Egitto
Egitto: i militari sono i veri vincitori della Rivoluzione?
In «Autunno egiziano», il romanzo ambientato al Cairo durante la rivoluzione del 1952 – che portò alla cacciata di re Farouk – Nagib Mahfuz fa dire a un suo personaggio: «La verità è che nessuna delle nostre precedenti rivoluzioni ha portato a risultati sorprendenti». Forse anche quella del gennaio 2011, che vede per ora vincitore, il protagonista di sempre: l’esercito.
A tre mesi dal golpe militare, il movimento islamista dei Fratelli Musulmani è stato sciolto dal governo provvisorio e dichiarato illegale. Sono state chiuse le sedi e confiscati i beni, proprio come nel 1954, per il volere dell’allora presidente Gamal Abdel Nasser. I ragazzi di Piazza Tahrir sono stati esclusi dai giochi. L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi (detenuto in una località segreta dal 3 luglio) e altri 14 dirigenti dei Fratelli musulmani compariranno davanti alla Corte d’Assise il 4 novembre prossimo (fonte agenzia Mena). Le accuse sono di omicidio e incitamento alla violenza durante le proteste popolari del dicembre del 2012. E quello che sempre di più appare come l’uomo forte del paese, il nuovo Raìs, il capo delle forze armate Abdel Fattah el-Sissi, non esclude una sua candidatura alle presidenziali.
Anche se il dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha annunciato oggi che la Casa Bianca sospenderà gli aiuti militari all’esercito egiziano (tra cui elicotteri d’attacco Apache, caccia-bombardieri F-16 e carri armati M1-Abrahams ) e bloccherà, per ora, una parte dei finanziamenti – 260 milioni di dollari- sul miliardo e mezzo del totale. Invariata invece l’assistenza che Washington continuerà ad offrire nei settori dell’insegnamento, della sanità e del privato. Assicurati anche i fondi per la lotta al terrorismo, la sicurezza dei confini, soprattutto nella penisola del Sinai.
Secondo fonti anonime della Casa Bianca, la decisione è stata presa dopo gli ultimi violenti scontri di domenica scorsa, 6 ottobre, tra polizia e sostenitori dei Fratelli Musulmani e manifestanti pro-Morsi che hanno causato almeno 50 morti e un centinaia di feriti. Un bilancio grave, in un giorno che avrebbe dovuto festeggiare invece i 40 anni della cosiddetta Guerra d’Ottobre del 1973 ( conosciuta come Yom Kippur in Israele). Una vittoria per l’Egitto soprattutto perché, nel 1979 con gli accordi di Camp David, ottenne di nuovo il controllo della Penisola del Sinai. continua la lettura su Lindro Egitto: i militari i veri vincitori della rivoluzione?
Antonella Appiano per Lindro – riproducibile citando la fonte
l Presidente Obama sa bene che l’Egitto del generale El-Sissi è in grado di sostituire gli aiuti militari statunitensi con quelli di altri paesi arabi (che già lo finanziano). E anche del fatto che la decisione potrebbe ridurre l’influenza americana nell’area. Ma Obama si trova in una posizione scomoda. Da un lato vuole mantenere il controllo sull’Egitto, un controllo che non può perdere per la sicurezza di Israele, però è costretto ad ammettere che il nuovo governo ad interim del Cairo non sta percorrendo la via della democratizzazione. Dopo aver tentennato e poi appoggiato la Rivoluzione del 2011 e la caduta del regime di Hosni Mubarak, alleato di Washington, il Presidente degli Stati Uniti aveva riconosciuto come legittimi tutti gli esecutivi che si erano avvicendati. Sia quello militare post-rivoluzione, sia quello, eletto, dei Fratelli Musulmani. Ha appoggiato di fatto anche il golpe dello scorso 3 luglio, che ha deposto Mohammed Morsi, il primo presidente eletto democraticamente, non riconoscendolo come colpo di stato. La sicurezza d’Israele certo. Eppure anche il governo islamista di Mohammad Morsi aveva confermato i trattati di pace con Israele e le relazioni economiche con gli Stati Uniti, spingendosi al punto di prendere provvedimenti poco popolari pur di ottenere il prestito da 4,8 miliardi di dollari del Fondo Monetario Internazionale. Decisioni che hanno contribuito senza dubbio ad alimentare il malcontento degli egiziani che si sono ritrovati, dopo un anno dalla rivoluzione in condizioni economiche peggiori delle precedenti.
Oggi, a tre mesi dal golpe militare, il movimento islamista dei Fratelli Musulmani è stato sciolto dal governo provvisorio e dichiarato illegale. Sono state chiuse le sedi e confiscati i beni, proprio come nel 1954 per il volere dell’allora presidente Gamal Abdel Nasser. I ragazzi di Piazza Tahrir sono stati esclusi dai giochi. L’ex presidente egiziano Mohamed Morsi (detenuto in una località segreta dal 3) e altri 14 dirigenti dei Fratelli musulmani compariranno davanti alla Corte d’Assise il 4 novembre prossimo (fonte agenzia Mena) per rispondere alle accuse di omicidio e incitamento alla violenza durante le proteste popolari del dicembre scorso.
Insomma, nonostante i tagli economici degli Stati Uniti, per ora l’esercito sembra essere il vincitore della Rivoluzione in Egitto, riaffermando il potere e gli storici privilegi di cui gode dagli anni Sessanta sotto il regime socialista di Gamal Abdel Nasser. L’esercito in Egitto è un potere forte. Una specie di Stato nello Stato. Una lobby a capo di un vero e proprio impero finanziario: dal mercato immobiliare, alla produzione dell’olio d’oliva a quella dell’acqua minerale. Senza contare la gestione di imprese di pulizia, stazioni di servizio, mense e anche resort di lusso sul Mar Rosso.
Ma l’economia è ancora in ginocchio, la stabilità sembra lontana con proteste del movimento islamico che, nonostante la violenza della reazione dell’esercito, continua e sembra coinvolgere anche civili non appartenenti alla Fratellanza. E il Sinai sembra una pentola pressione. Lo stato di polizia è stato prolungato. Chi ha fatto davvero la Rivoluzione nel gennaio 2011 è scomparso di scena, ma c’è una certa inquietudine fra i giovani che hanno imparato a rivendicare il diritto di esprimersi. Come scrive ancora Mahfuz: «rabbia sopita, disperazione repressa, tensione accumulata possono ancora esplodere in Egitto».
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Leggi anche: Un giorno qualsiasi al Cairo
Cosa succede ora in Egitto?
Nel Paese perdura lo Stato d’Emergenza e la capitale è ancora presidiata dall’esercitoLa situazione nel Sinai
«Mi sono chiesto fino a che a punto noi stessi, immersi come siamo nel fluire della corrente della storia siamo in grado di comprenderne l’intero corso. E fine a che punto possiamo farne una sintesi» scriveva il giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuściński. Comprendere certo è difficile quando la storia è in divenire ma nello stesso tempo è necessario, ogni tanto, fare una sintesi degli eventi, aggiornarli, soprattutto quando le luci dei riflettori si spostano continuamente da uno scenario all’altro, dimenticando quello precedente. L’Egitto si è conquistato l’attenzione dei media il 3 luglio quando è stato deposto il Presidente Mohammad Morsi (eletto nel giugno del 2012). E ancora durante la violenta dispersione, da parte dell’esercito, dei sit-in dei Fratelli Musulmani e dei manifestanti Pro-Morsi (il più sanguinoso quello di Rabaa con almeno 700 morti). E i primi arresti dei leader della Fratellanza Musulmana e del suo braccio politico, il partito Libertà e Giustizia. Ad agosto, Mohammad Badie, “guida spirituale” del movimento; poi Mohammed el-Beltagy e l’ex ministro del lavoro Khaled Al-Azhari.
Ma ora i riflettori sono puntati sulla “polveriera” Siria e tutti sembrano aver dimenticato l’Egitto. La situazione politica, lo stato del Paese, la repressione, come si vive.
Prima di tutto, l’ex Presidente Morsi (sostituito dal presidente ad interim Adli Mansur) non solo è ancora agli arresti ma sarà processato con l’accusa di “istigazione all’omicidio e alla violenza”. E secondo il quotidiano ‘Al Akhbar‘, lo scioglimento del movimento dei Fratelli musulmani, già annunciato, diventerà effettivo a giorni. La Confraternita sarà cancellata dall’elenco delle organizzazioni non governative e tornerà ad essere quindi illegale come ai tempi di Nasser. Sparirà dalla scena politica egiziana. Azioni mirate ad eliminare i Fratelli musulmani come possibili interlocutori politici e che confermano – se ce ne fosse bisogno – il controllo dell’Esercito per difendere i forti interessi e privilegi di cui gode.
La repressione continua e non solo contro vertici e membri dei Fratelli Musulmani ma anche contro attivisti che avevano partecipato alla rivolte del 2011 e che avevano portato alla caduta di Hosni Mubarak, membri dei Movimenti di Opposizione e giornalisti. Per esempio, «Nonostante le proteste degli attivisti, le richieste del Sindacato egiziano dei giornalisti e di Reporters without borders, Ahmed Abu Deraa, giornalista del quotidiano egiziano ‘El Masry el Youm’ ed inviato di ONTV sarà giudicato da una corte militare. Le accuse a suo carico sono: diffusione di false informazioni sull’esercito, contatti con terroristi, riprese video delle proprietà militari. Ahmed seguiva la zona del Nord Sinai, all’Arish ed il confine di Rafah. La sede del Gruppo 6 Aprile è stata perquisita ed il materiale confiscato in un blitz a sorpresa». E’ stata chiusa la sede egiziana di Al Jazeera che ha sempre denunciato la repressione e sono stati espulsi dal paese alcuni giornalisti stranieri.
La stabilità è lontana. Non solo al Cairo ma in tutto il Paese si svolgono manifestazioni pro-Morsi che continuano ad essere interrotte con violenza dall’esercito o dalla Polizia. Molti analisti concordano: la parte del Paese che si riconosce nei movimenti di ispirazione islamica non si sente rappresentata dalla Nuova Assemblea Costituente . La continua azione di repressione potrebbe portare una radicalizzazione, mutando la lotta politica in lotta armata. Un segnale in questo senso l’attentato, fallito, contro il ministro degli Interni Mohammed Ibrahim dello scorso 5 settembre.
In questi giorni fervono anche i lavori dell’Assemblea Costituente, formata da 50 persone nominate dal presidente ad interim Adli Mansur. Si è riunita la prima volta l’8 settembre scorso per riformulare la nuova Costituzione che sarà poi sottoposta all’approvazione degli egiziani con un referendum.
Una delle accuse che sono state mosse a Mohammad Morsi riguardava proprio la Costituzione che fece approvare nell’autunno del 2012. Era così “integralista”? Certo la sharia costituiva la fonte principale ma forse non tutti sanno che lo era anche nella costituzione precedente, quella del 1971 di Sadat, che è rimasta in vigore fino alla caduta di Mubarak .
La sicurezza sta peggiorando intanto nella penisola del Sinai. La mattina dell’11 settembre, presso Rafah, al confine tra la penisola del Sinai e Israele, si sono verificati due attentati kamikaze con autobombe e diretti contro i militari, che hanno provocato almeno 9 morti – di cui 7 sono soldati – e 17 feriti.
Il Sinai, secondo uno studio dell’Ispi (Il Sinai fuori controllo) (Istituto per gli studi di politica internazionale), è «la zona cuscinetto, terra di nessuno e quindi di tutti. Nella regione tribale abitata principalmente da beduini, periferica agli occhi delle autorità della capitale eppure centrale per i numerosi attori regionali (Striscia di Gaza, Israele), il pensiero salafita è riuscito a radicarsi, a prosperare e in alcuni casi a saldarsi con formazioni che inneggiano al jihad. Giunto in questa terra negli anni Ottanta – grazie alla testimonianza di studenti ritornati dalle università del Nilo, nonché di uomini d’affari sauditi – il salafismo ha modificato i tradizionali equilibri intra-tribali: esso è riuscito a capitalizzare la frustrazione dei giovani (….). Il Sinai può quindi agire da miccia rispetto a una serie di criticità presenti da tempo e diventare un trampolino nella lotta terrorista a Israele: è questo l’incubo di Tel Aviv»
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Cosa succede ora in Egitto? (riproducibile citando la fonte)
Vedi anche:
Un giorno qualsiasi al Cairo
L’Egitto dopo il golpe, “Si respira una strana aria, come d’attesa”
Chiunque abbia vissuto anche solo qualche mese al Cairo non può dimenticare il fascino delle sue notti. Il Cairo, la città che non dorme mai. Notti vivaci a Downtown, a Nasr City, ovunque. Vivaci, piene di musica e chiacchiere. Fumare la “shisha” nei caffè sempre aperti, andare a fare la spesa tardi. «Le facciate dei negozi brillavano con i loro neon così scintillanti da lasciare abbagliati gli occhi. Da un caffé o un negozio vicino si propagava la voce di Karem al Sahar che cantava per la sua amata» scrive Khaled al Khamissi nel suo “Taxi”.
“Puoi immaginare ora il senso di straniamento che provo” racconta al telefono Amal, insegnante trentenne che ho conosciuto a marzo e con cui sono rimasta in contatto durante tutta l’estate, dai primi giorni dopo il golpe militare che ha deposto il Presidente Mohammad Morsi. “Le giornate sono caotiche. Girare in città è un’impresa per il traffico intenso. Quindi stress e tempi di attesa molto lunghi per via del coprifuoco (n.d.r) ridotto l’altroieri di 2 ore, quindi dalle 23 alle 6) che poi ti blocca in casa. E nello stesso tempo si respira un’aria strana, come di attesa. Mi sembra che in l’Egitto stia sparendo il senso di civiltà, di umanità. Che si stia disgregando il tessuto sociale“.
Uno studente della Cairo University, Karim, conferma che le lezioni dovrebbero riprendere regolari. “L’anno accademico è stato fissato per il 21 settembre”. Ma Karim aggiunge: “mi sento smarrito. Sono musulmano non appartengo alla Fratellanza, ho votato Morsi alle Presidenziali ma non ho partecipato ai sit- in pro Morsi. Onestamente avevo paura. Però molti miei compagni di università lo hanno fatto.Fratelli Musulmani ma anche “civili”, laici come dite voi. Alcuni sono stati arrestati. Il fratello di un mio amico è stato ucciso da un cecchino, quando i militari hanno disperso con la violenza, il sit-in diRabaa. Mi domando che cosa proverò a tornare all’Università. Riuscirò a riprendere a studiare come se niente fosse avvenuto? Ritrovare la spensieratezza di prima? A un certo punto mi sentivo così impotente e furioso che, su Facebook, ho cambiato il mio avatar con quello delle 4 dita (n.d.r indica supporto al sit -in di Rabaa e viene esibito dai Fratelli Musulmani e dagli anti-golpe). Ma ho ricevuto molte minacce. E su facebook sono apparse pagine con numeri telefonici da chiamare per segnalare chi mostra l’ormai famoso avatar“.
Sulla vita quotidiana al Cairo faccio anche qualche domanda a Baraem, blogger italo-egiziana.(http://www.ilmioegitto.blogspot.it/). Che non ha votato Morsi, non sostiene i Fratelli Musulmani ma sul suo blog-diario ha denunciato la carneficina di Rabaa. Perché come sempre, al di là dei grandi eventi, della grande storia, esiste la piccola storia di chi è stato coinvolto, a volte travolto, e deve convivere con i cambiamenti.
Che cosa ti spaventa di più, in questo momento d’incertezza e di cambiamento?
“Soprattutto la sensazione di sospetto, d’intolleranza, a volte di odio, che respiro nell’aria. Ci sono cittadini comuni, civili che aiutano le forze dell’ordine in azioni di sicurezza. Denunce, collaborazioni per arresti arbitrari. Credo che gli egiziani ancora non si rendono conto del pericolo, della deriva che potrebbe sfociare in un aumento della violenza fra la gente“.
Se la situazione in Egitto non fosse così grave, la faccenda dei cittadini-collaborazionisti assumerebbe a volte risvolti comici. Il ‘Telegraph‘ ha riportato la notizia di un egiziano zelante che ha arrestato un cigno e lo ha consegnato alla polizia, nel Governatorato di Qena, a sud del Cairo. Era convinto che fosse una spia perché il cigno portava un apparecchio elettronico (un normale tracciatore per ricerche sugli uccelli). Chiedo ancora a Baraem, come si vive nella capitale in questi giorni. “Il Cairo una città sempre più stanca, per via di un coprifuoco che sta succhiando l’economia ed il lavoro dei cittadini. Il Paese non è stabile, ovvio, ed è aumentata la disoccupazione. Molti dipendenti diristoranti e locali sono “in vacanza non retribuita”, i negozi di alimentari, per rifarsi delle perdite serali sugli acquisti, hanno alzato molto i prezzi. Spero che riducendo il coprifuoco la situazione migliori. Oggi ho pagato un kg di patate, 8 lire egiziane. Una follia. In pratica facendo la spesa compro la metà e spendo il doppio di 2 settimane fa. Non ci sono controlli. Ognuno impone i prezzi che vuole“.
Altri problemi di vita quotidiana? “La luce, per esempio, che continua a saltare. Nel mio quartiere circa un’ora ogni giorno. Ma mi hanno raccontato che nei villaggi nel sud dell’Egitto è peggio. La corrente s’interrompe anche per un giorno intero, con la conseguente mancanza di acqua“. Continua Baraem: “soprattutto mi sento stanca. Il dolore stanca. Ne abbiamo visto troppo. Credo che l’Egitto abbia bisogno di pace, di respirare, di riprendersi e gli egiziani abbiano bisogno di fermarsi e capire dove stanno andando. C’è confusione anche fra chi ha partecipato alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Per esempioil leader del Youth Council del 25 gennaio, si è dimesso il giorno prima delle manifestazioni del 30 giugno considerando il movimento Tamarrod (i ribelli) – che ha organizzato la petizione contro Morsi e le manifestazioni del 30 Giugno –antirivoluzionario. Anche molti attivisti sono delusi e preoccupati. (come la celebre blogger e attivista Gigi Ibrahim).
Mentre sul giornale Mas El Youm è apparsa in questi giorno la dichiarazione di Badr, un leader movimento Tamarrod, che proponeva il generale Al-Sisi come prossimo Presidente egiziano, nel caso la situazione interna non si stabilizzi. Il gruppo poi si e’ distanziato dalle sue dichiarazioni considerandole inaccettabili. Comunque chiunque critica le Forze armate è in pericolo.La “Terza Piazza”, quella del Mohandessin al Cairo che rifiuta il regime di Morsi e quello di Al Sisi e’ stata definita “la quinta colonna sionista in Egitto”. E i suoi sostenitori sono considerati traditori“.
Nella presentazione del suo Blog, Baraem scrive: «Vivo al Cairo dal 1997, ho partecipato alla la Rivoluzione del 2011 in prima fila, ho pianto di rabbia per le 800 vittime e ho riso di gioia quando il vecchio presidente Mubarak se n’è andato. Ma ora mi chiedo: come sarà il nostro futuro? E che cosa e quanto è rimasto del nostro passato?».
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Un giorno qualsiasi al Cairo (riproducibile citando la fonte)
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Voci dal Cairo
Un Paese spezzato? La difficile strada del Dialogo Nazionale
Sono passati sei giorni dalla deposizione del Presidente Mohammad Morsi per opera dell’esercito. Dieci da quando, in Egitto, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza contro il Governo dei Fratelli Musulmani. Un giorno e mezzo dallo scontro davanti al Circolo Ufficiali della Guardia Repubblicana, dove si trova, in stato di fermo, il Presidente esautorato. “I militari hanno incominciato a sparare all’alba, poco prima della preghiera” mi scrive Faisal, che fa parte dei Giovani Fratelli Musulmani. “Sparare su civili disarmati costituisce forse una tappa del processo democratico?” aggiunge polemico. Secondo la versione dell’esercito si è trattato invece « dell’ attacco di un gruppo terroristico a un’installazione militare ». Alla fine, i morti sono stati 51 e 435 i feriti.
Tanti. E il fatto disorienta un po’ tutti. Per il partito salafita al-Nour è stato un «massacro di musulmani» e, in segno di protesta, decide di uscire dalla road map per la riconciliazione.
hiamo alcuni studenti universitari della Cairo University, conosciuti a marzo e aprile nella capitale egiziana, con cui sono rimasta in contatto. Mahmud, Abdel, Ahdaf, hanno partecipato alla rivoluzione del Gennaio 2011, non approvavano Morsi ma sono allibiti : “Non condividiamo la posizione dura dell’esercito”. “Siamo a punto e a capo”, scrive Mahmud. “ L’esercito non rappresenta la soluzione o il nuovo Egitto”. C’è chi teme che si ritorni al regime di Mubarak. E Ahdaf che nel gennaio 2011 era scesa in piazza Tahrir è dura “l’opposizione civile, quella che voi chiamate laica, ci ha lasciati soli, noi i ragazzi di Tahrir, già dopo la cacciata di Mubarak. Non sono scesa in piazza con il movimento Tamarrod (Ribellione) questa volta. L’Opposizione non ha ancora trovato coordinamento, unità, un progetto comune, un leader. E adesso flirta con l’esercito. Come crederci?”. – See more at: http://www.lindro.it/politica/2013-07-09/91263-voci-dal-cairo#sthash.itt3Y0hg.PCxGlXKD.dpuf
Chiamo alcuni studenti universitari della Cairo University, conosciuti a marzo e aprile nella capitale egiziana, con cui sono rimasta in contatto. Mahmud, Abdel, Ahdaf, hanno partecipato alla rivoluzione del Gennaio 2011, non approvavano Morsi ma sono allibiti : “Non condividiamo la posizione dura dell’esercito”. “Siamo a punto e a capo”, scrive Mahmud. “ L’esercito non rappresenta la soluzione o il nuovo Egitto” Continua la lettura su LindroVoci dal Cairo
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Sono passati sei giorni dalla deposizione del Presidente Mohammad Morsi per opera dell’esercito. Dieci da quando, in Egitto, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza contro il Governo dei Fratelli Musulmani. Un giorno e mezzo dallo scontro davanti al Circolo Ufficiali della Guardia Repubblicana, dove si trova, in stato di fermo, il Presidente esautorato. “I militari hanno incominciato a sparare all’alba, poco prima della preghiera” mi scrive Faisal, che fa parte dei Giovani Fratelli Musulmani. “Sparare su civili disarmati costituisce forse una tappa del processo democratico?” aggiunge polemico. Secondo la versione dell’esercito si è trattato invece « dell’ attacco di un gruppo terroristico a un’installazione militare ». Alla fine, i morti sono stati 51 e 435 i feriti.
Tanti. E il fatto disorienta un po’ tutti. Per il partito salafita al-Nour è stato un «massacro di musulmani» e, in segno di protesta, decide di uscire dalla road map per la riconciliazione.
Chiamo alcuni studenti universitari della Cairo University, conosciuti a marzo e aprile nella capitale egiziana, con cui sono rimasta in contatto. Mahmud, Abdel, Ahdaf, hanno partecipato alla rivoluzione del Gennaio 2011, non approvavano Morsi ma sono allibiti : “Non condividiamo la posizione dura dell’esercito”. “Siamo a punto e a capo”, scrive Mahmud. “ L’esercito non rappresenta la soluzione o il nuovo Egitto”. C’è chi teme che si ritorni al regime di Mubarak. E Ahdaf che nel gennaio 2011 era scesa in piazza Tahrir è dura “l’opposizione civile, quella che voi chiamate laica, ci ha lasciati soli, noi i ragazzi di Tahrir, già dopo la cacciata di Mubarak. Non sono scesa in piazza con il movimento Tamarrod (Ribellione) questa volta. L’Opposizione non ha ancora trovato coordinamento, unità, un progetto comune, un leader. E adesso flirta con l’esercito. Come crederci?”.
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La galassia dell’opposizione civile in Egitto
Intervista a Fuad Badrawi segretario generale del partito al-Wafd
(Il Cairo) “Ci rendiamo conto che il problema maggiore è la divisione per questo è stato creato il Fronte di Salvezza Nazionale, di cui facciamo parte” afferma Fuad Badrawi segretario generale del partito al-Wafd (liberale). “La prima riunione è avvenuta proprio qui nella nostra sede di El- Dokki”. Infatti il fronte dell’opposizione madani (civile) che è rimasto unito durante la rivoluzione del 25 gennaio, si è frammentato subito dopo le dimissioni di Mubarak, perché le varie correnti seguivano progetti differenti, ed erano diverse nell’ideologia.
È importante sottolineare che in Egitto esistevano già forze politiche strutturate prima della Rivoluzione. Il partito al-Wadf che deriva dallo storico partito nazionalista, ed è stato fondato nel 1978, è uno di quelli. Insieme a al -Tagamm (di sinistra) nato nel 1976.
A partire dal marzo 2011, si sono formate altre quattro piattaforme politiche: il Partito socialdemocratico, Egiziani liberi, Libertà egiziana, e Coalizione Socialista popolare. E dopo le elezioni Presidenziali del giugno 2012 sono nati altri partiti politici, quelli che si sono poi imposti come principali attori: il Partito della Costituzione (creato da Mohammad el-Baradei), il Partito della Conferenza (fondato da Amr Musa), Egitto Forte ( il leader è Abd al- Munim Abu al- Futuh, candidato alle presidenziali). Esistono anche organizzazioni che riuniscono partiti o attivisti diversi come la Corrente Popolare Egiziana e formazioni, come il Movimento dei Socialisti Rivoluzionari, Il Movimento 6 Aprile, Kifaya (che in dialetto egiziano significa “basta”).
“Il Fronte di Salvezza Nazionale – prosegue Fuad Badrawi – riunisce otto partiti e altri gruppi di opposizione e correnti popolari. Ogni partito ha il suo leader e un comitato direttivo che si confronta con il Consiglio del Fronte. Certo su molti punti non abbiamo ancora trovato un accordo, ma abbiamo un obiettivo comune, la creazione di uno Stato civile”. Il concetto di ‘civile’ è molto importante per il fronte dell’Opposizione che noi occidentali chiamiamo ‘laica’. Un errore, infatti, perché tutti questi movimenti non sono ‘laici’ nell’accezione occidentale del termine. Ambiscono semplicemente alla nascita di uno Stato non religioso. I principi dell’Islam rimarrebbero nelle fonti del diritto.
Qualche progetto del Wafd? “Puntiamo molto sulla parità dei diritti delle donne e sull’istruzione. In Egitto il sistema scolastico va riformato sia per quanto riguarda la scelta delle materie da insegnare, sia nella metodologia, sia nella preparazione degli insegnanti. Il livello d’istruzione è troppo basso, molti giovani non hanno accesso alle scuole pubbliche. Stiamo anche lavorando a un progetto di riforma elettorale”.
L’impressione è che spesso le rivolte vengano strumentalizzate, con l’intervento di provocatori, chi sono? “Non lo sappiamo con certezza. Questo fatto non ci aiuta. Le manifestazioni dovrebbero essere pacifiche. Molti hanno interesse a creare il caos. Certoescludo i Fratelli Musulmani, che alcuni invece accusano. L’èntourage del vecchio sistema forse o l’esercito”.
Un altro problema dell’Egitto è quello della sicurezza. Ma Fuad Badrawi con eleganti giri di parole in un arabo classico fluente riesce a eludere la domanda sulla “polizia che sembra assente o comunque poco partecipativa”. Nella capitale cariota molti concordano sul fatto che la polizia sia colpevole di omissioni, di non intervenire in tempo, quasi di favorire gli scontri. Un simpatizzante del Fronte, che però non ricopre cariche ufficiali mi racconta che “i vertici della polizia forniscono spiegazioni motivazioni diverse. Qualcuno afferma che non vogliono essere visti dalla popolazione come agenti dei Fratelli musulmani. Altri invece che la shurta egiziana (polizia nda) ha deciso di non prendere posizione, di non rischiare in un clima di anarchia generalizzata, dove molti confondono la libertà con la possibilità di fare qualunque cosa”.
Alcuni attivisti del ‘Movimento 6 aprile’ – che ho incontrato sabato scorso a Downtown, davanti al Palazzo della Corte di Giustizia prima della manifestazione -confessano di essere “delusi e sfiduciati”. “La rivoluzione è da rifare?” si chiedono. Oppure: “il popolo egiziano non è pronto per la democrazia?”.
In esclusiva per Lindro, riproducibile citando la fonte.
per L’Indro: La galassia dell’opposizione civile in Egitto
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