E dalla tivù arrivano notizie di scontri a Latakia e Daraa.
Capitale deserta. Uno scenario ormai consueto il venerdì. Ma a Damasco in questo venerdì della solidarietà a Daraa, la polizia, le guardie repubblicane e le forza di sicurezza sono presenti in maniera massiccia. E controllano le vie di accesso alla città.
Uscendo da Bab Sharqi, una delle sette porte del centro storico e percorrendo a piedi le larghe direttici Sheadah Khalil e Al Khartoun vedo passare intorno alle 12, nel giro di dieci minuti, due camionette di soldati. Un pullman di militari è fermo dietro piazza Bilal.
CITTÀ MILITARIZZATA. Poliziotti e studenti del partito Baath sorvegliano le moschee e le zone sensibili: i ministeri e la Banca centrale. Forze di sicurezza in borghese, come venerdì scorso, pattugliano le vie intorno a piazza Al Abassyn.
È l’una. Arriva un autobus carico di forze di sicurezza che mi affianca. Attiro troppo l’attenzione nelle strade vuote e devo prendere in fretta un taxi per farmi portare nella vicina chiesa cattolica di Nostra Signora di Damasco. La messa sta finendo e, all’uscita, un signore mi avverte «non vada in direzione della piazza, volti a destra».
«I siriani pagheranno il prezzo delle sanzioni economiche»
Anche la piccola moschea, all’angolo fra la piazza Bab Touma e via Al Qasse’e, appena dietro il fiume Barada, è sorvegliata dalla polizia. Dalle finestre di un piccolo caffè di fronte, la vista sulla moschea è perfetta. Ai tavoli, mentre mangiano ful e hummous, i clienti guardano con attenzione nella stessa direzione. Si aspetta la fine della preghiera con tensione.
Perché questo venerdì l’attesa è davvero grande. Snervante come non mai durante questo ultimo mese. Nella farmacia di turno, nella via centrale al Moustaqeem, il farmacista mi dice che oggi non ha un orario stabilito. «Dipende dalla situazione nel Paese e a Damasco».
LE NOTIZIE DEGLI SCONTRI. Alle due una violenta grandinata disperde le poche persone che circolano. Mi rifugio in un negozio aperto dove il televisore è acceso, sintonizzato su Al Arabyia. Chiedo informazioni. Il negoziante mi racconta di manifestazioni a Banias e Latakia. «Guardo tutti i canali, Bbc, Al Arabyia, la tivù siriana e quella libanese. Poi chiedo conferma a parenti e amici. Solo così riesco a farmi un’idea della situazione».
Farid sa delle sanzioni economiche che la comunità internazionale sta pensando di imporre alla Siria. Esprime la sua amarezza: «Non sarà chi è al potere a pagarne il prezzo ma il popolo siriano».
L’ombra preoccupante dei Fratelli musulmani
Nel primo pomeriggio, l’appuntamento è a casa dell’avvocato Siham per avere notizie e conferme. Siham è molto preoccupato. Sperava in una «mediazione pacifica con il regime. Un periodo di transizione per poter riorganizzare le forze politiche». Ribadisce i pericoli che sta correndo la Siria. «Il Libano delle divisioni confessionali e l’lraq distrutto dagli scontri settari sono il nostro incubo. L’unità nazionale è a rischio e in caso la perdessimo ci troveremo coinvolti in una guerra civile».
«SI RISCHIA LA DERIVA ISLAMISTA». Spera ancora «che si possa trovare un modo per spezzare la catena delle violenze e che la maturità dei siriani riesca a evitare le derive islamiste».
In città, verso le 17 cominciano a circolare voci sulla manifestazione dispersa con i lacrimogeni nel quartiere di Qanawat e al Midan, ma non riesco a ottenere testimonianze dirette. Sarà più facile nei prossimi giorni, secondo uno schema ormai consolidato.
Anche la dichiarazione aperta dei Fratelli Musulmani che per la prima volta dall’inizio delle manifestazioni antiregime sono usciti allo scoperto, viene commentata con insistenza. E con timore. «Pare sia una leadership in esilio ma è comunque un segnale allarmante».
di Antonella Appiano per Lettera43