Ma le donne…
Mille e una donna: lo Yemen al femminile
Sono passati 6 anni da quel giorno. Era il 12 giugno 2009 quando, a Roma, ho conosciuto quattro scrittrici e paladine dei diritti delle donne yemenite. Rileggere le loro dichiarazioni, speranze, fa male oggi. Lo Yemen è in guerra. Ma è giusto rivedere il passato. La storia,
No Violence – Isola del Cinema – Roma 9 luglio
Ieri sera presso l’Isola del Cinema – Isola Tiberina – Roma, ho partecipato, come testimonial, al lancio nazionale della campagna NO VIOLENCE.
NO VIOLENCE è un progetto fotografico di Michele Simolo contro la violenza sulle donne, nelle fotografie sono rappresentate ricostruzioni di sofferenze femminili in seguito a violenza. La mostra itinerante collegata al progetto è stampata e gestita dall’Associazione laziale Occhio dell’ Arte con la direzione artistica di Lisa Bernardini.
Donne e spiritualità – Giornata internazionale della Donna – Roma – 15 marzo 2014
In occasione della Giornata Internazionale della Donna parteciperò come relatrice all’incontro pubblico “Donne e spiritualità“, organizzato da Admi -Associazione Donne Musulmane d’Italia.
Vi aspetto sabato 15 marzo alle 16 presso Scuola Media Statale San Benedetto in Via dei Sesami 20 – Roma.
Il mio intervento riguarderà le mie esperienza sul campo, raccontando le testimonianze di chi, come Hoda mi ha detto: “Sono credente e profondamente convinta che esista una dimensione trascendente, spirituale della vita. Ma come ho reagito quando la guerra mi ha messo a dura prova? Che cosa ho provato?”.
Su carta e via web la voce delle donne saudite
Samar al-Mogren è stata la prima donna saudita a dirigere una sezione non femminile di un giornale. Ma è stata costretta a dimettersi. Ora lavora per il magazine kuwaitiano ’Awan’, con sede negli Emirati Arabi, e milita per i diritti delle donne nel suo Paese, soprattutto per quelli delle detenute. Sull’argomento ha scritto articoli e rapporti ma perché la sua denuncia avesse più forza e più eco ha scelto anche la via del romanzo. Così ha raccontato la condizione e storie di vita delle donne nelle carceri saudite nel libro ‘Donne del peccato’ (Castelvecchi editore per l’Italia).
Samar punta il dito contro la Commissione per la promozione delle virtù e prevenzione del vizio, un organismo nato nel 1926 che si avvale di una vera e propria ‘polizia religiosa’. I diecimila agenti controllano che i precetti dell’Islam wahabita siano rispettati nel Regno, colpendo uomini e donne quando ritiene che idee e comportamenti non siano conformi alla Shari’a. Ma nell’occhio del mirino ci sono soprattutto le donne. I poliziotti religiosi per esempio possono seguirle per strada, chiedere di coprirsi i capelli che spuntano dal velo, a volte il viso. Arrestare chi – secondo loro- si macchia di colpe contro la morale.
Come scrive Mirella Pecoraro nella rivista di letteratura araba ‘Arablit’, “in Arabia saudita la società si destreggia tra un rigido attaccamento alla consuetudini religiose e la modernizzazione tecnica ed economica che ha favorito una lenta e graduale trasformazione dei valori tradizionali. Un Paese di contraddizioni in cui vi è una netta separazione tra la compagine femminile e maschile, sia in ambito privato, che lavorativo o sociale”.
Giornaliste e scrittrici come Samar si battono ogni giorno proprio contro ogni forma di violenza e discriminazione nei confronti delle donne del Regno. “La letteratura infatti – come scrive Isabella Camera d’Afflitto nell’introduzione alla raccolta di racconti di scrittrici saudite da lei curato ‘Rose d’Arabia’ (edizioni e/o) – nei Paesi in cui non esiste ancora una partecipazione politica delle donne, viene trasformata in foro”.
La narrativa diventa quindi un mezzo di espressione e una ‘cassa di risonanza’ per chi si fa paladina di nuove istanze. Di cambiamento, rinnovamento. Come Badriyya Al-Bashar, un’altra scrittrice saudita. Nata a Riyad, un Master in Sociologia presso la King Saud University e un dottorato di ricerca all’ l’Università Americana di Beirut. Badriyya, che ora insegna al dipartimento di Studi sociali della King Saud University, ha scelto infatti la scrittura per raccontare e far conoscere una realtà a volte contraddittoria e comunque misteriosa come quella dell’Arabia Saudita. Illuminate un suo racconto ‘La bidella’, tradotto in italiano nella citata raccolta.
Poi c’è la cronaca certo. C’è Internet che diffonde rapidamente le notizie. Recente (13 giugno scorso) quella delle attiviste saudite che hanno rilanciato la campagna per conquistare il diritto di guidare. Un diritto che non è negato, in questo caso, dalle leggi del Paese ma da tradizioni e consuetudini sostenute da ambienti religiosi e conservatori. Per farsi sentire le promotrici hanno messo in Rete una Petizione con lo scopo di raccogliere firme, prima di presentarla al re Abdullah .
Il 17 giugno scorso la Campagna per le donne al volante ha compito un anno. Tra le firmatarie Sheima Jastaniah, condannata a dieci frustate per aver sfidato il divieto e graziata dal sovrano, nel novembre dello scorso anno. E Manal al Sharif, arrestata nel maggio del 2011 dopo aver messo su Youtube un video che la riprendeva mentre guidava l’auto e rimessa in libertà dieci giorni dopo.
Nella petizione si chiede al Re Abdullah di appoggiare la campagna ‘Guiderò la mia auto’, sottolineando che questo diritto è negato alle donne solo in base “a costumi e tradizioni che non derivano da Dio”. Manal ha scritto sul suo blog “Il movimento è la prima goccia che scatena la pioggia, ma senza donne consapevoli e disposte a pagare un prezzo, e senza il sostegno di tutta la società civile, la lotta sarà lunga e incerta”.
Le battaglie sono comunque difficili quando la tradizione è più forte della legge o della religione stessa, e questo purtroppo accade ancora in molti Paesi musulmani. E non solo.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/su-carta-e-via-web-la-voce-delle-donne-saudite/ (riproducibile citando la fonte).
Le donne musulmane che scendono in campo.
Maria Grazia Silvestri, autrice del documentario ’Islam/women emancipation via sport’: “non basta giudicare dal velo”.
Una laurea in giurisprudenza nel cassetto e una passione profonda, quella per le arti marziali, che l’ha portata in giro per il mondo a fissare in uno scatto immagini significative, a filmare testimonianze, storie. Maria Grazia Silvestri, racconta sorridente, con entusiasmo, come il suo lavoro le abbia permesso di vivere da vicino ’uno spaccato’ del mondo femminile musulmano sconosciuto ai più.
Com’è nata l’idea?
Ho cominciato a chiedermi se le donne musulmane praticassero lo sport con limitazioni, e quali fossero. E se lo sport potesse, al contrario, invece rappresentare un veicolo di emancipazione.
Da dov’è partita la sua ricerca?
Dalle mie attività sportiva di elezione, le arti marziali. La Federazione Mondiale è molto severa e proibisce d’indossare gioielli, ornamenti, cappelli. Come potevano quindi praticare questa disciplina le atlete che indossavano l’hijab? ( n.d.r. il foulard che copre solo i capelli lasciando scoperto il viso). Avevo alcune amiche egiziane e le ho contattate. Sono andata a vivere a Il Cairo.
E che cosa ha scoperto?
La questione del velo in occidente è spesso affrontata con un atteggiamento ’che giudica’. Se invece ci si avvicina al tema solo per capire, per sapere, le ragazze e le donne musulmane sono molto disponibili. Raccontano, spiegano. Nadia e Shaymaa, campionesse di Karate, per esempio, indossano l’hijab nella vita di tutti i giorni e lo tolgono durante gli allenamenti e le competizioni. Non si sentono in “contraddizione”, sono serene.
In Egitto le donne vantano il numero maggiore di conquiste sportive mondiali. Sono quindi incoraggiate a praticare queste discipline?
Sì, la mia ricerca ha portato alla luce che le famiglie e gli allenatori sono molto aperti e ’battono su questo tasto’ : potete rispettare i dettami religiosi o comunque tradizionali e nello stesso tempo conquistare onore e gloria per il vostro Paese. Salire su un Podio nei mondiali è una conquista personale ma anche, di riflesso, della nazione di appartenenza.
Maria Grazia, queste atlete le ha conosciute bene. Sono ragazze che studiano, qualcuna è fidanzata…Che cosa l’ha colpita di più?
Un fatto che viene sottovalutato. Chi proviene da famiglie povere, o comunque modeste, attraverso lo sport, conquista anche la possibilità di guadagnare, per mantenersi agli studi, per comperare una casa. E l’opportunità di viaggiare, conoscere il mondo, altre culture. Di aprirsi quindi, di confrontarsi.
Importanti le parole, l’esperienza e l’impegno di Maria Grazia Silvestri. Ma se in Egitto lo sport femminile è vissuto ’al positivo’, ci sono altri Paesi invece, come l’Arabia Saudita, per esempio, che mantengono un atteggiamento di chiusura.
Il 4 aprile scorso, il Principe Nawwaf al –Faisal, Ministro dello Sport e presidente del Comitato Olimpico saudita, in una conferenza stampa a Jedda, ha dichiarato: “Lo sport femminile non è mai esistito nel nostro paese e non abbiamo intenzione di muoverci in questa direzione“.
Infatti, il 27 luglio prossimo, all’inaugurazione dei Giochi Olimpici di Londra, la squadra dell’Arabia Saudita, ultraconservatrice monarchia wahabita, sfilerà senza atlete donne – a meno di novità dell’ultimo momento, fortemente improbabili.
Nel Paese secondo un rapporto di Human Rights Watch, le donne che vogliono fare sport sarebbero scoraggiate: palestre chiuse, mancanza di strutture nelle scuole femminili, addirittura ’raid’ delle autorità per spaventare le sportive. Eppure ai Giochi Olimpici della Gioventù del 2010, a Singapore, un’atleta saudita, la cavallerizza Dalma Rushdi Malhas, aveva partecipato e vinto la medaglia di bronzo nel salto a ostacoli.
Una nota positiva. Il Qatar ed il Brunei,, che fino ad ora avevano proibito alle atlete di partecipare alle Olimpiadi per motivi culturali e religiosi, quest’anno hanno detto sì.
Il video-documentario “Islam/women emancipation via sport“ in lingua arabo/inglese di Maria Grazia Silvestri è presentato da X-Kombat in collaborazione con il Robert F. Kennedy Center
Islamic Week Round Table
di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Le donne islamiche che scendono in campo, riproducibile citando la fonte.
Dopo le Primavere arabe, Parlamenti più “rosa”
Quote rosa, si o no ? Uno sguardo ai recenti risultati in Algeria, Tunisia ed Egitto.
In politica, ’quote rosa’ sì oppure no? In Italia, in questi ultimi anni, le diverse proposte di legge hanno provocato polemiche e schieramenti trasversali favorevoli ed apertamente contrari. Secondo molte italiane infatti, le ’quote rosa’ – percentuali minime fissate per legge di presenza femminile imposte all’interno di organi elettivi – riflettevano un deterioramento della posizione della donna. Se c’è parità infatti, la presenza femminile nel Parlamento dovrebbe essere qualcosa di ovvio, così come è per la rappresentanza politica maschile.
Ma qual è la situazione nei Paesi arabi coinvolti nelle Primavere? Che cosa è cambiato per le donne in politica? In Algeria, il presidente Abdelaziz Bouteflika, dopo aver ha introdotto le ’quote rosa’ in Parlamento (nel novembre 2011) ne ha visto i risultati dopo le elezioni del 10 Maggio scorso. Le elezioni – vinte dal FLN (Front de Libèration Nationale) del presidente che ha ottenuto 220 dei 462 seggi- hanno portato infatti ’alla vittoria’ ben 148 parlamentari donne, cioè il 31,39% dei deputati. Un terzo dell’Assemblea Nazionale.
Nel Paese le donne rappresentano il 53% della popolazione, e sono già da tempo presenti nel mercato del lavoro occupando anche posizioni di rilievo in società pubbliche e private. Il codice di famiglia algerino non è adeguato però e le neo-deputate hanno già ricevuto molte richieste perché si uniscano, superando barriere politiche, nell’interesse delle donne. Uno scenario che punta ad un’azione unitaria per una leadership femminile nel mondo arabo.
E le ’quote rosa’ sono state istituite anche in Egitto. La nuova legge (approvata nel giugno 2011) definisce il limite minimo di 64 posti ’al femminile’ disponibili su 508. Attualmente le donne in politica sono poche. E la proposta delle quote rosa obbligatorie è stata fortementecaldeggiata dal Consiglio nazionale per le donne. Lo slogan promozionale: “Compagne nella vita, compagne in Parlamento”. Così come in Italia, la legge ha provocato aspri dibattiti.Per i sostenitori è l’unico modo per garantire la presenza femminile , per i detrattori solo un modo per ’ghettizzare’ le donne egiziane.
In Tunisia, le elezioni del 23 ottobre scorso le ha vinte il partito islamista, En-Nahdah: la tornata elettorale ha visto una buona rappresentanza politica femminile. Presenti al 50 per cento nelle liste elettorali grazie ad una legge ’post-primavera’ più avanzata di quella italiana, le signore della politica tunisina, sono state presentate però soltanto per il 5% come capilista.
Insomma, la storia si ripete. E’ necessaria parità nella vita, nel lavoro, nella politica. Cioè, uguaglianza. Stessi diritti, stessi doveri, stesse opportunità. C’è ancora molto da fare, e non solo nei paesi arabi. Donne colte, preparate, istruite. Ma riusciranno ad emergere in politica? In questo caso, meglio non guardare all’Italia come esempio.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/dopo-le-primavere-arabe-parlamenti-piu-rosa/ (riproducibile citando la fonte)
La Donna, l’Occidente, l’Islam – 24 Maggio 2012 – Mediagallery
L’intervento di apertura della Dott.ssa Antonella Appiano – relatrice e coordinatrice del Convegno
[nggallery id=12]
Le foto, dalla n. 11 alla n. 13 sono del fotografo ufficiale della manifestazione Raimondo Luberti che si ringrazia per la disponibilità alla pubblicazione.
Il trailer del film by X-Combat/Maria Grazia Silvestri