I programmi dei partiti che hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Marocco fanno della religione un elemento unificante.
Forse le ’primavere arabe’ hanno portato finalmente alla luce l’idea che la democrazia possa essere un sistema declinabile in modi diversi, seguendo il percorso storico- culturale dei popoli, delle loro necessità e radici. Non solo pensato quindi su modello occidentale.
L’importazione forzata del ’modello prefabbricato’ di democrazia imposta da George Bush è naufragata nel disastro dell’Iraq. E i danni dei pensatori americani (Samuel Huntington e il suo ’scontro di civiltà’ in testa) hanno avuto un impatto determinante nell’alimentare paure e diffidenze verso una cultura ’altra’ come quella musulmana. Per troppo tempo l’opinione pubblica occidentale è stato pilotata affinché vedesse l’Islam come un pericolo o un rimasuglio storico privo d’importanza nel panorama della globalizzazione. Da far sparire per essere sostituito appunto dal concetto di democrazia eurocentrico.
Invece il momento storico che sta vivendo la sponda Sud del Mediterraneo è proprio caratterizzata da una riconferma dell’identità che fa riferimento all’Islam come un valoreunificante. E’evidente però che questo ’Islam’ ha un forte valenza politica e non religiosa. E si legge chiaramente nei programmi dei partiti islamici che hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Marocco (rispettivamente En- Nahda e PJD, Giustizia e Sviluppo). Programmi che parlano soprattutto di sviluppo, lotta alla corruzione, alla diseguaglianza economica.
In questi Paesi ci sono nuove generazioni che vivono in maniera diversa il rapporto fra religione e modernità, generazioni perfettamente consapevoli dei rischi degli ’estremismi’ e di un tradizionalismo troppo fedele a criteri antichi. Sanno che devono far nascere una società in grado di difendere la libertà di espressione e la tolleranza. Principi che, d’altra parte, sono alla origine delle primavere arabe. Perché ’democrazia’ non significa solo libere elezioni ma anche stato di diritto, libertà civili, autonomia dei poteri, uguaglianza di genere.
Un percorso senza dubbio lungo per Paesi segnati da anni di autoritarismo e che devono affrontare un processo di ricostruzione in condizioni economiche e sociali difficili. MaBurthan Ghalium, intellettuale siriano ora a capo del Cns (Consiglio Nazionale Siriano), la principale forza politica dell’opposizione all’estero, scrisse nel 1998, nel saggio ’Islam e Islamismo. La modernità tradita’: “La democrazia non ha alcuna opportunità di esistere se non riesce a guadagnare l’adesione dei movimenti detti ’islamici’. (…..) Questa adesione resta problematica finché nella rappresentazione della propria identità tali movimenti esitano a scegliere tra vocazione politica e vocazione religiosa. Dalla maniera in cui si regolerà la questione dell’islamismo dipende ampiamente l’avvenire delle trasformazioni democratiche nel mondo arabo-musulmano“. Pare che a prevalere ora sia la vocazione politica, almeno in Tunisia e Marocco. Il modello esiste e non è quello occidentale ma quello turco che si è dimostrato capace di conciliare Islam e democrazia.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Islam-e-Democrazia/ (riproducibile citando la fonte)