Siria, la capitale si domanda chi spara sulla folla.
Nonostante Al Arabiya venerdì 15 aprile abbia dato la notizia di cortei dispersi con i lacrimogeni in un sobborgo della capitale, c’è sollievo a Damasco, dopo la notizia che a Daraa si è svolta una dimostrazione pacifica senza intervento della polizia o delle forze di sicurezza. «Per la prima volta una manifestazione non è stata dispersa o repressa», ha commentato Abdul che ha parenti nell’epicentro delle rivolte.
Il mistero dei gruppi armati
Ha vinto la linea morbida di Bashar rispetto a quella dura del fratello Maher. E l’incontro, di giovedì 14 aprile, della delegazione della città, con il presidente è stato soddisfacente. Non ha fatto promesse vaghe, questa volta. Molti nella capitale, aspettavano questo venerdì proprio per vedere che cosa sarebbe successo a Daraa. È stato un segnale importante.
Ma rimane la preoccupazione per i gruppi armati che, secondo numerose testimonianze, durante le manifestazioni «sparano sia ai dimostranti che alla polizia».
LA TESI DEGLI INFILTRATI. Fatima abita a Douma, e ha raccontato che suo padre li ha visti con i suoi occhi. Chi sono? Nessuno sa rispondere. La situazione da questo punto di vista è davvero confusa. Perché a Damasco le voci si moltiplicano, si accavallano. Bande armate sponsorizzate dall’estero. Sauditi, iracheni, libanesi. Gruppi interni di integralisti. Le ultime voci, insistenti, parlano invece di fazioni «dentro le strutture del potere ma scollegate dal regime». «Un giro di droga, riciclaggio del denaro», ha raccontato ancora Fatima, «noi, in Siria la chiamiamo mafia».
Il governo mantiene la tesi del complotto internazionale. Ma qualcuno ora tira in ballo l’opposizione siriana in esilio. I disordini di Banyas di domenica scorsa dopo un primo momento di sconcerto hanno fatto pensare infatti al coinvolgimento di milizie legate all’ex vice ministro Abdul Halim Khaddam, originario della città e in esilio in Francia dal 2005.
Negli hotel nessuna prenotazione
È stata una settimana difficile a Damasco. E densa di avvenimenti, fra cui, la formazione del nuovo governo e la protesta contro il regime di una trentina di studenti universitari della facoltà di Scienze.
Ma la capitale siriana resta a guardare, non partecipa in massa alle sollevazioni. E il consenso per Bashar rimane alto. «Alimentato dal governo o meno, il timore di scontri fra le etnie e i gruppi religiosi esiste, noi lo viviamo. Come la paura di vedere i sunniti più religiosi prendere il sopravvento», ribadisce Elias, negoziante cristiano di Bab Touma.
NEGOZIANTI PREOCCUPATI. Negli ultimi giorni, la tristezza è scesa sulla capitale. L’atmosfera in città è cambiata. I negozianti del centro storico non t’invitavano più a entrare, ma stanno seduti fuori in silenzio a bere tè. Molti scuotono la testa amareggiati.
«La situazione non si risolverà in fretta. E la Siria s’impoverirà. Il grande afflusso dei turisti è proprio a Pasqua», mi ha raccontato ieri il receptionist di un piccolo albergo elegante della città vecchia. «A Pasqua qui anche le panetterie sciite espongono le uova colorate nelle vetrine». L’albergo, ricavato all’interno di una vecchia casa damescena, è deserto Non ci sono prenotazioni. E anche i prezzi delle case e gli affitti sono crollati. Adesso si aspetta il 25 aprile. È la data promessa da Bashar per la conclusione dei lavori che dovrebbero rimuovere lo stato d’emergenza in vigore dal 1963 e sostituirlo con una nuova legge.
di Antonella Appiano per Lettera43