per esempio quella di Yaser Tabbara, avvocato, attivista e presidente del Progetto mobiltazioni, con sede a Chicago». Bassam è scettico a riguardo: «Fuoriusciti? Parlano parlano ma non sono in grado di fare un nome».
di Antonella Appiano per Lettera43