Una rivolta popolare che si è trasformata in guerra civile e l’intervento delle forze regionali e internazionali
Uno studio dell’International Centre for the Study of Radicalisation (Icsr), realizzato al King College di Londra segnala almeno 600 jihadisti di origine europea entrati a far parte delle forze di opposizione al regime di Bashar al Assad dal 2011. Mentre il Coordinatore dell’antiterrorismo dell’Unione Europea, Gilles de Kerchove, ha dichiarato alla BBC che sono circa 500 «i cittadini europei che combattono a fianco dei ribelli». Secondo Kerchove «la maggior parte proviene da Irlanda, Regno Unito, Belgio e Francia. Non tutti loro sono radicali quando partono, ma molto probabilmente alcuni lo diventano in Siria».
Jihadisti di origine europea, un ultimo tassello nella guerra siriana, una guerra che da tempo è combattuta a vari livelli, coinvolgendo una miriade di attori locali, regionali, internazionali. La deriva jihadista è ormai evidente e potrebbe costituire un problema serio in uno scenario post-Assad. Dato che l’unico collante che tiene unite le forze jihadiste all’ESL (esercito siriano libero) – la maggior forza militare dell’opposizione – è il rovesciamento del regime.
Ma gli obiettivi finali sono diversi come ci è stato testimoniato anche da alcuni siriani esuli al Cairo. Scrive ancora Amedeo Ricucci, il giornalista di Rai 3 fermato e trattenuto al nord della Siria con altri tre colleghi, dal gruppo Jabat al Nusra: «Come mi è stato ribadito apertamente e senza tanti giri di parole da tutti i membri del gruppo che ci hanno privato per 11 giorni della nostra libertà, l’agenda politico-militare di Jabat al Nusra non ha nulla a che vedere con le aspirazioni alla libertà e alla democrazia per cui si batte da due anni il popolo siriano. A loro interessa solo l’instaurazione di un califfato islamico, nelle terre del Bilad as Sham, ed è per questo chesono accorsi in Siria, ormai a migliaia, non tanto per aiutare i “fratelli” siriani ma perché investiti di una missione divina, che hanno il dovere di perseguire ovunque si presenti l’occasione. Bashar al Assad è solo un ostacolo su questa strada: la vera battaglia per loro inizierà dopo e l’occupazione del territorio, nel nord della Siria già “liberato”, è solo la premessa per consolidare le loro posizioni».
Sul terreno, i gruppi anti-Assad sono circa una decina. L’Esercito siriano libero è composto da disertori dell’Esercito regolare siriano, ora agli ordini del generale Salim Idris, che ha assunto il grado di Capo di stato Maggiore. L’Esl, rappresenta il braccio armato della Coalizione Nazionale delle Forze siriane rivoluzionarie e di opposizione, nata nella capitale del Qatar, Doha, nel 2012. L’ESL utilizza armi sottratte alle Forze armate regolari siriane, armi fornite da Paesi vicini o comprate al mercato nero.
I Mujahidiin arabi del Golfo sono invece miliziani finanziati dall’Arabia Saudita e dal Qatar. Non mancano i mercenari croati, bosniaci e serbi. E vari gruppi di combattenti stranieri volontari come i Volontari libici, presenti in Siria, in maniera ufficiale già dal 2011 (la partecipazione di circa 500 volontari libici con supporto finanziario e armato, è stato annunciato pubblicamente dal Consiglio Nazionale libico).
Tra i salafiti, rilevante il gruppo Ahrar al-Sham che riunisce diverse sigle, circa 60 unità, attive soprattutto nelle zone di Aleppo, Idlib e Hamah.
Fra i gruppi Jihadisti, il già citato Fronte al Nusra, nato nel gennaio del 2012, senza dubbio il più efficace fra le forze ribelli. Il numero dei combattenti non è certo. Fonti dell’Intelligence degli Stati Uniti (il Paese che li ha inclusi fra le organizzazioni terroriste) stimano dai 5 ai 10 mila militanti. Il Fronte ha rivendicato 43 attacchi suicidi.
Un’altra sigla jihadista meno conosciuta è quella di Juraba al-Sham, composta da jihadisti siriani e stranieri. Secondo fonti dei Servizi segreti siriani, il gruppo era nato in funzione anti-statunitense in Iraq.
Ci sono poi gruppi armati turkmeni e curdi. Anche se non tutti i curdi siriani sono schierati apertamente contro il regime. Il PYD (Partito dell’Unione democratica) per esempio, è una formazione politica aramata curda del nord della Siria, affiliata con il PKK turco (Il Partito curdo dei lavoratori), considerato dalla Turchia, dagli Stati Uniti e dalla Unione Europea, una organizzazione terrorista. La posizione del Pyd è “ondeggiante”. Non certo a favore degli Assad ma neppure degli oppositori che il Pyd accusa di favorire la Turchia a scapito della “causa curda”.
Anche dalla frammentazione e dalla diversità degli obiettivi delle forze armate sul territorio (oltre che dalla divisione delle opposizioni e dagli interessi dei vari attori internazionali coinvolti) appare evidente quanto sia ipocrita parlare di una Siria Unita e indivisibile, democratica, rispettosa delle pluralità confessionali. Chi potrebbe ancora crederci? Sappiamo tutti che per ora, rimane un sogno. Anzi una chimera.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Chi Combatte in Siria? (riproducibile citando la fonte)
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