Multiculturalismo
Salutami Damasco
Oggi parliamo di Siria. Di una storia legata alla Siria. Di musica e di due artisti siriani. E di un produttore musicale “caparbio” che ha seguito un sogno finché non è riuscito a realizzarlo.
Globalizzazione e Meticciato
Qualche riflessione. Semplci spunti. Una nuova globalizzazione o mondializzazione è in atto. Inutile negarlo o “fare muro”. D’altra parte il processo di incontro e fusione di culture diverse (molti studiosi ora lo chiamano meticciato) ha sempre accompagnato la storia umana. Già Seneca,
Istirahah: riprendere fiato, recuperare energie mentali ed intellettuali
Per un breve periodo la pagina ed il blog non saranno aggiornati…
…un breve periodo di
“Giornalista nomade, sempre alla ricerca dell’altrove” – intervistata per Eventi Culturali
Antonella Appiano intervistata da Manuela Pacelli – Eventi Culturali n°252 dicembre 2014 – pdf – online sito Eventiculturali
Multiculturalismo e dialogo interreligioso, due temi fondamentali, ne ho parlato con Manuela Pacelli del magazine Eventi Culturali, bimestrale di arte cultura e informazione.
«Per capire, per comprendere meglio la realtà che ci circonda, per non avere più paura, e poter affrontare attraverso le armi della civiltà e della cultura, la difficile convivenza tra mondi così differenti » Manuela Pacelli
…« e l’altro, è il “diverso da noi” . Come ha detto Kapuscinski, è “lo specchio in cui guardarsi e capire chi si è”. Può essere anche un luogo, le stesse nostre città multietniche. Un luogo non necessariamente lontano. Perché “l’altrove” racchiude appunto i concetti di alterità e di luogo, non di distanza. Tiziano Terzani ha scritto: “Ogni posto è una miniera. Basta lasciarsi andare, darsi tempo, osservare la gente. Così anche il posto più insignificante diviene uno specchio del mondo, una finestra sulla vita, un teatro di umanità”. La miniera è esattamente dove si è: basta scavare…». Così la penso io, giornalista nomade alla ricerca dell’altrove.
(Antonella Appiano intervistata da Manuela Pacelli – Eventi Culturali n°252 dicembre 2014 – pdf – online sito Eventiculturali)
Marie-Yvonne Kakon e gli ebrei del Marocco.
Testimone di un paese a prevalenza Musulmana dove esiste una completa integrazione culturale.
Nell’affastellarsi di commenti, analisi e previsioni dopo la vittoria, in Marocco, del partito islamico Giustizia e sviluppo alle elezioni parlamentari del 25 novembre, sui media italiani è passata inosservata una notizia. La candidatura di Marie-Yvonne Kakon , 57 anni, 4 figli, consulente immobiliare. Perché donna? No, perché Marie Kakon, è ebrea. Una candidatura significativa quindi in un Paese a prevalenza musulmana. Ma un Paese, come ha dichiarato la stessa candidata al quotidiano ’Akhbar al-Yaoum’, “dove arabi, amazigh (berberi) ed ebrei hanno vissuto fianco a fianco per secoli senza problemi”.
E non solo. La candidata aveva già conquistato 30mila voti nelle elezioni del 2007, un numero che le avrebbe permesso di entrare in parlamento, se il suo partito, il PCS (Piccolo Centro Sociale) avesse superato la soglia del 6 per cento dei voti a livello nazionale. 30milamila voti in un Paese con solo 2.500 elettori ebrei, rappresentano una vittoria. Ancora secondo il quotidiano ’Akhbar al-Yaoum’, “il successo di un candidato ebreo in un paese musulmano potrebbe sembrare sorprendente, ma non in Marocco, dove esiste una completa integrazione culturale”.
Fra le varie iniziative, che si svolgono regolarmente nel Paese nordafricano e che testimoniano la tradizione di apertura e di multiculturalismo, significativa quella coordinata dall’Università di Al-Akawayn di Ifrane. L’Ateneo ha organizzato, nel settembre scorso, un convegno per promuovere la conoscenza della persecuzione e del piano di annientamentdegli ebrei europei durante la Seconda Guerra Mondiale. La stessa Marie-Yvonne, pur sottolineando la sua identità marocchina, è autrice di molti saggi sulla cultura ebraica in Marocco. Una storia interessante, da conoscere. Gli ebrei hanno vissuto in Marocco findall’antichità anche prima delle ondate in fuga dalla Spagna (insieme ad arabi musulmani) dopo la ’reconquista’ del 1492 e la persecuzione dell’Inquisizione spagnola.
Prima degli anni Cinquanta, in Marocco vivevano circa 300mila ebrei ma dopo e la creazione dello Stato di Israele nel 1948, la maggior parte degli ebrei marocchini sono emigrati in Israele, Francia e Stati Uniti. Oggi in Israele vivono circa un milione di cittadini di origine marocchina, mentre in Marocco la Comunità ebraica conta circa 2.500 persone, concentrata soprattutto a Casablanca, Agadir, Marrakech.
E se Marie Kakon è la prima donna ebrea ad aver partecipato alle elezioni parlamentari, in questo particolare momento storico delle ’primavere arabe’, dovremmo sapere che il Marocco già avuto in passato alcuni importanti uomini politici ebrei. Serge Berdugo Ministro del turismo nel 1990, per esempio, e André Azoulay, consulente di Re Hassan II, padre dell’attuale Re Mohammed VI.
In occidente siamo abituati a dare solo risalto a notizie negative. E in particolare in Italia di fronte al recente scenario mediorientale e nordafricano in mutamento, sappiamo evidenziaresolo alcuni elementi, “l’emergere dei gruppi islamisti, la tensione fra Arabia Saudita e Iran, ilriesplodere dei sentimenti antisemiti al Cairo”. Cercando sempre connotazioni negative. Sull’Islam politico ho già scritto in ’Islam e democrazia’.
L’Islam politico del 2011 non è quello degli anni Settanta e Ottanta e non esiste un riflusso antisemita nella regione. Anzi. A ben pensarci i sentimenti antisemiti sono stati alimentati proprio da quei regimi che ci ostiamo a chiamare ’laici’, come valvola di sfogo di società impoverite e represse. Come può essere laico uno stato che deve proteggere tutte le comunità confessionali?
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/marie-yvonne-kakon-e-gli-ebrei-del-marocco/ (riproducibile citando la fonte)
Melting Pot
Ieri, sul taxi per andare al centro commerciale “Sham City Centre”, incrociavo autobus strapieni di siriani. Donne con l’abaya, ragazze con l’hijab e altre con i capelli al vento, uomini con la kefiah e altri vestiti all’occidentale. La stessa mescolanza nel lussuoso Sham City Center, nella città nuova. Mi ha colpito, come sempre, vedere donne con il niqab mentre comperavano la stessa biancheria o gli abiti per bambini, in mostra nelle vetrine di Milano.
Nel ristorante panoramico sul tetto, mamme con l’abaya e il velo nero insieme alle figlie in jeans e maglioncino…
In nessuna città araba ho mai visto, come a Damasco, un melting pot di stili così diversi. E nella città vecchia, nei caffè della via “Dritta” che parte che Bab Sharqi, o in via Bab Tuma, s’incontrano sempre gruppetti di amiche musulmane con l’hijab e cristiane in minigonna. Fumano harghile, bevono thé, mangiano kebbeh e hummus, si scambiano il rossetto, ridono, chiacchierano fitto fitto. Perché a Damasco culture e religioni diverse hanno convissuto per 15 secoli di storia. E continuano a farlo.
In nessun’altra città araba a prevalenza musulmana, il tramonto e la notte sono illuminati dal verde delle mezze lune delle moschee e dal giallo delle croci delle chiese cristiane. Mi affascina la domenica ascoltare il suono delle campane e il richiamo del muezzin. E sorrido quando penso che in Italia molta gente mi chiede se in Siria “è possibile costruire chiese”. Nel Paese, i cristiani rappresentano il 12% della popolazione e sono divisi in ben 11 confessioni.
Le elenco, secondo il numero dei fedeli: greco-ortodossa, armena-ortodossa, greca cattolica, siriaca ortodossa, armena cattolica, siriaca cattolica, maronita, protestante, latina, nestorina e assiro-caldea.
Alcune non le conosco, lo confesso. Incuriosita, mi sono ripromessa di andare ad assistere alla messa. Prima tappa, domenica prossima, la chiesa della comunità siro-ortodossa, in via Bab Tuma.
Ma che c’entra il velo con il lavoro? Eccome se c’entra… provate a presentarvi a un colloquio con l’hijab
Velate o svelate? Il velo è un problema complesso al centro di un vivace dibattito non solo in Europa ma anche nel mondo musulmano.
In Italia, oggetto di polemiche e confusione. C’è, infatti, una gran differenza fra il niqab (velo integrale che lascia scoperti gli occhi), il burqa (mantello afghano che copre testa, viso e corpo, con una retina davanti agli occhi) e l’hijab (semplice foulard che nasconde solo capelli e collo lasciando scoperto il viso). Confusione alimentata anche dai nostri media. Anche stamattina molto quotidiani nazionali titolavano “No al Burqa”.
In realtà l’hijab è il velo più indossato dalle musulmane immigrate nel nostro Paese. Ho molte amiche che lo portano. Anche ragazze giovani. E lo “difendono” per motivi religiosi o semplicemente legati alla tradizione o all’identità. Non credo spetti a noi italiani giudicare. Il punto cruciale è che sia frutto di una libera scelta. Mentre la legge dovrebbe limitarsi al rispetto della normativa del 1975 in materia di sicurezza che vieta di “coprirsi il volto in pubblico impedendo il riconoscimento della persona”. L’hijab non infrange dunque nessuna norma. Eppure molte musulmane con l’hijab sono guardate con diffidenza e discriminate sul lavoro.
In Lombardia cresce il lavoro stabile e autonomo degli stranieri ma la crisi si fa sentire
«La cultura dell’integrazione passa attraverso l’accoglienza, l’inserimento lavorativo, la retribuzione economica corretta, il rispetto». Tutti fattori indispensabili ai fini di un saldo positivo nelle parole di Vincenzo Cesareo, Coordinatore Generale dell’ ORIM (Osservatorio Regionale per l’integrazione e la multietnicità) mentre Rosella Petrali, alla Direzione Generale ” Famiglia e Solidarietà Sociale” Regione Lombardia, sottolinea più volte l’importanza della conoscenza dell’altro . Siamo al convegno di presentazione del rapporto “Dieci anni di attività dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità al Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano , 27 2 28 gennaio 2010, due giornate di lavori. ”
I dieci anni di analisi dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità hanno rilevato, per esempio, un aumento della percentuale d’impiego a tempo indeterminato. E dello sviluppo del lavoro autonomo e imprenditoriale. Naturalmente, la crisi economica in corso, non ha risparmiato gli immigrati. Ma – per una volta- il mercato del lavoro è stato leggermente più favorevole alle donne (il tasso di disoccupazione femminile e dell’1,4% inferiore rispetto a quello maschile).
Immigrazione&Lavoro-Un modello lombardo d’integrazione
Negli ultimi 9 anni il numero degli immigrati in Lombardia è quasi triplicato: da 420mila presenze nel 2001, a 1 milione e 170 mila al 1° luglio 2009. Nella regione è concentrato quindi un quarto degli immigrati (regolari e non) che vivono nel nostro Paese. Tra le 190 nazionalità, ai primi posti la Romania (169 mila persone), Il Marocco (127,5mila) e l’Albania (115,8mila). La Regione ha organizzato un convegno di due giorni al Centro Congressi Fondazione Cariplo di Milano (il 27 gennaio 2010 prima giornata dei lavori) per presentare il rapporto «Dieci anni di attività dell’Osservatorio Regionale per l’Integrazione e la multietnicità (ORIM) ».
«L’immigrazione è un fenomeno dinamico- rileva Vincenzo Cesareo, Coordinatore Generale ORIM- si consolida e nello stesso tempo si evolve». Le cifre rapportate all”indice d’integrazione della popolazione immigrata ne mettono in risalto la crescita costante. L’indicatore usato per misurare l’intensità (zero punti in caso di assenza d’integrazione, 1 punto in caso di massima) è salito da un valore medio di 0,40 del 2001 allo 0,61 del 2009.
I dati testimoniano il cambiamento (positivo) in Lombardia? 71,5%, gli immigrati che si dichiarano occupati (senza considerare la regolarità o meno del contratto di lavoro). In crescita gli stranieri che si rivolgono all’assistenza medica di base in caso di malattia: 63,8%, contro il 55% del monitoraggio del 2004. E gli studenti: ben 151.937, durante l’anno scolastico 2008/2009, circa un quarto di tutti gli alunni con cittadinanza non italiana presenti nel nostro Paese. In aumento anche i ricongiungimenti familiari. Sono il 43,4%. I permessi per lavoro (55,5%). «Non dimentichiamo poi che la popolazione straniera immigrata è stata il vero motore della crescita demografica lombarda nel XXI secolo- aggiunge Gian Carlo Blangiardo, Membro del Comitato Scientifico dell’ORIM- e che il percorso stesso della crescita fa emergere numerosi “spie” di radicamento nella società».
Ragazzi musulmani 2G e i media
Il grande orientalista Edward Said ha scritto nel 1997 “ la televisione è la fonte principale dei pregiudizi sull’Islam”. È ancora vero? Ed è vero in Italia? Come la pensano i giovani musulmani di Seconda Generazione? Da una veloce “indagine”, durante il Convegno, purtroppo la risposta è affermativa. “I fatti e le opinioni vengono spettacolarizzati” dice Yassine Lafram. Si mettono in luce solo casi limite. I drammi”. Così si alimentano i pregiudizi. I sospetti. La confusione.
I ragazzi vorrebbero essere descritti in maniera più veritiera. Realistica. Anche sui quotidiani a larga diffusione. “Spesso c’è dissociazione fra immagine e testo” mi fa notare Fatima Habib Eddine. Per esempio, la fotografia con una donna con il niqab (velo che copre tutto il viso, lasciando scoperti solo gli occhi) mentre il testo racconta la storia di una musulmana che trova difficoltà a trovare lavoro perché indossa l’hijab, cioè il foulard che copre solo i capelli”.
Un altro peccato dei mass media italiani nei confronti dei giovani musulmani? Quello di omissione. Vengono ignorati fatti “positivi”, proprio perché non fanno notizia. Paolo Branca- professore di Lingua e Letteratura araba all’Università Cattolica di Milano racconta di aver preparato con alcuni ragazzi musulmani un dvd “Conosciamo l’islam: i giovani musulmani italiani”. “Uno strumento propedeutico pensato per scuole, biblioteche, parrocchie, centri culturali”. Nel dvd c’erano anche le riprese di una significativa iniziativa di alcuni giovani musulmani. “Una piccola rappresentanza ha scelto, infatti, di portare la solidarietà della comunità islamica agli ebrei che ogni anno ricordano la partenza, dalla stazione di Milano Centrale, dei convogli per i campi di sterminio. A capo della delegazione, il secondo anno dell’iniziativa, un palestinese”. Ma di questo non ha parlato né scritto nessuno…
di Antonella Appiano per IlSole24ore – jobtalk.blog.ilsole24ore.com