ll gruppo sciita, maggioritario nel Paese, vive come una minoranza ignorata sul piano politico ed economico
“Le proteste continuano ma in maniera pacifica, siamo contrari alla violenza e all’idea di rispondere alla forza con l’uso della forza. Quando a parlare sono le armi non si può tornare indietro” avevano dichiarato, nel settembre scorso a Roma, due parlamentari dimissionari del partito sciita al-Wifaq, Jasin Hussein e Hadi Almossawi. Da allora la situazione nella piccola petromonarchia del Golfo non è migliorata. Anzi. Nell’anniversario del secondo anno dell’inizio delle rivolte (il 14 febbraio scorso) i manifestanti sono tornati in massa in piazza e il governo ha risposto duramente. Sono morti un agente di polizia e un ragazzo, il sedicenne Ali Ahmed Ibrahim Aljazeeri. Le versioni riportate dalle autorità e quelle dell’opposizione sono, ovviamente, opposte. Secondo il quotidiano britannico Guardian, “‘il capo della polizia ha dichiarato che l’agente Mohammed Asif è stato attaccato da un gruppo di rivoltosi con spranghe, pietre e Molotov. I dimostranti negano invece l’attacco e sostengono che la repressione è stata particolarmente pesante negli ultimi giorni‘. Qualcuno, di certo, ha sparato perché il sedicenne Ali Ahmed Ibrahim Aljazeeri è morto colpito da un’arma da fuoco.
In Bahrain, gli sciiti sono in maggioranza (circa il 70% della popolazione) ma vivono discriminati sul piano sociale, economico, rappresentativo. La Casa Reale degli al- Khalifa, sunnita, nonostante la presenza di un parlamento eletto, mantiene infatti il controllo del potere e, in Parlamento, gli sciiti non hanno mai conquistato la maggioranza politica a causa della supremazia dei candidati e dei partititi sunniti. Dopo due anni di proteste e le richieste di riforme, “chiediamo il passaggio a una monarchia costituzionale in cui la maggioranza sia equa”– aveva detto Jasin Hussein – aperture politiche affinché gli sciiti non vengano più penalizzati; interventi per incrementare l’occupazione, la liberazione dei prigionieri politici”. E nonostante la promessa di un ‘dialogo nazionale’, la Famiglia Reale non ha effettuato alcun cambiamento significativo. Sono comunque ripresi, il 10 gennaio, i colloqui fra la Casa Reale e l’Opposizione. Colloqui sospesi nel luglio del 2011, quando l’opposizione guidata dal partito al-Wefaq, aveva appunto abbandonato il tavolo delle trattative.
Pare comunque che delle proteste e delle discriminazioni in Bahrain non importi a nessuno in Occidente. Infatti come l’anno passato, il 21 aprile si correrà il Gran Premio di Formula 1. “Abbiamo programmato un evento lì e quindi saremo lì come l’anno scorso” ha dichiarato Bernie Ecclestone durante una sua recente visita a Dubai.
Chiamata anche la Primavera della Perla (dal nome della Piazza di Manama, la capitale in cui si erano raccolti i primi assembramenti), la rivolta in Bahrain è iniziata nel febbraio del 2011, repressa non solo dalle forze dell’Ordine della Monarchia ma anche dalle truppe inviate dall’Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti. Ma le manifestazioni non sono mai cessate nonostante i morti e gli arresti. Come finirà? Anche in questo caso gli interessi in gioco sono tanti. Un fattore di rilievo, la presenza nel Paese della IV Flotta statunitense. E il silenzio complice degli Stati Uniti sulle rivolte.
E proprio mentre le protesti s’intensificano e si radicalizzano, il ministro degli Interni Sheikh Rashid bin Abdullah al Khalifa, dichiara sull’Agenzia di Stampa Ufficiale BNA che nel Paese è stata smantellata con successo una non ben identificata ‘cellula terroristica‘ . “Otto elementi addestrati in Iran, Iraq e Libano“, precisa. È evidente che la monarchia sunnita sta accusando l’opposizione a maggioranza sciita di ricevere aiuto dall’Iran sciita. Le dinamiche settarie fanno comodo sempre. Anche in Bahrain.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Bahrain una rivolta di serie b – riproducibile citando la fonte.
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