Noura al – Ameer, hijab colorato e sorriso aperto, è vice Presidente dl CNS, il Consiglio Nazionale Siriano (National Coalition for Syrian Revolutionary and Opposition Forces). Una delle pochissime donne, fra l’altro, a far parte dell’unica piattaforma politica di Opposizione riconosciuta dalle Diplomazie Occidentali (3 esponenti femminili su 122 membri). La incontriamo al seminario organizzato dall’Istituto Affari internazionali (IAI) sul tema “Sviluppi della Crisi Siriana e recenti prospettive” dove è intervenuta insieme al Segretario Generale del Cns, Badr Jamous, e all’attivista per i diritti umani Michel Kilo.
Da Noura Al-Ameer, vorremmo sapere qualcosa di più preciso sul collegamento fra la società civile in Siria e il CNS. Perché uno dei problemi maggiori della formazione politica, che per ovvie ragioni risiede all’estero, ci è sempre parso il contatto con le forze che operano sul terreno, fra cui appunto, quelle dei movimenti di opposizione non-violenta, degli attivisti civili.
Una breve premessa. Sappiamo che in Siria, esiste una società civile impegnata nella ricostruzione del Paese (soprattutto nelle zone liberate dall’ESL) e nella lotta contro la formazione integralista dell’Isis (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) che di fatto sta agendo come forza di contro-rivoluzione perché attacca anche i civili, gli attivisti e l’Esercito Siriano Libero.
In Italia si parla poco dei Comitati civili perché i media a larga diffusione tendono a semplificare e dividono la Siria in due sezioni nette, contrapponendo il regime di Bashar al-Assad ai gruppi jihadisti radicali. E mettondo in risalto solo le notizie relative alle violenze che, come sempre purtroppo, attirano un maggior numero di pubblico e lettori. Molti protagonisti delle proteste pacifiche della prima fase delle Rivolte (iniziate nel marzo 2011) sono morti o si trovano in carcere o sono fuggiti. Ne ho incontrati alcuni, al Cairo, nell’aprile del 2013. «Raccontalo che per noi la rivoluzione era libertà e giustizia, che non volevamo le armi e la guerra e tutto questo orrore e sangue. Raccontalo o finiremo con l’essere dimenticati».
Ma c’è chi continua a operare in Siria, nonostante il pericolo rappresentato dal regime e dai gruppi jihadisti più radicali.
E come fa notare Noura al- Ameer, «si sta formando nel Paese anche una nuova generazione di cittadini impegnati, che lavorano insieme non considerando affatto la confessione di appartenenza, lo stato sociale, i clan». Di fatto questa generazione, rappresenta una realtà molto piccola, un’isola, nell’oceano di un conflitto crudele, intenso, interminabile ma non per questo va ignorata. Soprattutto perché potrebbe costituire il nucleo di un processo di riconciliazione nazionale, indispensabile quando (si spera il più presto possibile) cesserà la guerra.
Il consiglio nazionale siriano è presente in questi gruppi? E se sì, dove e come opera?
Abbiamo alcuni rappresentanti ad Aleppo, Idlib, Daraa, che vivono stabilmente in queste zone. Altri le visitano regolarmente. E’ importante seguire una linea comune. Siamo anche collegati attraverso canali d’informazione come i social media (protetti per non poter essere intercettati dal regime). Il nostro compito è formativo e operativo. Lo sforzo per ora è concentrato nel fornire servizi di base alla popolazione: acqua, elettricità, assistenza sanitaria, impiantare ospedali da campo. Insieme ai comitati locali stiamo elaborando progetti agricoli anche per la coltivazione del cotone e la costruzione di mulini per procurare la farina.
Da qualche parte bisogna pure cominciare, certo.
Ma in Siria è sempre guerra conclamata, tre anni di conflitti, 150mila morti, 6, 7 milioni di profughi interni, 3 milioni di rifugiati all’estero, infrastrutture e patrimonio artistico distrutti. Famigli divise, animi divisi. Perché venga ricostruita una Siria (unita, federalizzata è indipensabile che a parlare non siano le armi. Però, una vittoria netta sul campo, da parte di uno degli schieramenti, per ora è lontana. Anche se il regime controlla l’asse strategico Damasco – Homs – Latakya; l’esercito siriano libero (ESL) il nord ovest del paese (Aleppo e Idlib) e parte del fronte sud (Deraa e Quneitra). Molte volte, nel corso degli ultimi anni, sono state annunciate battaglie decisive, “madri di tutte le battaglie” l’ipotesi appare poco realistica.
La soluzione per far cessare il conflitto? Per Noura la soluzione può essere soltanto politica, attraverso la mediazione delle super potenze e della comunità internazionale. Come già Michel Kilo, ribatte che senza un processo di pace mediato e un governo transitorio di unità nazionale, non è possibile arrivare a un cessate al fuoco reale e duraturo, a una stabilizzazione dell’area.
La conferenza di Ginevra II è fallita, e l’Occidente preoccupato dalla Crisi in Ucraina, sembra non solo aver dimenticato la Siria, ma anche non credere più che una qualche soluzione di compromesso accettabile sia possibile. Insomma le super potenze (Russia e Usa), l potenze occidentali e regionali, dopo aver contribuito con le loro interferenze al prolungamento della guerra civile, sono indifferenti alle sorti della Siria. Eppure sappiamo bene che la guerra siriana ormai è un problema che riguarda anche noi. Chiudere gli occhi, non servirà a nessuno.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Voci della Opposizione siriana (riproducibile citando la fonte)
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