Il prezzo della libertà – Diario da Damasco

Nelle strade presidiate arriva solo l’eco degli scontri a Homs e Hamaa.

Il presidente Bashar al Assad a Damasco in visita al monumento del Milite ignoto (© ansa)

La capitale è sotto stretto controllo militare in questo venerdì della sfida. Già da due giorni, il quartiere di Midan e il sobborgo di Douma, a 12 chilometri da Damasco, sono segnalati come sede di nuove manifestazioni.
Mahmud, un architetto disoccupato che vive nella cittadina di Adra, una decina di chilometri a nord di Douma, si offre di accompagnarmi in un giro fuori città. Da sola attirerei troppo l’attenzione.
Con un “micro”, il minibus, raggiungiamo il garage Abbasyya da dove partono i bus per Homs e Aleppo, Douma, Adra e Yabrud, la nostra meta, a una settantina di chilometri dalla capitale.
IL PRESIDIO DELL’ESERCITO. Già alle dieci del mattino la piazza Abbasyya e le vie intorno sono presidiate da forze di sicurezza in borghese e riesco anche a vedere un gruppo di militari all’interno dello stadio. Mahmud ha un paio di amici a Yabrud, dove, due settimane, fa si è svolta una manifestazione di protesta.
Lungo la strada, militari, polizia, forze di sicurezza in borghese. E sei posti di blocco. Il bus non viene fermato ma l’autista è piuttosto teso e continua a dire a Mahmud che è seduto vicino: «Shu, Shu», «guarda guarda» e indica con il dito i soldati. Anche gli altri occupanti del bus commentano sottovoce mentre le donne stanno in silenzio.

L’eco dei morti di Homs e Hama

La strada per Yabrud, importante sito archeologico siriano

La presenza di militari e polizia s’intensifica quando passiamo Harasta e Douma per scomparire ad Adra. Ma prima di entrare a Yabrud c’è un posto di blocco e, questa volta, dobbiamo fermarci.
I militari controllano i documenti, chiedono qualche informazione all’autista e dal finestrino danno un’occhiata al mio passaporto. Passiamo senza problemi.
NEL DESERTO DI YABRUD. Yabrud, ai piedi del montagne Qalamoun, al confine con il Libano, è deserta sotto il sole. «Qui c’è un importante sito preistorico, le caverne di Iskafta e la cattedrale di Costantino ed Elena. È sempre stata una tappa per i turisti, ma ora non arriva più nessuno», mi racconta Ammar, uno degli amici di Mahmud che ci aspetta in ufficio.
È ingenere, ma già dall’inizio della crisi economica globale, fatica a trovare lavoro. Ammar è stato fra i promotori della manifestazione antigovernativa di due settimane fa. «Una manifestazione pacifica. Chiedevamo solo riforme. Più libertà. E la polizia ci ha ha lasciato tranquilli. Ma tre giorni fa un mio amico è stato arrestato. Non abbiamo notizie. Siamo confusi. Aspettiamo».
«LA SIRIA NON È L’EGITTO». Che cosa succederà? «Lo sa Dio. La Siria non è l’Egitto, ma vogliamo anche noi la formazione di partiti e l’assicurazione che lo stato di emergenza non verrà più applicato. Una migliore distribuzione della ricchezza. Meno corruzione, meno forze di sicurezza».
Anche Nasser è ingenere. Ha un cugino a Douma ed è lui ad avvertirci, nel pomeriggio, che nel sobborgo non è successo niente. «Per forza è completamente controllato dalla polizia», ribatte Ammar.
OPPOSIZIONE DISORGANIZZATA. Nasser appartiene invece al gruppo di chi crede che le proteste non organizzate servano a poco e che sia meglio fermarsi per riflettere. «Abbiamo vissuto troppo tempo sotto regime», dice, «non sappiamo come muoverci. Non abbiamo una guida. Un programma da seguire».
Quindi? «Se continuerà questo stillicidio, il collasso economico è assicurato. Senza contare che oltre a chi protesta genuinamente come Ammar, c’è qualcosa d’altro. E una Siria destabilizzata, lo sappiamo, fa comodo a tanti».
Mahmud, che ha lavorato in Turchia e in Russia, è indeciso. «Vorrei che il Paese cambiasse, certo. Ma non me la sento di scendere in piazza. Damasco e Aleppo non partecipano».
MORTI A HOMS E HAMA. Durante la lunga attesa di un altro bus che ci riporti a Damasco, Mahmud fa qualche telefonata per informarsi su che cosa è succcesso nel Paese. «Scontri e morti a Homs e Hama» mi riferisce.
Sulla via del ritorno, non troviamo più posti di blocco ma nel tratto da Harasta e Douma ci sono ancora i militari. A Damasco, come ogni venerdì sera, luci, caffè aperti e gente che passeggia nel centro storico.

di Antonella Appiano per Lettera43: Il prezzo della libertà

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