Nonostante gli appelli dei gruppi di rivolta (presenti su Facebook) a scendere in piazza non è successo niente, o quasi, anzi, venerdì in città si è svolta fino a notte inoltrata, una imponente manifestazione a sostegno di Bashar. Un corteo di automobilisti, che sventolavano bandiere o fotografie del presidente si è snodato per i quartieri. Tanti giovani. Ma anche famiglie con bambini piccoli. Bab Touma e Bab Sharqii erano invase da gente.
Un fiume di persone che poi ha imboccato Mahmoud Shehadan Khalil Street, gridando: «La nostra anima, il nostro sangue per il dottor Bashas». Certo i cortei pro-Bashar potrebbero essere stati organizzati dal governo. Però mi sono sembrati spontanei.
I manifestanti raccolti in centro città circa 200. Quindi le proteste a Damasco, ad Homs e a Qamishi nella zona nord della Siria, non stanno coinvolgendo «le masse», come è accaduto a Tunisi, il Cairo, Manama, Sanaa, Tripoli. Anche la rivolta più violenta, scoppiata a Daraa (a sud, al confine con la Giordania) e repressa dalle forze di sicurezza, causando un numero imprecisato di vittime, circa 100, rimane per ora circoscritta a quell’area.
La Siria rappresenta quindi un’”anomalia” nel quadro delle rivolte arabe. E le motivazioni sono tante sia in ambito interno che in ambito regionale. Prima di tutto il Presidente Bashar è un leader popolare. Le critiche vengono rivolte alla «vecchia guardia» corrotta come mi dice Farid, senza timore. «Il dottor Bashar mi piace ma le persone al potere sono troppo corrotte». E poco affidabili. Ancora oggi, il Presidente, sembra non si è assicurato un gruppo di alleati fedeli. «Vorremmo una Paese più aperto, più libero ma non attraverso la rivoluzione».
La sensazione è quindi che la gente non voglia rovesciare il governo, ma solo ottenere, anche attraverso dimostrazioni pacifiche, diritti incontestabili. Misure contro la corruzione e fine dello stato di emergenza (in vigore dal 1963), politiche per riforme sociali ed economiche. Bashar, giovedì, ha promesso queste riforme. Penso che per la gente – soprattutto quella che crede in lui – questa promessa rappresenti un banco di prova. «Un anno, un anno di tempo, per vedere se c’è davvero la volontà di cambiare», mi dice Mohammad che dirige un magazzino di Importazioni dalla Turchia. Ancora in ambito interno un fattore importante, è l’unità nazionale, che è molto sentita. Infatti tanti temono che i disordini di Daraa, possano essere un tentativo per dividere il Paese. Mosaico di etnie e minoranze religiose che ha convissuto finora in armonia. «Musulmani, cristiani, drusi, armeni… siamo tutti siriani». Uno degli slogan ripetuto venerdì. Un’altra «anomalia siriana». L’apertura a Internet, accessibile, anche dopo le manifestazioni di Daraa . Se è vero che non esiste stampa di opposizione ma solo di regime (Agenzia Stampa Sana-Syrian Arab Agency), tv di stato e quotidiani, filo governativi) è altrettanto vero che i giovani possono leggere on line qualsiasi testata araba o straniera. Ho verificato in diversi Internet cafè, navigando da Aljazeera alla BBC. Anche Fb -il popolare social network chiuso a gennaio durante i giorni della collera egiziana – l’8 di febbraio è stato riaperto. E proprio su Fb si è formato una dei gruppi più importanti di protesta, la «Rivolta Siriana 2011». Che informa con post giornalieri, lancia appelli, comunica gli arresti degli attivisti, commenta gli abusi degli apparati di sicurezza. Come interpretare questa decisione di Bashar? Un segnale di fiducia? O un sistema per controllare meglio? In ambito regionale e internazionale ci sono altri punti da considerare. Per esempio, i Paesi che trarrebbero vantaggio dalla caduta di Bashar (voci ipotizzano addirittura che le manifestazioni di Daraa siano state manipolate dai servizi segreti israeliani). E il fatto che Bashar, dopo 5 anni di isolamento dalla scena internazionale, sia riuscito a rientrare nel gioco della politica estera, grazie all’Alleanza del Nord”, con Turchia, Iran e Iraq. Acquistando potere e prestigio e appoggi.
di Antonella Appiano per Il Mattino