Kirkuk: peshmerga, petrolio e territori contesi

Kirkuk (Kurdistan) Iraq – Per arrivare a Kirkuk, circa 80 chilometri a sud di Erbil, lungo la Baghdad road, i check point dell’Esercito curdo, formato dai peshmerga, sono cinque. Ogni volta i documenti vengono controllati con attenzione, così come il bagagliaio dell’automobile.
Dopo l’attacco dei miliziani di Abu Bakr al- Baghdadi, respinti dai peshmerga, Kirkuk, dal 12 giugno scorso, è sotto il controllo della regione autonoma del Kurdistan. Appena gli estremisti hanno cominciato a circondare la città, i militari dell’Esercito iracheno hanno gettato le uniformi e sono fuggiti e i militari curdi hanno avuto il sopravvento sui miliziani dell’Isis.

Ma prima, la città, considerata la capitale storica del Kurdistan, faceva ufficialmente parte della Repubblica dell’Iraq. Da anni l’area è contesa tra le autorità di Baghdad ed Erbil. E si capisce il perché: Kirkuk è uno dei più importanti centri petroliferi dell’Iraq. Il suo sottosuolo nasconde quasi il 20% delle riserve di greggio dell’Iraq.

La città conta circa un milione di abitanti: curdi, arabi, turcomanni, assiri e cristiani caldei. Un centro multietnico di sicuro, anche se è difficile stabilire percentuali precise. Secondo le fonti curde, i curdi rappresentano il 70% della popolazione. Ma durante il regime di Saddam Hussein circa 250 mila curdi furono deportati dalla città e sostituiti da arabi, mentre dopo il 2003 si sono registrati spostamenti interni di curdi da altre zone a Kirkuk. Non esistono dati frutto di censimenti recenti.

Nel cuore della città, al bazar, sotto l’antica fortezza abasside, sventolano bandiere azzurre con la mezza luna bianca in mezzo, simbolo dei turcomanni, bandiere curde tricolori con il sole e bandiere irachene.

Facendo un giro di Kirkuk, si vede il palazzo dell’intelligence irachena distrutto dai miliziani dell’Isis. La città è tranquilla, anche se la presenza militare è evidente. La sede del partito Puk, il Patriotik Union of Kurdistan (l’altro partito curdo è il PDK, kurdistan democratic party) si trova nel quartiere di Rahimawa, nascosta da un alto muro che la circonda. L’ingresso è sorvegliato da due militari armati.
Ancora verifiche, telefonate, una breve attesa nel cortile, infine, superati altri accertamenti, entriamo.

A Khaled Shwani, esponente del partito, faccio qualche domanda sulla situazione politica e militare della zona.

Kirkuk fa parte dei territori contesi fra l’Iraq e la Regione autonoma del Kurdistan, ci può spiegare su quali basi fonda la disputa?
Dopo la seconda guerra del Golfo, la nuova costituzione del 2005 ha stabilito che il Kurdistan adottasse un assetto federale, assetto che ha garantito ai curdi un’ampia autonomia sulle tre provincie di Dohuk, Erbil e Sulaymaniyah.    L’articolo 140 della Costituzione irachena, prevedeva anche un processo a tappe con un referendum finale per decidere il passaggio di Kirkuk alla regione curda. Indispensabile quindi, un censimento nella provincia, per aggiornare i dati della popolazione, dal punto di vista delle etnie. Ma arabi e turcomanni hanno sempre rifiutato il censimento. In questo moment, Kirkuk è comunque, sotto il controllo della Regione autonoma del Kurdistan. Anche se sulle mappe continua ad apparire in territorio iracheno.

Come vede l’evoluzione militare sul territorio? Gli estremisti sunniti, cercheranno di annettere anche il Kurdistan al Califfato appena proclamato?
Gli estremisti non combattono da soli qui in Iraq. Gli alleati sono i membri del partito Baath sopravvissuti e parte delle tribù sunnite (soprattutto delle Provincie di Al -Anbar, Diyala e Ninive). Altre tribù sono rimaste neutrali. A livello politico, il nostro Governo ha contatti con tutti gli esponenti delle tribù più importanti. Per quanto riguarda i miliziani di Abu Bakr al- Baghdadi, non penso affatto che abbiano rinunciato all’idea di ‘conquistarci’, anche se seguono un progetto utopistico. Per questo rimaniamo in stato di allerta. Non abbiamo abbassato la guardia, anzi. Le difese sono state potenziate lungo due linee, la prima frontale a poca distanza da Hawija, occupata dai miliziani estremisti, e una seconda più interna, che corre lungo la linea che va  all’incirca da Yaichi fino alla provincia di Taza.

Vede ancora una soluzione politica per l’Iraq?
Se il Premier Nuri al- Maliki riuscisse a formare un Governo di unità nazionale, potrebbe ancora essere possibile. Però non mi sembra che le cose stiano andando in questa direzione. Sul terreno, l’Esercito iracheno fedele ad al- Maliki, pur se  rafforzato dal sostegno militare, diretto o indiretto della Russia, dell’Iran e degli Stati Uniti, registra vittorie e sconfitte, nel tentativo di riconquistare Tikrit, città chiave a Nord di Baghdad, caduta nelle mani degli estremisti, tre settimane fa. E che ora sono vicini alla capitale. Gli iracheni  scappano e si rifugiano in Kurdistan. Il cos aumenta e ogni giorno che passa , la soluzione politica si allontana.

Il vostro Presidente Massoud Barzani  ha dichiarato di aver predisposto un referendum per il riconoscimento dell’indipendenza del Kurdistan iracheno. Le circostanze sono favorevoli. Cosa ne pensa?
Aspiriamo all’indipendenza da tanto tempo. Il nostro obiettivo è di essere riconosciuti come Stato. Il Premier israeliano  Benjamin Netanyahu si è espresso positivamente. Gli Stati Uniti premono invece per un Iraq unito, la Turchia è ambigua. I tempi sono maturi, ma in questo momento dobbiamo comunque fronteggiare un’emergenza reale. I militari curdi stanno difendendo più di 1000 chilometri di frontiera dal potenziale attacco dei gruppi estremisti.

 

Per arrivare alla 15° base, lungo la seconda linea -una base che apparteneva ai militari iracheni fuggiti dopo l’avanzata degli estremisti dell’Isis (Stato islamico dell’Iraq e del Levante)  ora Is (Stato Islamico)- altri posti di blocco. All’ultimo, un militare siede in auto con noi, fino alla destinazione finale. Siamo vicino a Yaichi, dove ci aspetta il Generale Hiwa.

Robusto, la pelle bruciata dal sole dal sole, racconta che solo due giorni prima, un gruppo di estremisti ha attaccato una postazione di peshmerga,  nel villaggio di Bashir, distretto di Taza, a sud di Kirkuk, con un mortaio, ferendo sette soldati. Sono stati respinti, la situazione è sotto controllo anche se i miliziani continuano, a fasi alterne, a compire questi attacchi a sorpresa. Si muovono veloci, in gruppi di 40, 50 uomini, spostandosi di continuo lungo la linea del fronte.

Quindi l’Isis non ha rinunciato all’idea di conquistare anche l’area di Kirkuk? “L’Isis?” sorride ironico, “non c’è più l’ISIS, da domenica (ndr 29 giugno) è stato sostituito dal Califfato. Dal 5°Califfato?  Sbuffa “fanatici aiutati dalla propaganda”, però aggiunge che “certamente è il gruppo di estremisti più forte al momento, ben addestrato e bene armato, un gruppo più potente di Al-Qaida e che certo mira ad espandersi, il richiamo stesso al Califfato, ne è una prova”.

Il generale Hiwa spiega ancora che i peshmerga compiono solo azioni di difesa, mai di attacco. “Siamo qui per difendere il nostro territorio, il Califfato non avanzerà, fra noi peshermerga nessun traditore, nessun vigliacco, nessuna fuga”.

Un peshmerga mi mostra le foto di alcuni miliziani uccisi a Kirkuk e mi chiede se “il Governo italiano è  d’accordo a riconoscere l’indipendenza del Kurdistan iracheno” Mentre penso a una risposta diplomatica, sempre facendomi scorrere sotto gli occhi immagini di miliziani dell’Isis uccisi, aggiunge: “Gli Stati uniti, non sono dalla nostra parte  A me non piacciono gli Stati Uniti” e chiude di scatto la macchina fotografica.

A tre anni dal ritiro delle forze statunitensi dall’Iraq, bisogna riconoscere che il nuovo Iraq democratico è ormai uno Stato fallito. Dal caos iracheno, solo la regione autonoma del Kurdistan, sembra emergere come entità statuale, ma gli Stati uniti non lo hanno capito. O non vogliono capirlo.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Kirkuk: peshmerga, petrolio e territori contesi (riproducibile citando la fonte)


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