I ruoli strategici dell’esercito e di un’opposizione ancora divisa decidono il futuro del paese.
’Prima notizia’ sui media del Qatar e di tutta la Stampa del Medio Oriente, la rivolta siriana è invece seguita in Italia con scarsa attenzione se non nei momenti più drammatici: gli attentati con autobombe a Damasco o l’uccisione del giornalista francese, Gilles Jacquier, reporter di France 2, a Homs, in una esplosione nel quartiere alawita di Akrama. Episodi gravi che però non vengono mai analizzati in un quadro d’insieme. Come se la Siria e le sue proteste antigovernative, in atto da dieci mesi, fossero un problema che non ci riguarda,dimenticando la vicinanza geografica con il nostro Paese e gli scenari inquietanti che la rivolta potrebbe creare in tutta l’area del Medio Oriente. Noncuranza quindi o al massimo polemica ideologica fra chi crede nel movimento popolare o chi invece segue il filone del ’complotto’ occidentale appoggiato dalle petro-monarchie del Golfo.
Due i punti importanti a riguardo. Il primo. Se all’inizio delle proteste, a metà marzo del 2011, tale ipotesi – sostenuta subito dalla leadership di Damasco – doveva essere presa in esame, è pur vero che dopo dieci mesi di manifestazioni e repressioni non è più plausibile.Come credere che un apparato di sicurezza e un esercito come quelli siriani con l’aiuto delle milizie irregolari lealiste, non siano riuscite ancora a fermare “le bande di terroristi”?
Il secondo. La rivolta popolare, che ormai si è trasformata in varie zone del Paese in una vera e propria guerra civile, rischia ora davvero di essere strumentalizzata da interessi regionali e internazionali. Il fallimento della missione della Lega Araba in Siria può aggravare l’internazionalizzazione della crisi: ipotesi di un intervento militare arabo, dopo le dichiarazioni dell’Emiro del Qatar, o di una discussione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su una eventuale azione internazionale.
Sull’intervento militare i Paesi arabi sono divisi. Se l’Arabia Saudita è favorevole come ilQatar, I’Iraq, il Libano, la Tunisia e l’Algeria, si sono dichiarati contrari. E anche l’Oman, il Kuwait e Bahrein appaiono titubanti. Il Bahrein soprattutto rischia ad appoggiare un intervento esterno, perché deve far fronte alla proteste che si sono svolte nel Paese. Al Consiglio di Sicurezza dell’Onu l’azione internazione miliare sarebbe bloccata dal veto cinese e russo( come è già successo). Ma la Russia vecchia e fedele alleata della Siria, pur rimanendo ’dalla parte degli Assad’ ha comunque messo in moto una serie di colloqui con una parte dell’Opposizione siriana, Il Consiglio nazionale Siriano. In fondo alla Russia preme mantenere i propri interessi in Siria. E sta mettendo le mani avanti.
Un altro fattore incide sulla crisi siriana. La spaccatura dell’opposizione politica. Ricordiamo che questa è ancora divisa: opposizione in patria e opposizione all’estero. In Siriasi è formato il Comitato di coordinamento Nazionale (Ccn), leader, Haytham Mannaa. All’estero c’è invece il Consiglio nazionale Siriano (Cns) con, a capo, Burhan Ghalioundocente di sociologia alla Sorbona che vive da più di trent’anni a Parigi. Il Consiglio nazionalesiriano ha sede in Turchia. Il Ccn è composto da gruppi nazionalisti e dissidenti dei partiti comunista clandestini, e fazioni di curdi che non accettano il dialogo con la Turchia. Nel Cns, invece sono affluiti, insieme a un gruppo di ’laici’, Fratelli Musulmani e altre formazioni islamiste.
Le due anime dell’opposizione non trovano l’accordo su tre punti: 1) la possibilità di un intervento militare occidentale in Sira (il Cnn è contrario, il Cns favorevole) 2) il dialogo con il regime (il Cnn è possibilista, il Cns contrario) 3) il ruolo dell’Esercito libero Siriano (Esl) composto da soldati disertori dell’esercito regolare (il Cnn è contrario, il Cns favorevole). Inoltre il Cns è appoggiato dalla Turchia e il Ccn in contatto con l’Iran. Lo scorso dicembre , al Cairo, le due formazioni spinte dalla Lega Araba e dall’Unione Europea, avevano raggiunto una intesa contro interferenze esterne.
Ma in questi giorni, Ghalioun ha annunciato che il Cns ha stretto un accordo con l’esercito Libero Siriano (che ha sede in Turchia). L’Esl è accusato dal Ccn di essere sotto l’influenza turca e di ospitare miliziani stranieri. E così l’accordo del Cairo è saltato. In sostanza esiste una netta scissione fra i dissidenti che vorrebbero rovesciare il regime senza interventi stranieri temendo un esito simile a quello iracheno o libico e dissidenti che invece richiedono un intervento militare esterno senza curarsi delle possibili conseguenze.
Una considerazione infine sulla ’guerra civile’ siriana. Si parla molto delle ’linee di demarcazione settarie’, contrapponendo sunniti, alawuiti, cristiani e curdi. Ma gli scontri non avvengono a causa della religione e delle etnie ma dello scontro politico fra il regime e gli oppositori. Fra chi sostiene il regime e chi no. Intanto il regime appare ancora saldo.Due elementi possono incidere con forza.
La reale situazione dell’esercito regolare siriano. Quanti sono i militari che hanno disertato? Sì è parlato di circa 10mila ma non è possibile confermare il dato. E il peggioramento della crisi economica. Si trasformerà in uno strumento in grado di far scendere in campo i cittadini indecisi o impauriti che non hanno ancora preso una decisione? Oppure, al contrario, diventerà un’arma del regime per rafforzare l’unità nazione in difesa del regime stesso e della Siria, attaccati da un ’complotto straniero’?
Nel mare delle ipotesi, delle valutazioni, dei possibili scenari futuri, un fatto è certo. Il dramma del popolo siriano. Le rivendicazioni per uno stato di diritto e per la libertà lo hanno trascinato ’in un grande rappresentazione’ dove per ora interpreta solo il ruolo della vittima.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Siria-rivolta-o-complotto,5750 (riproducibile citando la fonte)