Il Paese aspetta di vedere se le promesse saranno mantenute.
Il 17 aprile la Siria ha festeggiato la festa dell’Indipendenza, la fine del mandato francese nel 1946. E gli attivisti sui social network hanno invitato «il popolo a scendere in piazza».
Nella capitale, la domenica è passata tranquillamente, nonostante si rincorressero voci insistenti di un raduno a piazza Harnous. Ma nel giardino della piazza passeggiavano solo famiglie con bambini e coppiette di ragazzi. Mentre sulle panchine gli anziani fumavano il narghilè.
LE VOCI DEGLI SCONTRI A SUD. Solo in tarda serata sono arrivate notizie di manifestazioni nelle cittadine meridionali di Suweida e Homs. Si è parlato di spari sui manifestanti da parte di uomini in borghese. Infiltrati, secondo il governo. Sostenitori di Bashar al Assad, secondo gli attivisti online.
Il mistero è fitto come sempre, le testimonianze sono contraddittorie. Impossibile stabilire la verità.
Bashar e le promesse in tivù
Intanto durante tutta la giornata non è cessato l’intrecciarsi dei commenti sul discorso che, sabato il presidente Bashar ha tenuto al nuovo governo, trasmesso in diretta dalla tivù di Stato.
Un discorso senza dubbio più realistico, pratico e conciliante di quello indirizzato alla nazione il 30 marzo. Che aveva deluso un po’ tutti.
IL NUOVO DISCORSO. Bashar al Assad ha ribadito, entro la prossima settimana, la revoca dello stato di emergenza. E ha toccato altri punti: l’economia, la disoccupazione, la possibilità si manifestare liberamente.
Hashim, un 30enne che affitta camere agli studenti, è soddisfatto. «Ho ascoltato il discorso in un caffè insieme a molta gente. E tutti lo abbiamo apprezzato. Nessuna retorica questa volta. Mi è piaciuta la sua faccia. Non era arrogante né sorridente. Anzi, ha espresso la tristezza per chi è morto negli scontri».
OPERAZIONE DI FACCIATA. La capitale resta però divisa. Se tanti hanno interpretato le parole di Bashar come reale volontà di cambiamento, altri hanno visto solo una operazione di facciata.
Sono riuscita a parlare con Alì, che partecipa al movimento per una svolta democratica. «Solo promesse. E chi mi garantisce che lo stato di emergenza non verrà sostituito da una legge altrettanto severa?».
Ad Alì chiedo della manifestazione che si è svolta a Damasco venerdì scorso. «Gente che arrivava dalla periferia della capitale. Da Douma e altri sobborghi. Il corteo è stato fermato prima che arrivasse in piazza di Abbasyyn, ma non ci sono state violenze. Per ora scende per strada solo chi non ha niente da perdere. La borghesia vive con meno problemi la mancanza di libertà. Ha soldi, un certo potere. E con i soldi si possono comprare tante cose». Alì ammette anche una certa «disorganizzazione nel movimento di protesta», e la «mancanza di una linea precisa».
«Il presidente ha riconosciuto la nuova realtà»
Chi è dalla parte di Bashar afferma che il presidente «ha riconosciuto che esiste una nuova realtà, e che la polizia e le forze di sicurezza in Siria non sono preparate a fronteggiare le dimostrazioni». «E d’altra parte», continua Munif che è attivo nella corrente pro-Bashar, «anche noi siriani non siamo abituati a manifestare».
Nella capitale sono, poi, in tanti quelli che si limitano a osservare. Non prendono posizione. E riguardo al discorso del presidente, si limitano a dire: «Non so se sia sincero oppure no. Di promesse ne abbiamo sentite tante in questi anni. Però, a questo punto, deve per forza concedere qualcosa di significativo. Vedremo».
L’ATTESA DELLA CAPITALE. Si aspetta insomma. In Siria il concetto del tempo è diverso dal nostro. E a Damasco si vive la strana sensazione che non si misuri con i giorni, i mesi, gli anni. Anche nella vita di tutti i giorni, l’impazienza di noi occidentali, non è compresa. Qui le parole che senti ripetere più spesso sono: malesh, “non importa” e bukra, “domani”.
Oggi è ricominciata l’attesa del prossimo venerdì. È l’inizio di una settimana importante per capire se il discorso di Bashar riuscirà a calmare le acque e a riportare la stabilità nel Paese.
di Antonella Appiano per Lettera43