Bahrain: la ’Primavera di Manama’
In Italia si sa e si parla poco delle rivolte nella piccola monarchia del Golfo del Bahrein, della risposta controrivoluzionaria del Governo appoggiata militarmente dall’Arabia Saudita. Degli interessi in gioco nell’area e dei possibili risvolti regionali. Una premessa. Nel Regno, gli sciiti sono in maggioranza (circa il 70% della popolazione), ma sono fortemente discriminati. Infatti la Casa Reale degli Al-Khalifa, sunnita, nonostante nel Paese esista un Parlamento eletto, ha mantenuto il controllo del potere. Negli ultimi anni gli Al-Khalifa hanno concesso alcune aperture politiche e avviato un processo di liberalizzazione economica. Come in molti altri Paesi arabi travolti dalle ’primavere’, anche in Bahrein, la liberalizzazione ’accelerata’ ha però causato un aumento del fenomeno della corruzione e un peggioramento della condizioni di vita. I più colpiti, gli sciiti. Le proteste sono iniziate già nel febbraio del 2011, represse subito dalla Monarchia con l’aiuto delle truppe saudite. E sono ancora in atto. L’onda lunga, di quella che è stata chiamata anche la ’Rivoluzione della Perla’ (dal nome della piazza di Manama, in cui si sono raccolti i primi assembramenti)non accenna a calmarsi. Nonostante gli arresti, le morti, gli atti di vandalismo come la distruzione di moschee. I più colpiti, gli sciiti. Le proteste sono iniziate già nel febbraio del 2011, represse subito dalla Monarchia con l’aiuto delle truppe saudite. E sono ancora in atto. L’onda lunga, di quella che è stata chiamata anche la ’Rivoluzione della Perla’ (dal nome della piazza di Manama, in cui si sono raccolti i primi assembramenti) non accenna a calmarsi. Nonostante gli arresti, le morti, gli atti di vandalismo come la distruzione di moschee. La popolazione sciita rivendica l’uguaglianza sociale, economica, politica e chiede il passaggio a una monarchia costituzionale, in cui la maggioranza sia presente in maniera equa. Infatti, in Parlamento, gli sciiti non hanno mai conquistato la maggioranza politica a causa della supremazia dei candidati e dei partiti sunniti. Per protestare ufficialmente contro questa situazione, i 18 deputati del principale partito sciita di opposizione, Al-Wifaq, vincitori delle ultime elezioni nel 2010, si sono ’autosospesi’. Fra loro, al-Wifaq, Jasin Hussein e Hadi Almossawi.
Quanti sono i membri del vostro partito e che cosa chiedono?
Al- Wifaq, fa parte di una coalizione di sette movimenti sciiti e conta una presenza di almeno 1.500 aderenti . Non vogliamo la caduta della famiglia al- Khalifa, ma soltanto democrazia, separazione dei poteri, un vero sistema parlamentare e non semi-parlamentare. In sostanza: una monarchia costituzionale con l’elezione del Primo Ministro, la formazione di un governo che rappresenti le diverse componenti della popolazione. Vogliamo la fine delle discriminazioni in campo sociale e lavorativo. Interventi per incrementare l’occupazione degli sciiti. La liberazione dei prigionieri politici e il ritiro dell’esercito saudita.
Le proteste continuano nonostante la repressione….
Continuano, ma in maniera pacifica. Siamo contrari alla violenza e all’idea di rispondere all’uso della forza con la forza. Quando a parlare sono le armi non si può tornare indietro. Stiamo cercando una soluzione politica, un dialogo nazionale.
Secondo voi qual è la posizione degli Stati Uniti?
Non hanno certo interesse in una destabilizzazione dell’area. Gli Stati Uniti stanno seguendo con attenzione gli eventi politici del nostro Paese anche perché in Bahrain è ormeggiata la Quinta flotta statunitense. Ma a questo punto sperano in una risoluzione pacifica.
I deputati non aggiungono altro ma è evidente l’importanza del Bahrein per gli Stati Uniti. Una posizione strategica per controllare lo stretto di Hormuz mentre la Quinta flotta è senza dubbio un deterrente nei confronti dell’Iran.
L’Iran appunto. E’ stato accusato, di volta in volta, di adottare una politica ambigua nei vostri confronti oppure di sostenere il ruolo di protettore degli sciiti del regno.
Noi non vogliamo una repubblica islamica come quella iraniana. Ma una democrazia. Quindi diciamo no alla ingerenze esterne.
Però anche in questo caso è indubbio che ’un controllo’ dell’Iran sul Bahrain darebbe a Tehran la possibilità di estendere il potere territoriale e la capacità di influenzare le rotte del petrolio.
Negli ultimi tempi, la famiglia regnate ha concesso la cittadinanza ai rifugiati siriani sunniti per aumentare la percentuale della popolazione sunnita, confermate?
Certo. Il processo di naturalizzazione ha interessato anche giordani, yemeniti, pakistani, sudanesi. Non siamo contro la cittadinanza concessa a chi vive e lavora in Bahrain. E’ giusto. L’importante è che non rappresenti uno strumento politico per mettere a tacere la nostra voce.
In Europa, circola molto il nome dell’attivista 25enne Maryam al-Khawaja, ci parlate di lei e del suo impegno?
Maryam ora vive all’estero. La sua famiglia ha pagato un prezzo alto per essersi esposta nelle proteste. Il padre, Abdullahdi è stato arrestato e condannato all’ergastolo. La sorella Fatima è in prigione dopo essere stata arrestata durante una manifestazione in cui si chiedeva la liberazione del padre. Maryam è molto attiva contro le violazioni dei diritti umani compiuti dalla Casa Regnante, instancabile anche se ha ricevuto delle minacce di morte, in un anno ha mandato quasi 20mila tweet sulle proteste in Bahrain. Ed è seguita da almeno 60mila persone.
In esclusiva per L’Indro (Bahrain la Primavera di Manama) riproducibile citando la fonte