L’Egitto e l’Islam politico

Intervista a Massimo Campanini

 

Gli eventi  in Egitto hanno riacceso il gran dibattito fra gli studiosi sulla ‘morte dell’Islam politico’ e sulla ‘fine dei Fratelli musulmani’. Un fallimento profetizzato già da Olivier Roy agli inizi degli anni ’90 e sconfessato dalla storia. Si sa che perdere una battaglia non significa perdere la guerra. E le analisi che mostrano un Islam politico alla fine del percorso, sono certo premature.

C’è chi lo vede come un’alternativa chi ne diffida. Ma al di là delle considerazioni e dei desideri personali, è necessario ricordare che, in Egitto, i Fratelli Musulmani rappresentano un movimento organizzato e compatto, consolidato in vari strati della società: associazioni femminili, giovanili, culturali. E coinvolto in processi economici e di potere. Un movimento perseguitato e attaccato dai vari dittatori, sopravissuto a tutte le ondate di repressione e che ha dimostrato, negli anni, di aver sviluppato un sistema di anticorpi molto resistenti.

Abbiamo fatto qualche domanda a Massimo Campanini, esperto in pensiero politico islamico e docente di Storia dei Paesi Islamici all’Università di Trento.

Nonostante i Fratelli Musulmani escano indeboliti dallo scontro con le forze armate e l’opposizione laica, crede che abbiano mantenuto il radicamento nella società egiziana?

L’Islam è parte costitutiva del carattere e della formazione culturale della stragrande maggioranza degli egiziani, per cui questa fedeltà al messaggio religioso non andrà certamente messa in discussione da una sconfitta politica. I movimenti islamici si riorganizzeranno, nella Fratellanza Musulmana o anche oltre la Fratellanza Musulmana, e la necessità che l’Islam ha di esprimersi anche sul piano istituzionale e sociale troverà senza dubbio degli sbocchi ulteriori. Non bisogna poi dimenticare i salafiti, il cui radicamento popolare è tutto da verificare ma che apparentemente godono di qualche seguito.

Quali sono state le cause del fallimento, gli errori principali, commessi dai Fratelli Musulmani quando sono saliti al potere?

Prima di tutto non sono stati in grado d’interpretare  la volontà della massa della popolazione egiziana, diciamo in maniera ‘universale e trasversale’. Si sono allontanati dalle aspettative di parte dell’elettorato. E’ apparso subito chiaro che il loro diritto a governare è stato contestato da un’opposizione  frammentata, disunita ma combattiva. Per la prima volta al governo, I Fratelli musulmani,  hanno avuto senza dubbio un’occasione e l’hanno bruciata. Ma non dimentichiamo che una anno è comunque  un periodo troppo breve, insufficiente, per concretizzare una vera politica di trasformazione. In secondo luogo, i Fratelli Musulmani hanno cercato di imprimere all’Egitto una svolta autoritaria, di consolidare il potere,  con lo scopo,  probabilmente,  di accelerare quella transizione islamista che rimaneva il loro obiettivo primario. Il tentativo di Mohammad Morsi di assumere il controllo della magistratura ne rappresenta una prova. Anche  la Costituzione, approvata subito dopo, dimostrava gli errori dovuti alla fretta e all’approssimazione, e perlomeno sospetti di parzialità. Infine i Fratelli Musulmani hanno sottovalutato l’ampiezza dell’opposizione popolare che non si riconosceva nel loro progetto, e la capacità di resilienza dell’apparato militare. Il quale, ancora una volta,  è diventato protagonista ed elemento decisivo e discriminante della vita politica egiziana.

Pensa che i militari potranno pacificare le principali componenti politico religiose? E traghettare il Paese a nuove elezioni?

I militari possono, con la forza delle armi e dei carri armati, tenere sotto controllo la situazione. Ma a quale prezzo? Versamento di sangue, certo, ma anche la sconfitta in itinere del speranzoso progetto di traghettare l’Egitto verso un’autentica transizione democratica. È possibile, anzi probabile, che i militari consentano il ritorno a un governo civile e supervisionino lo svolgimento di nuove elezioni, anche libere e regolari. Ma in ogni caso cercheranno, da una parte, di salvaguardare i propri privilegi, anche economici, e, dall’altra, di mantenere il controllo del paese facendo sì che esso non deragli dai binari che loro stessi, i militari, hanno in mente.

Crede che esista un reale pericolo di guerra civile?

Il rischio di una guerra civile c’è, anche se per ora le opposizioni non sono armate come quelle libiche o siriane. Dipenderà molto da quale spazio espressivo i militari  lasceranno alle manifestazioni di dissenso. E dal senso di responsabilità dei Fratelli Musulmani che dovrebbero, potrebbero ancora una volta decidere la via di legittimazione istituzionale che avevano scelto all’epoca di Sadat e Mubarak. E poi, ribadisco, c’è l’incontrollabile variante salafita, difficile da quantificare e da giudicare.

A quanto pare i militari non hanno intenzione di lasciare molto spazio al dissenso. La scorsa notte, al Cairo sono scoppiati altri scontri, tra sostenitori del deposto presidente Mohamed Morsi e le forze di sicurezza egiziane. I disordini sono iniziati dopo l’ l’iftar, il pasto che interrompe il digiuno diurno per il Ramadan e sono proseguiti fino all’alba. Il bilancio secondo il capo dei servizi di emergenza, Mohamed Sultan è di 7  morti e 261 feriti, 400 arresti.

Ancora una considerazione. E’ pur vero che il modello turco considerato in grado di conciliare Islam e democrazia ha subito un duro colpo dopo piazza Taksim. Ma l‘intellettuale siriano Burthan Ghalium, (ex leader del Consiglio Nazionale Siriano)  ha scritto nel 1998, nel saggio Islam e Islamismo. La modernità tradita: «La democrazia non ha alcuna opportunità di esistere se non riesce a guadagnare l’adesione dei movimenti detti islamici. Dalla maniera in cui si regolerà la questione dell’islamismo dipende ampiamente l’avvenire delle trasformazioni democratiche nel mondo arabo-musulmano».

Antonella Appiano per L’Indro L’Egitto e l’ Islam politico (riproducibile citando la fonte)

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