Bisogna aver vissuto a Damasco, questo mese di marzo, per capire che c’è qualcosa di nuovo nell’aria.
Il suq di Hammidije, nella città vecchia, il mercato delle spezie di Busurje sono sempre pieni merci e di gente indaffarata. A Bab Touma, il cuore del quartiere cristiano, le ragazze guardano nelle vetrine gli abiti estivi all’ultima moda. Ma anche i nuovi cartelli con la scritta “presidente siamo con te”.
Nei caffè, l’Haretna e il Na’naa, come ogni giorno, siedono coppiette e gruppetti di amiche, musulmane con l’hijab e cristiane con jeans attillati e capelli sulle spalle, fumando narghilé e parlando fitto fitto. E fra i vicoli intricati, il solito sottofondo caotico di suoni, clacson, cantilene degli ambulanti, il richiamo del muezzin che si mescola a un coro che arriva dalla chiesa greco-ortodossa. Ma sento un rumore nuovo, il ronzio degli elicotteri militari che sorvolano la città.
- Manifestazione pro al Assad a Damasco (Ap Images)
La vivacità di Damasco si è attutita. Una sensazione percettibile solo se comparata alle settimane passate. Fino a pochi giorni fa, quando già i media italiani parlavano di «tensioni forti» nella capitale, la vita qui era invece serena, allegra, divertente.
Mostre, serate di musica affollate. I damasceni si curavano poco degli scontri a Daraa. Anche perché nonstante gli appelli dei gruppi di rivolta (presenti su Facebook) a scendere in piazza (il 5 febbraio e il 25 marzo), non era successo nulla. O quasi.
Le folle non si erano mobilitate nella capitale, anzi, venerdì 25 si è svolta fino a notte inoltrata una grande manifestazione a sostegno del presidente Bashar.
LE VOCI SUGLI SCONTRI A DARAA. Su Daraa, dunque solo voci. Prima di stupore. Poi, via via, una tam tam di commenti discordanti. Molti cittadini erano convinti di un intervento straniero. Libanesi? Israeliani? Lo “zampino americano”? Daraa è al confine giordano, quindi facilmente accessibile dall’esterno. E la Siria – situata tra Turchia, Iraq, Giordania, Israele e Libano – si trova in una posizione geografica importante per gli equilibri di tutta l’area mediorientale. La gente qui lo sa bene. Ma circolavano anche voci, più sussurate, sulla presenza in zona, di iraniani.
Un ragazzo con parenti a Daraa mi ha raccontato che lo zio aveva incontrato due uomini armati che non parlavano arabo. Ma alla mia domanda se fosse sicuro che parlassero farsi, non ha saputo, o voluto rispondere.
L’unità del Paese viene prima di tutto
E comunque la preocccupazione di tutti i giovani con cui ho parlato appartenenti soprattutto alla classe piccolo-medio borghese – studenti, insegnanti, commercianti – esprimevamo una sola grande preoccupazione: l’unità nazionale.
Perché in Siria, a differenza degli altri Paesi arabi, culture e religioni diverse hanno convissuto in pace per 15 secoli di storia.
Musulmani sunniti e sciiti, cristiani (divisi in 11 confessioni diverse), armeni, alawiti (che appartengono alla galassia dell’Islam sciita), drusi (ancora un ramo sciita ma con una dottrina che racchiude anche elementi di provenienza cristiano-orientale).
«Non vogliamo una Siria balcanizzata». È la frase che mi sento dire, ogni giorno. E il problema è reale. Che cosa accadrebbe se il Paese precipitasse nel caos?
ATTESA PER IL DISCORSO DI BASHAR. L’atmosfera è cambiata. Come se gli scontri violenti nella città di Latakia (roccaforte degli alawiti, da cui proviene la famiglia di Bashar, abitata però anche da sunniti e cristiani) e l’ingresso dell’esercito regolare avessero creato un punto di svolta.
Tutti stanno aspettando il discorso del presidente Bashar. Nasser, un negoziante di stoffe, mi ha confidato: «La rivolta si fermerà solo se il presidente dimostrerà subito di mantenere le promesse». Ma ancora in tanti hanno affermato: «Due settimane al massimo e tutto ritornerà come prima. Vogliamo le riforme ma non la rivoluzione».
La parola d’ordine ora è : «Venerdì. Venerdì, dopo la preghiera». Se qualcosa deve succere in città, succederà venerdì.
Prima di rientrare a casa ho incontrato la mia amica Malika. Sotto la calma apparente, ho intuito il suo nervosimo. «Che c’è?». «Sono appena andata in banca e qualcuno portava via i soldi in grosse buste. Ci vediamo, dopo venerdì, inshallah».
di Antonella Appiano per Lettera43