I siriani temono più di ogni altra cosa una deriva islamica integralista.
Un punto della situazione a Damasco città. E un po’ di chiarezza. Dopo aver letto la notizia (divulgata da media italiani e stranieri) di posti di blocco e addirittura della «presenza di mezzi pesanti» nella capitale, lunedì pomeriggio, lunedì notte e martedì ho fatto lunghi giri in pulmino, in taxi e a piedi per verificare di persona.
NESSUN POSTO DI BLOCCO. Partendo dal centro storico, ho raggiunto il quartiere di Al Mezzeh a nord est di Damasco (dove si trova, fra l’altro, l’università di lingua araba per stranieri). Con un taxi ho attraversato l’area periferica di Hali Setta Wa Samaneen ancora più a nord (che mi era stata segnalata da un attivista come zona a rischio e quindi più controllata). Ancora con un taxi sono arrivata a Bab Mosalla e a piedi ho attraversato il suq e il quartiere di Al Midan (dove venerdì c’era stata una manifestazione dispersa con i lacrimogeni).
Ho continuato a sud est, nei i quartieri di Basatene Ad Dour e Ash Shaghour Barrani. Non ho trovato nessun posto di blocco. Né tanto meno mezzi militari.
Nessuno mi ha fermato o chiesto i documenti. Lunedì sera, da sola, verso le 22 sono andata a un appuntamento con un ex esponente politico del partito comunista, e sono rientrata a casa sempre sola alle due del mattino, senza problemi.
Il timore di una deriva integralista
A Damasco, certo l’atmosfera è cambiata di nuovo. La notizia dell’esercito a Daraa – a circa 100 chilometri dalla capitale, al confine con la Giordania ed epicentro delle manifestazioni – e a Douma, sobborgo a est della capitale, ha creato sconcerto e come al solito ha diviso la città.
Una città ormai svuotata dalla presenta straniera. I pochi turisti rimasti stanno partendo in fretta e anche gli ultimi studenti sono indecisi.
CRISTIANI CON BASHAR. La minoranza cristiana, protetta dal regime garante della laicità dello Stato, continua, anche dopo gli ultimi avvenimenti, a rimanere compatta con Bashar perché teme che «le proteste vengano sfruttate da gruppi estremisti islamici».
E Salim, attivista online, di famiglia musulmana ma laico per scelta personale, esprime il desiderio di vivere in piena libertà ma anche preoccupazione. «I sobborghi di Douma e Harasta, dove si sono tenute le manifestazioni, e la stessa Daraa sono zone popolari abitate da comunità religiose sunnite. Non posso escludere la presenza di islamisti anche se la tesi è sostenuta dal regime».
GLI «STRATI» DELLA SIRIA. Una cosa è certa in mezzo al mare di supposizioni, voci contraddittorie, ipotesi, timori. Le zone periferiche della città abitate da cristiani, sciiti e drusi, come Sanahiya e Jaramananon, non hanno partecipato alle manifestazioni.
Non per ora. Impossibile fare previsioni se si vive a Damasco in questo momento. La percezione qui è diversa. «La realtà siriana è complessa. È come una cipolla. Ci sono tanti strati», dice un professore in pensione.
E anche gli esponenti dei vecchi partiti, soprattutto, dell’ex partito comunista, sono divisi sulla previsione del futuro. Cadrà il regime o non cadrà?
Se il regime resisterà è perché è il male minore
L’attivista Bassam Al- Kadi è sicuro che «fra un mese al massimo sarà tutto finito». In che senso? «Bashar resterà al potere».
Nonostante l’escalation delle proteste? E della violenza? Nonostante la presenza dell’esercito a Daraa e a Douma?
«Il regime ha mezzi potenti. Ma non sta usando solo la forza. Mantiene il consenso perché il pericolo di una deriva estremista è reale. La gente sa che in questo momento c’è un nemico in comune da combattere, gli estremisti. Salafiti. Forse Al Qaeda. Quando la Siria sarà di nuovo al sicuro, potremo proseguire con le legittime richieste».
Invece Murid è sicuro che fra cinque, sei mesi al massimo il regime cadrà. «Non siamo organizzati, ma riusciremo a unirci. Le divisioni confessionali non sono così importanti. Sono convinto che il popolo siriano sia maturo in questo senso». Intanto a Bab Touma e a Bab Salam sembra che cittadini impauriti si stiano organizzando in gruppi armati in previsione di possibili scontri.
di Antonella Appiano per Lettera43