L’occhio dello straniero vede solo ciò che già conosce (proverbio africano).
Verissimo. Quanti espatriati occidentali non interagiscono con la cultura, le tradizioni, le abitudini, la cucina del Paese in cui sono andati a vivere? Molti, credetemi. Soprattutto chi non ha scelto la “nuova patria” ma ci si è ritrovato per caso, seguendo opportunità di lavoro (proprie) o del marito.
Per me è diverso, senza dubbio. Ho scelto l’Oman, come qualche anno fa avevo scelto la Siria. Ammetto quindi di rappresentare “un caso a parte”. E riconosco sempre gli occhi stranieri che si posano distratti e indifferenti su mondi che invece mi affascinano, mi attraggono, mi spingono ad approfondire, a capire. Penso sempre: «Che spreco. Hai il privilegio di fare questa esperienza e invece vivi qui come potresti vivere a Milano, Londra, Parigi, mangiando solo in ristoranti occidentali, acquistando solo cibo esportato dal tuo Paese di origine. Non degni di uno sguardo le mostre d’arte; gli abiti che stilisti locali propongono; non provi ricette nuove, non sai nulla della storia e non vuoi saperne nulla».
Intendiamoci. Non sono ammalata di “orientalismo” e non voglio affermare che, per esempio, vivendo in Oman ci si debba trasformare in Omaniti… Tutti (chi più chi meno) abbiamo radici; ognuno di noi proviene da una cultura (che può amare oppure no) ma che fa parte di noi. Anche se sono convinta che non ci si debba mai fossilizzare, adagiare nelle proprie abitudini e consuetudini ma impegnarsi in una continua ricostruzione dei valori, delle certezze. Disapprovo quindi soprattutto l’indifferenza, il rifiuto. O peggio ancora, il senso di superiorità di molti Occidentali.
E se in alcuni Paesi africani o arabi è necessario abitare nei *compound, riservati appunto agli Occidentali, in altri, come l’Oman, non lo è affatto. I miei vicini di casa, a Masqat (lo so tutti hanno accettato ormai la traslitterazione Muscat, ma è sbagliata) sono Omaniti, Indiani, e una famiglia sudanese. Perché appunto vivo in un normale quartiere della città. Il supermercato più vicino si chiama “Mars”, e appartiene a una catena di supermercati indiani. Se voglio vado al “Carrefour” certo, ma non sento il bisogno della marmellata, dei biscotti o del pane francese o italiano. In Oman per esempio ho scoperto con soddisfazione che il Chapati, il pane indiano cucinato senza lievito, è buonissimo, non fa “gonfiare” e ne posso mangiare a chili! La spesa alla sera tardi…gli ipermercati e i Mall sono aperti fino alle 22 e la mia lavanderia chiude a mezzanotte!
Ho raffinato l’arte di mescolare le ricette in versioni personalizzate (pollo con cannella e miele per esempio, polpette alla irachena e il mio speciale riso byriani) ; nel suq ho scoperto e sperimentato nuove spezie; ho imparato a bere il caffè omanita accompagnato dai datteri.E se mi viene voglia di un espresso, si trova ovunque un “Costa caffè” pronto a proporlo in versione “ single”, o “double”, in tazza o nel bicchierino di carta per berlo camminando. Masqat si trova appena sotto il Tropico del Cancro. Il sole tramonta alle 17,30 circa. Alle 18 è già buio. Mi sono sono adeguata quindi ai ritmi omaniti. Sveglia al mattino presto per godere una passeggiata sulla spiaggia ombreggiata dalle palme. Al mattino, prima di uscire, accendo la carbonella sotto l’incenso che profumerà la casa per tutto il giorno. E pare abbia anche effetti terapeutici, rilassanti. Se una tradizione è piacevole e salutare perché non dovremmo assorbirla anche se non è la nostra?
*Compound: zona di villette o appartamenti con piscina, palestra, centri commerciali riservati agli occidentali; una specie di villaggio sé stante.
Fotografia di Antonella Appiano: in alto a destra Caffè Omanita, in basso Incenso, Chapati