Basirma – Shaqlawa (Kurdistan iracheno) – Il Campo di Basirma è a circa 80 chilometri a nord- est di Erbil, nel distretto di Shaqlawa. Appare all’improvviso, dietro una curva, come un miraggio bianco disteso nella pianura secca e giallastra in mezzo alle colline. Il campo, è nato nell’agosto 2013, grazie all’intervento della Regione autonoma del Kurdistan e di Organizzazioni Internazionali, ed è ben strutturato, tranquillo. Lungo la polverosa via principale, alcune tende sono state trasformate in piccoli negozi. Tuniche e sciarpe colorate, qualche giocattolo. “La gente del campo affronta la nuova condizione di vita con molta dignità”, racconta Dino Ferracin dell’Organizzazione Internazionale Terres des hommes Italia che mi accompagna nella visita.
Sotto le tende e nelle roulotte, più di tremila siriani (3.184 per la precisione), circa 750 famiglie, 1.300 bambini. Troppo spesso leggiamo i numeri come aride statistiche, dimenticando che invece sono persone in carne ed ossa, sono vite di chi è stato travolto da un conflitto spietato in corso da oltre di tre anni. A soffrire di più, come sempre, i bambini. Bambini come Ahmad, Boran, Noura, Khaled, che mi guardano intimiditi o come Karim, Abeer, Aza che sorridono e mi prendono per mano. Bambini strappati alla proprie case, che hanno provato paure e visto orrori difficili da cancellare.
La guerra in Siria ha coinvolto un’intera generazione di piccoli e di adolescenti. Anche quando riescono a passare il confine e raggiungere zone sicure, spesso sono tristi, chiusi in sé stessi. Per loro, proprio qui, a Basirma, Terres des hommes Italia sta realizzando il progetto ‘Creating access to child friendly spaces and raising Community Awareness‘. Una sigla complessa per indicare un “doppio intervento“, spiega Ferracin, uno dei responsabili del Programma. “Il primo il riguarda un servizio di supporto psico-sociale per minori dai 4 ai 15 anni attraverso attività ricreative studiate per aiutare i bambini a superare i traumi della guerra e della fuga dal loro Paese“. E mi accompagna sotto una grande tenda, il ‘Child Friendly Space’. Una gruppo di bimbi è seduto per terra e ascolta con attenzione, Hana che legge ad alta voce una favola. Altri disegnano, scambiandosi pennarelli e fogli. “Nello spazio si fa anche attività sportiva e musica, grazie al lavoro di un team di assistenti sociali, educatori, volontari e uno psicologo“, aggiunge Ferracin. “A volte la tenda è piena a volte meno ma il nostro obiettivo è di coinvolgere nelle attività almeno 700 bambini. Vediamo i progressi ogni giorno, aggiunge indicando Hamza, un bimbetto di cinque anni, che i primi giorni era scontroso, cupo e che ora invece viene tutti giorni alla tenda e ha stretto amicizia con altri bambini“.
Il secondo intervento di Terres des Hommes, riguarda, invece, una serie di campagne di sensibilizzazione sull’igiene personale, igiene ambientale, salute, vaccinazioni per minori, educazione, lavoro minorile. «Andiamo di tenda in tenda, a spiegare alle mamme ciò che devono fare, sia riguardo l’igiene personale dei figli, sia riguardo l’alimentazione».
In Kurdistan le autorità permettono ai rifugiati siriani di uscire dai campi per cercare lavoro. Molti lo hanno trovato nei villaggi vicini e rientrano al campo solo alla sera. Altri sono riusciti ad affittare una stanza, o una piccola casa, a cominciare una nuova vita. Molti profughi, come Hana, partecipano al progetto di Terres des Hommes, dopo aver seguito un corso di formazione.
Facciamo un giro del campo, la scuola ora è chiusa per le vacanze ma incontro ragazzini con le braccia cariche di libri e una maestra, Kaother. Jeans, maglietta e hijab rosa, 26 anni, vive nel campo da dieci mesi, dopo essere scappata da Aleppo. E’ riservata. Parla sottovoce. Non vuole raccontare nulla di Aleppo, della guerra, della fuga. Il lavoro la sta aiutando a credere ancora, a sperare in un futuro migliore. “Molti siriani ospiti del Campo di Basirma sono curdi e sono stati accolti bene dalla popolazione locale“, dice Ferracin. “Si avverte un forte senso di appartenenza che lega i curdi, qualcosa che va oltre la solidarietà“.
Kamal che vive a Erbil e lavora in come receptionist in un albergo, conferma: “l’identità curda e il senso di unione vanno oltre le barriere e le divergenze che possono esserci state nel passato. E ora il pericolo rappresentato dal ‘Califfato‘ e dai gruppi estremisti ha rafforzato il legame tra le popolazioni curde siriane e irachene“. I curdi erano la più grande minoranza etnica in Siria e rappresentavano il 10 per cento dei 22 milioni di abitanti del paese e vivevano soprattutto nella regione nordorientale, vicina alla frontiera con l’Iraq e la Turchia.
Kamal ha lasciato Qamishli con la moglie e 3 figli, nel 2012 ed è arrivato nel Kurdistan attraverso il valico di Sahela.
I siriani continuano a scappare e nella regione i rifugiati sono ormai 270 mila, almeno quelli registrati ufficialmente. C’è anche chi, come Hamza, 18 anni, che lavora nello stesso albergo di Kamal, è arrivato senza passaporto, senza nulla. “Non sono curdo, arrivo da Homs. Sono scappato quando la città era bombardata dall’Esercito di Bashar. Non avevamo da mangiare, anche l’acqua scarseggiava. Un giorno, mentre ero in cerca di cibo, la mia casa è stata distrutta. Ho perso tutto anche due fratelli“. “A metà agosto 2013, il Governo regionale curdo ha riaperto la frontiera a Peshkhabour, sul fiume Tigri, chiusa a maggio del 2013 e sono arrivati altri siriani, continua Kamal, che è in stretto contatto con la comunità di espatriati. Qui stiamo bene ma la situazione in Iraq ci preoccupa. Ancora guerra“. Per Mahmud, ex insegnante d’inglese a Deir al Zor, che ha fatto parte dei rivoluzionari della prima ora, non armati “in Siria governeranno tanti signori della guerra, fra cui Bashar al- Assad e gruppi di estremisti del Califfato“. E’ drastico: “No, non c’è futuro per la Siria“.
Antonella Appiano in esclusiva perL’Indro: Siriani nel Kurdistan iracheno (riproducibile citando la fonte)
Per approfondire:
- Kirkuk: peshmerga, petrolio e territori contesi
- La guerra pacifica del Kurdistan
- ‘Meglio ISIS che il Governo’
- La terza guerra d’Iraq