La calma indaffarata della capitale non cancella la paura di nuovi scontri.
Due bambini siriani durante una manifestazione a Damasco in favore del presidente Bashar al-Assad, il 25 marzo scorso (Fp/Getty Images)
L’atmosfera sembra quella di un mese fa, ovunque: nel quartiere caotico Dowtown Damasco, a Saruja, fra le case rococò, costruite dagli ottomani, e nel suq dove si cammina a fatica, fino a Salihiyya, alle pendici del monte Qassioun. E nei quartieri residenziali di Abou Roumaneh, Al Rawda, fra caffé e negozi in stile occidentale. Una calma indaffarata. Traffico, via vai.
Quasi tutti, i giovani soprattutto, parlano liberamente di ciò che è successo e sta succedendo nel Paese. Sembra che la città sia divisa in due correnti di pensiero. Chi afferma: «Finalmente tutto è finito, possiamo riprendere sereni la nostra vita» e chi teme «nuovi disordini venerdì».
«Sì alle riforme ma swayye swayye, a piccoli passi»
Il venerdì è giorno di festa. Ed è facile quindi che si creino assembramenti intorno alle moschee di Damasco. Sono 15 le più importanti e affollate della capitale.
«Comincio a detestare il venerdì», confessa Dalia, che lavora in una libreria della città nuova. Musulmana, pantaloni e maglietta, capelli sulle spalle. «Riforme? Sì. Più libertà? Certo. Però, swayye swayye, un poco alla volta. E soprattutto non attraverso la violenza».
CAMBIAMENTI NECESSARI. Swayye swayye. Raccolgo tante testimonianze come la sua. Quella di Karina, per esempio. Fa la parrucchiera. È ucraina ma la sua famiglia si era trasferita in Uzbekistan. Ha sposato un siriano e vive a Damasco da dieci anni.
O quella di un pittore che incontro nel caffè della piazza di Saruja, punto di ritrovo dei giovani artisti della capitale. «Il discorso del presidente ci ha delusi. Ma bisogna anche capire la “psicologia del regime”. In pubblico, Bashar non poteva mostrare cedimenti. Ma è intelligente, sa benissimo che qualcosa è successo. I fatti di Daraa, di Latakia e, i più recenti di Douma gli impongono ormai i cambiamenti. Infatti, ha formato un comitato per studiare la realizzazione di due leggi: una per la lotta al terrorismo, e una per la revoca dello stato d’emergenza. Uno studio, d’accordo. Ma con una scadenza precisa. Il 25 Aprile 2011. E dopo venerdì, la data è stata anticipata».
In Siria laicità e democrazia sono possibili
«Questo è un regime, chi può negarlo?», aggiunge Rami. Eppure in città ci sono 32 associazioni per i diritti umani, con sedi in tutto il Paese. «Abbiamo bisogno di una riforma sanitaria? Senza dubbio. Ma voi occidentali sapete che le medicine per curare il tumore sono gratuite? Che a Damasco esistono almeno 50 centri di salute gratuiti, per le emergenze, e l’assistenza delle donne in gravidanza? Le riforme ci sono state e se il presidente continua su questa strada, credo che la Siria possa davvero cambiare nel segno della laicità e della democrazia».
Ouma, padre palestinese e madre siriana, è commessa in un centro commerciale. «I palestinesi qui vivono bene. Non abbiamo cittadinanza siriana: sulla carata d’identità c’è scritto palestinese residente in Siria. Ma abbiamo gli stessi diritti. Le stesse opportunità di studio e lavoro. Io spero davvero che non accada nulla. Di violenza, i palestinesi ne hanno vista fin troppa».
IL RUOLO DELL’ÉLITE SUNNITA. Incontro di nuovo Bassam Al-Kadi. Gli chiedo conferma di una nuova ondata di arresti nel Paese. «C’è stata. Ma non si può controllare la Siria solo con la forza. Alla fine il sistema crollerebbe. E Bashar è troppo intelligente per non capirlo. D’altra parte, il numero dei dimostranti anti-regime è sempre basso, se paragonato a quello delle rivolte in Egitto,Tunisa e Libia. Damasco ha circa 4 milioni di abitanti, 22 milioni la Siria. Anche dopo il discorso di Bashar e i fatti di Douma non possiamo parlare di una mobilitazione generale. E il rischio che una corrente islamica possa prendere il sopravvento preoccupa tutti. Non solo le minoranze che, ovviamente, stanno appoggiando Bashar Assad per l’aspetto laico della sua politica. Anche la borghesia sunnita, legata ai gruppi di potere, teme uno sconvolgimento. Per timore di divisioni interne e anche per motivi legati all’economia. Unica eccezione la minoranza curda. Ci sono state proteste a Qamishi nella zona nord della Siria. Ma gli esponenti che contano stanno aspettando l’evolversi della situazione».
Il crollo delle prenotazioni turistiche
Intanto nella città vecchia, molti insegnati privati di arabo fumano sconsolati il narghile nei caffè. «Molti studenti stranieri hanno cancellato le prenotazioni. La settimana scorsa due miei allievi sono letteralmente scappati con le valigie chiuse di fretta, all’improvviso», racconta Ahmed.
LA PRIMAVERA SIRIANA. In un grande albergo della città nuova viene confermato il crollo delle prenotazioni dei turisti. «Questa è la stagione migliore per visitare la Siria. In primavera il clima è perfetto. Aspettavamo quindici gruppi dall’Europa, ne arriveranno sei».
Davanti al Cham Palace Hotel, incontro invece una comitiva di francesi appena scesi dal pullman. «Preoccupati?». «No, siamo appena arrivati da Palmira. Nessun prolema. Una gita meravigliosa».
di Antonella Appiano per Lettera43