Seconda parte della parabola del presidente Siriano
Dopo le promesse di riformismo all’avvento della Primavera Araba.
Bashar al-Assad diventa presidente nel 2000, dopo il lungo regno di suo padre, Hafez al-Asad, e ben presto si trova implicato in eventi regionali e internazionali fino ad essere coinvolto come altri leader mediorientali, dalle ’Primavere arabe’.
A metà marzo in Siria scoppiano le prime proteste. All’inizio la gente chiede solo ’riforme’, Non vuole la caduta del regime. Bashar è un leader popolare . Il 15 di marzo, nella città vecchia, davanti alla moschea degli Omaydi, una manciata di persone chiede appunto ihtijajat, riforme. Un corteo modesto. La gente intorno guarda stupita e non partecipa. La vita nella capitale continua a scorrere tranquilla. Ma il 18 di Marzo, Daraa ,una cittadina meridionale al confine con la Giordania, è teatro èdi una grande manifestazione. Alcuni ragazzini vengono arrestati per aver disegnato graffiti anti-regime su un muro. E il Presidente sottovaluta la gravità del gesto. Ragazzi appartenenti a un importante clan locale, chiusi nelle prigioni della polizia segreta con il governatore che insulta le famiglie.
Molti a Damasco si chiedono .”Perché non è intervenuto subito punendo il responsabile delle guardie di sicurezza?” La città si unisce intorno alle famiglie. Le proteste aumentano. Il regime reagisce con la forza e da allora gli slogan per le riforme cambiano. “Vogliamo la libertà, abbasso gli Assad”. Dopo Daraa chi non vuole ’la rivoluzione’ continua a sperare che la situazione si calmi, che il Presidente Bashar riesca a trovare un punto di accordo con chi manifesta. Aspetta con ansia i suoi discorsi alla nazione. E ogni volta Bashar delude. Sembra fare il contrario di ciò che sarebbe assennato fare. All’inizio di aprile, da il via alle riforme, ma sono solo cambiamenti di facciata. Intanto sostiene che la Siria è vittima di “un complotto”. “Infiltrati stranieri, salafiti, agenti israeliani”. La legge di emergenza viene eliminata ma è sostituita da quella antiterrorismo. Nei focolai di rivolta viene schierato l’esercito.
Le vittime fra i manifestanti aumentano di venerdì in venerdì e le forze armate di Assad sparano a chi partecipa ai funerali. Ma la stampa internazionale è bandita dal Paese e non ci sono fonti indipendenti a confermare i fatti. Le manifestazioni anti-regime si alternano a quelle a favore di Bashar che sembra procedere sulla via del cambiamento, concedendo la cittadinanza alla minoranza curda della regione di Qamishli. Ma le proteste continuano espandendosi a macchia di leopardo nel Paese.
A otto mesi dall’inizio delle rivolte, secondo i dati Onu, al 15 novembre le vittime della repressione sono oltre 3.500. Ormai in gran parte del Paese si può parlare di guerra civile. Molti oppositori ormai sono armati e si sono uniti a gruppi di disertori raccolti nell’ Esercito siriano libero. Il Cns (Consiglio nazionale siriano) il gruppo più strutturato dell’Opposizione basata in Turchia, preme per essere riconosciuto dalle Cancellerie. La lega Araba propone un piano di transizione che Bashar sembra accettare ma non rispetta. E la Lega sospende la Siria dall’Organizzazione.
Il dottor Bashar al Assad, che ha studiato all’estero, e si è presentato fin dall’inizio della Presidenza come un modernizzatore, ha rivelato un volto inaspettato. In tanti lo ritengono ’vittima’ dei clan legati al padre, dei generali, del fratello Maher a capo dei reparti scelti delle Guardie Repubblicane. Ma sarà proprio così? Nel momento in cui Bashar al Assad ha ereditato il complesso sistema autocratico creato dal padre ne ha dovuto per forza accettare le regole. E lo ha portato avanti.
Un regime non può essere riformato senza metterne in pericolo la stessa essenza. E’ vero, Bashar al –Assad, avrebbe avuto la potenzialità di diventare un nuovo leader arabo, ma, in realtà, controlla ed è controllato da una struttura che può essere modificata nell’essenza solo con la sua stessa eliminazione. Anche accettare la road map proposta dalla Lega araba, avrebbe portato alla caduta del regime. Liberando i prigionieri, ritirando l’esercito e le forze di sicurezza, il dialogo con l’opposizione non ci sarebbe stato, perché l’opposizione avrebbe vinto.
Non solo Bashar dunque, ma tutto l’apparato del regime, ha avuto in realtà solo una scelta dall’inizio delle rivolte. Cedere ’in blocco’ o reprimere sperando di vincere. Ed è di domenica 20 l’intervista che il Presidente Bashar ha rilasciato in esclusiva al ’Sunday Times’ e che conferma la sua volontà di non cedere a nessuna interferenza esterna. Anzi nell’intervista il leader siriano accusa la Lega Araba di voler favorire l’intervento armato occidentale.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Bashar a difesa del regime (riproducibile citando la fonte)