Damasco – È siriano ma ha vissuto a lungo in Italia, a Siena, per studiare Storia dell’Arte Contemporanea. Artista e critico d’arte, fondatore della Biennale di Sharjah, Talal Moualla, ha lavorato negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai e a Sharjah, come Direttore del Centro d’arte arabo. Da un anno è ritornato in Siria per dirigere il nuovo Dipartimento per lo sviluppo dei Musei e dei siti archeologici del Patrimonio Culturale.
“Una squadra specializzata si trova ora nel Distretto di Qamishli, a nord, nella zona curda, dove sono stati scoperti i resti di antichi villaggi. Lo so, sembra strano, ma nel paese esiste questa doppia realtà. Certo, in alcune zone si combatte, però allo stesso tempo la vita va avanti. Tutti gli uffici e i Ministeri funzionano regolarmente, anche il Museo di Damasco è aperto”. Sorride. “Non ci sono turisti, è vero, ma torneranno. In ogni caso non possiamo permettere che le testimonianze delle antiche civiltà che si sono sovrapposte in Siria – da Ebla ai Babilonesi, dai Romani ai Bizantini, dagli arabi agli ottomani – vengano danneggiate o dimenticate. Ho proposto al Governo un nuovo piano per il mantenimento del nostro Patrimonio culturale, una delle nostre ricchezze più grandi, ed è stato accettato con entusiasmo”.
Occhiali e folta barba brizzolata, Talal Moualla afferma che “In passato questo Patrimonio non è stato conservato e valorizzato in maniera corretta” e aggiunge “c’è molto da fare, per questo, anche se ho la residenza a Dubai sono rientrato nel mio Paese”.
Guerra e cultura. Guerra, monumenti e antichità. Sembrano entità distanti fra loro eppure non lo sono. Prima di tutto perché, approfittando della situazione, molte opere d’arte possono che essere trafugate e portate di contrabbando all’estero. “Il commercio illecito di antichità sta aumentando – racconta Jean, un libanese che ha parenti in Siria – io stesso pur non essendo nel ramo sono stato contattato da una famiglia di Damasco che mi ha proposto la vendita di un antico dipinto”. E Fatima, che teme un intervento militare da parte dell’Occidente aggiunge. “Non posso dimenticare che cosa è successo in Iraq, durante l’attacco anglo-americano. Il museo di Baghdad depredato dei suoi tesori. I siti di Umma eIsin, distrutti per sempre”.
Fatima appartiene anche al gruppo dei siriani ’profughi’ in Patria. Abitava a Douma, una quindicina di chilometri da Damasco, il sobborgo a maggioranza sunnita, teatro degli scontri fra l’esercito e i guerriglieri del Free Syrian Army, nei primi giorni del mese. “Ho lasciato la mia casa già da mesi. Ora vivo dalla nonna in città”. E’ ancora Jean a raccontarmi che “un certo numero di siriani sta cercando casa a Beirut. Ho affittato appartamenti a due famiglie. C’è domanda. Qualcuno continua a rimanere in Siria però preferisce avere una piccola base anche fuori”.
Una giornalista siriana, Rana, sospira: “Stasera vado a una festa di fidanzamento. Ci si sposa, si esce, anche la sera, si cerca di vivere come prima. Però non è più come prima. Ho paura. Passo davanti a un’automobile e penso: esploderà? Due mie amici, che insegnavano arabo agli stranieri, da senza lavoro, si sono trasferiti in Francia. Chi ha parenti all’estero o doppia nazionalità, soprattutto chi ha figli piccoli sta pensando di lasciare il Paese almeno fino a quando la situazione si risolverà”. Chiedo: in che modo? Mi risponde con un sorriso imbarazzato.
Intanto il numero dei profughi siriani, secondo gli ultimi dati dell’UNHCR, (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), è salito a 90mila, di cui il 75% donne e bambini. Sono ospiti nei campi allestiti in Turchia, Libano e Giordania.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/laltra-faccia-della-guerra-in-siria/ (riproducibile citando la fonte).