Iraq

Pillole di Storia: Guerra Iraq-Iran settembre 1980

Non conoscere o dimenticare la storia contribuisce a creare confusione. Quindi è giusto ricordare che 35 anni fa, nel settembre 1980, precisamente il 22 di settembre, Saddam Hussein attaccò l’Iran Khomeinista, pensando che Repubblica islamica, nata da poco, e non ancora organizzata

Le donne dell’ISIS: tra figli e social media

 

I ruoli degli appartenenti a ISIS sono ben divisi a seconda del sesso: mentre gli uomini combattono, le giovani donne si occupano della propaganda sui social media. I canali digitali sono gli stessi con cui queste vengono arruolate e che useranno a loro volta per coinvolgere altre donne a fare altrettanto.

Sono giovani, usano Skype, Facebook, Twitter, Tumblr, Ask.fm e Kik come qualunque ragazza della loro età.

Bambini - Campo Profughi siriano di Basirma - Shaqlawa - Kurdistan iracheno

Siriani nel Kurdistan iracheno

Basirma – Shaqlawa (Kurdistan iracheno) – Il Campo di Basirma è a circa 80 chilometri a nord- est di Erbil, nel distretto di Shaqlawa. Appare all’improvviso, dietro una curva, come un miraggio bianco disteso nella pianura secca e giallastra in mezzo alle colline. Il campo, è nato nell’agosto 2013, grazie all’intervento della Regione autonoma del Kurdistan e di Organizzazioni Internazionali, ed è ben strutturato, tranquillo. Lungo

Peshmerga 15Base - Yalchi - Kirkuk

Kirkuk: peshmerga, petrolio e territori contesi

Kirkuk (Kurdistan) Iraq – Per arrivare a Kirkuk, circa 80 chilometri a sud di Erbil, lungo la Baghdad road, i check point dell’Esercito curdo, formato dai peshmerga, sono cinque. Ogni volta i documenti vengono controllati con attenzione, così come il bagagliaio dell’automobile.
Dopo l’attacco dei miliziani di Abu Bakr al- Baghdadi, respinti dai peshmerga,

Kirkuk reportage - Kurdistan Iracheno

Da Erbil in collegamento telefonico con Radio Onda d’Urto

Su Radio Onda d’Urto in collegamento telefonico da Erbil, intervistata da Irene Panighetti, parlo di ciò che sta succedendo nel Kurdistan iracheno, a Erbil, Kirkuk e della situazione in continuo cambiamento in Siria e Iraq, della proclamazione del Califfato…and more

fountain citadel Erbil - Kurdistan Iracheno

La guerra pacifica del Kurdistan

Erbil (Kurdistan) Iraq – E’ tempo di Ramadan e Mohammad Nuri -imprenditore e commerciante di Erbil- ha fissato il nostro appuntamento dopo il tramonto quando il muezzin annuncia la rottura del digiuno, al Café Azado, nel Family Mall.

Ordinando un tè, cita il leader politico curdo, Abdul Rahman Ghassemlou: “non si parla molto dei curdi perché noi non abbiamo mai preso un ostaggio, mai dirottato un aereo e ne sono fiero”.

Bambini nel Campo di Khazir - Governatorato di Erbil - Kurdistan Iracheno

‘Meglio ISIS che il Governo’

Erbil (Kurdistan) Iraq – Le ultime 50 famiglie sono arrivate nel campo di Khazir (governatorato di Erbil) nella notte fra mercoledì e giovedì, dopo che i miliziani dell’ISIS avevano attaccato alcuni piccoli villaggi vicino a Mosul. Ancora gente in fuga. Gente spaventata. Arrabbiata. Stanca. Soprattutto gente. Loro, gli iracheni, non soltanto un arido numero, ma una faccia, una speranza o la tristezza negli occhi. Mille domande. Tante storie che s’intrecciano rendendo concreta la parola ‘popolo’.

Iraq: ecco come ISIS usa Twitter

Questo è il primo guest post, sul blog Conbagaglioleggero, di Roberto Favini – che scriverà sempre di Medio Oriente, di Paesi Arabi e aree di crisi – ma attraverso la chiave interpretativa del giornalismo dei dati, fact-checking e delle forme digitali di storytelling.
Buona lettura!

Se al-Qaeda rappresenta il primo soggetto violento non governativo in grado di applicare una strategia di sfida globale verso una superpotenza è anche perché, parallelamente alle operazioni militari sul territorio, ha saputo sfruttare efficacemente i vari media.

Nel corso degli anni ha saputo adattarsi rapidamente ai cambiamenti, utilizzando metodi sempre più sofisticati. Lo si nota particolarmente dall’uso crescente jihadista di Internet e, da qualche anno a questa parte, dei social media.
Nelle ultime settimane i media ci riferiscono sull’avanzata delle truppe di ISIS/ISIL in Iraq,  mentre rimangono consolidati al nord, e si stanno rafforzando nel nord-est della Siria. Negli stessi giorni però è stato anche possibile assistere a diverse novità nell’uso di Twitter a supporto delle operazioni militari.

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crediti: dailymail.co.uk

Anzitutto, una premessa per comprendere meglio il contesto, specie per chi è un po’ a digiuno di sigle e nomi di gruppi jihadisti.

ISIS o ISIL  è un gruppo terroristico nato come costola di al Qaeda, e operativo in Iraq e in Siria,  che ha rivendica presto un suo potere decisionale fino ad essere richiamato in Iraq dallo stesso Zawahiri  (leader di Al Qaida)  e invitato ad abbandonare la questione siriana. Ma il gruppo si è rifiutato di obbedire e ha dichiarato (già all’inizio del 2013)  il suo obiettivo: ricreare un Califfato islamico dell’Iraq e del Levante, sulla base di un’identità etnica, culturale e storica. Per Levante, intende la “Grande Siria” (non la Siria che conosciamo) ma quella che comprendeva invece – prima della divisione dell’Impero Ottomano alla fine della 1° Guerra Mondiale – la Siria di oggi e parte di territorio della Turchia, l’attuale Giordania, Libano, Israele e Iraq.

L’acronimo ISIS sta per ”Islamic State in Iraq and Syria” ma il gruppo fondametalista sunnita viene anche chiamato ISIL, “Islamic State in Iraq and the Levant” .

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crediti: wikipedia.org

Tornando alle modalità di utilizzo dei social media, si può notare come con al-Qaeda le discussioni su netiquette e pratiche scorrette sui social media sono superate; l’organizzazione si distingue infatti per un uso spregiudicato degli strumenti a disposizione e per la totale assenza di rispetto delle regole, come intuibile.

Ovviamente, i social network non ammettono comportamenti simili: li tollerano quando sono borderline ma li bloccano quando vanno oltre, se rilevati o segnalati da altri utenti.

Solitamente, alla sospensione di un account jihadista segue l’apertura di nuovi account, in una sorta di rincorsa continua; questo vale sia per gli account dei militanti che per quelli ufficiali dei vari rami dell’organizzazione.

Per esempio, da venerdì a oggi Twitter ha sospeso otto account affiliati a ISIS, che pubblicavano immagini di esecuzioni di massa. Le motivazioni di queste sospensioni vanno ricercate nei TOS del servizio, ma forse anche in una legge statunitense che vieta a qualsiasi persona o entità degli Stati Uniti di fornire supporto o risorse materiali a un’organizzazione che appare sulla lista ufficiale dei gruppi terroristici.

Uno di questi era l’account @nnewsi, per la cui chiusura Wikileaks ha parlato di censura, ma suscitando molte polemiche.

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Tutti i gruppi estremisti sono sempre più presenti sui social media per reclutare, propagandare e raccogliere fondi; ISIS è uno di quelli più abili in questo approccio.

Le attività di ISIS sui social media seguono uno studio e una pianificazione sofisticati; inoltre, non avendo molti sostenitori on-line, vengono usate strategie per gonfiare e controllare i messaggi.

Il governo iracheno, nel tentativo di contrastare le comunicazioni di ISIS, ha attuato il blocco degli accessi da browser a servizi web come Twitter, Facebook, Youtube, Whatsapp, Viber e Skype, ma solo nelle zone ancora sotto il controllo governativo.

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Per aggirare il blocco degli indirizzi IP di questi servizi, le milizie e i sostenitori di ISIS spiegano come utilizzare il browser crittografato TOR o come recuperare gli account bloccati.

Un altro metodo è quello di realizzare delle app per smartphone specifiche per lo scopo. Una delle iniziative ISIS di maggior successo è infatti un’app in lingua araba per Twitter, chiamata “The Dawn of Glad Tidings”. L’app è stata resa disponibile solo per smartphone Android, in quanto lo store di Apple possiede restrizioni maggiori. In realtà negli scorsi giorni è stata rimossa dal Google Play store, ma dopo essere stata scaricata centinaia di volte. Successivamente è stata riproposta su siti mirror (chiusi e riaperti in continuazione).

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Questa app viene promossa come modo per rimanere sempre aggiornati sulle ultime notizie del gruppo jihadista; una volta scaricata, ISIS richiede i dati personali dell’utente.

Dopo la registrazione, l’app pubblicherà attraverso l’account dell’utente tweet i cui contenuti vengono stabiliti dal team social media di ISIS.

I tweet sono ben studiati, con link, hashtags e immagini; lo stesso contenuto viene twittato da tutti gli account registrati, ma con un leggero ritardo l’uno rispetto all’altro, in modo da aggirare i controlli automatici anti-spam di Twitter. Per il resto del tempo, l’account Twitter è utilizzabile normalmente.

I termini di utilizzo di Twitter in materia sono infatti chiari sulle regole di automazione e pratiche consigliate.

“La creazione massiva o seriale di account con sovrapposizione d’uso, tuttavia, è vietata”

“Le violazioni possono comportare la sospensione permanente di tutti gli account correlati”.

Di seguito, l’andamento dei tweet inviati attraverso l’app di ISIS scegliendo un periodo di osservazione di due ore. Solo il giorno della marcia verso la città di Mosul, i tweet pubblicati in questo modo sono stati circa 40 mila.

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L’app era stata rilasciata già lo scorso aprile, ma solo con l’ultima offensiva è stata utilizzata in modo massiccio, come si può notare da questi altri grafici diffusi dal Telegraph.

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Analizzando la strategia su Twitter di ISIS, si nota come possa essere comparata a una comunicazione corporate, con vere e proprie campagne di marketing con hashtag e operazioni di branding, come quando viene lanciato un nuovo prodotto.

Aiutati da strumenti come l’app descritta, centinaia – a volte migliaia – di attivisti pubblicano ripetutamente nell’arco della giornata tweet che usano un hashtag concordato, che così finirà nei trending topic di Twitter. Questo risultato viene solitamente ottenuto con un una media di 72 retweets per tweet.

Il volume di tutti questi tweet è tale per cui ricercando “Baghdad” su Twitter, le prime immagini proposte siano quelle spinte da ISIS.

Esistono persino account Twitter creati apposta per pubblicare i trending topic del momento, ma soltanto dei contenuti jihadisti.

L’effetto è quello dell’amplificazione del messaggio e dell’esposizione di un numero molto maggiore di utenti.

Jabhat al-Nusra, l’unico gruppo terroristico siriano riconosciuto ufficialmente da al-Qaeda, ha un numero di follower paragonabile a quello di ISIS, ma ottiene risultati molto inferiori.

Nel mese di febbraio ISIS ha spesso ottenuto oltre 10 mila citazioni al giorno per gli hashtag, contro i 2500-5 mila ottenuti da  Fronte al-Nusra ( gruppo estremista salafita operante in Siria).

Secondo l’osservatorio Jihadica, nel mese di maggio l’utilizzo di Twitter è avvenuto in prevalenza da dispositivi Android, per pubblicare contenuti in lingua araba, con un hashtag ben preciso.

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Un altro esempio di utilizzo in stile corporate sono i focus group, come quando gli attivisti avevano promosso, dal basso, un hashtag per chiedere al leader ISIS Abu Bakr al-Baghdadi se non era il caso di cambiare il nome all’organizzazione (da “Stato islamico di Iraq e Siria” a “Califfato islamico”).

Sia al-Qaeda che ISIS sono molto attente anche al targeting: per esempio, i giovani nel Levante i giovani utilizzano quasi esclusivamente Facebook, mentre nel Golfo è più probabile che possano essere raggiunti via Twitter.

Altri obiettivi perseguiti da ISIS attraverso Twitter sono l’intimidazione dei residenti e la diffusione di notizie false. E’ interessante notare anche l’accurata scelta dell’istante per pubblicare i contenuti, che spesso accompagnano le azioni militari in tempo reale; questa tecnica ricorda molto il ruolo dei trombettieri o dei tamburi sui campi di battaglia dei secoli trascorsi.

Storia di Ghilan. Vittima della guerra in Iraq

Il riscatto e una nuova vita al Cairo grazie anche alla passione per la musica

Un ragazzo che non ha ceduto al sentimento dell’odio e della vendetta e si creato un futuro diverso.

“L’odio genera solo odio”, scrive Tiziano Terzani in ’Lettere contro la guerra’ e “l’odio si combatte solo con l’amore”. Ghilan Ibrahim, oggi 24enne, lo ha fatto. Vittima, come moltissimi iracheni, di una tragica esperienza che ha per sempre cambiato la sua vita, Ghilan è riuscito a superare il dolore grazie allo studio e all’amore per la musica. Secondo il calcolo di Iraq Body Count, una organizzazione non governativa, dall’inizio della invasione e occupazione del Paese nel 2003 (operazione Iraqi Freedom), da parte di una coalizione guidata dagli Stati Uniti, fino all’estate del 2004, sono stati uccisi più di 12.000 civili iracheni. Chissà se nel tragico conteggio rientra anche la famiglia di Ghilan, che proprio nell’estate del 2004 (il 24 giugno) è stata annientata a un check-point americano, all’uscita dalla città di Baquba a capo del Governatorato di Diyala, a nord est di Baghdad: la madre, 5 sorelle, un fratellino, uno zio. Sono sopravvissuti solo Ghilan, il fratello maggiore e il padre, perché non si trovano nell’automobile crivellata dai colpi di arma da fuoco dei soldati statunitensi:. Soldati “stanchi e tesi” come scriverà l’unico giornale Usa, il ’Chistian Science Monitor’ che raccontò l’episodio.

“Ma lo definì un incidente innocente perché i militari avevano sparato pensando che l’auto trasportasse terroristi”, racconta Ghilan al telefono. “Alla guida c’era mio zio Ahmed al suo fianco mia mamma Sa’ida, con in braccio Yousif, il mio fratellino. Dietro le cinque sorelle: Amaleed, Aghareed, Anaheed, Juman, Afnan. Come hanno potuto non vederle? Un’automobile carica di donne e bambini…”.

E c’è stata una inchiesta?

No, ma ’Aljazeera Channel’ dedicò un servizio alla vicenda perché aveva ricevuto il video di un testimone oculare. Tragedia nella tragedia: ho saputo che la giornalista che ha presentato il servizio, due anni più tardi, nel 2006, è stata rapita e uccisa in Iraq, da sconosciuti, mentre stava seguendo una indagine. L’esercito americano ammise ciò che aveva fatto, ma non c’è stato un processo. Ha ’rimborsato’ a mio padre il valore dell’automobile e il denaro che mia madre portava con sé.

Come mai tuo padre, tu e tuo fratello non eravate con il resto della famiglia?

La zona dove vivevamo era molto pericolosa. Combattimenti ogni giorno, guerriglia, violenze, saccheggi, stupri. Le più esposte erano le donne, le ragazze. Mio padre aveva pensato quindi di mandarle a Baghdad che riteneva più sicura. Aveva consegnato a mia madre quasi tutti i nostri risparmi. Ma sulla strada per la capitale, all’uscita di Baqubah, c’era un posto di check-point. Mio zio deve aver perso il controllo dell’automobile, e l’auto ha bloccato la via. I militari hanno cominciato a sparare, a sparare fino a quando l’auto non ha preso fuoco. Un testimone oculare ha raccontato che la donna seduta a fianco del guidatore era riuscita a rotolare fuori, ma che i soldati hanno continuato a sparare. E’ l’immagine più dolorosa.

Eri studente allora o lavoravi?

Studente. Frequentavo l’High School ed ero anche giocatore di scacchi. Ho continuato. La concentrazione mi aiutava a non pensare. Pochi mesi dopo la perdita della famiglia, ho vinto il Campionato studentesco iracheno, poi ho partecipato a quello mondiale, in Grecia. Mi sono buttato a peso morto nello studio per non cedere allo sconforto. E finito il liceo, l’anno seguente sono stato accettato al College di Medicina. Ma in Iraq non c’era ancora sicurezza. Mio padre era preoccupato ha insistito perché lasciassi il Paese. Così nel 2004 mi ha accompagnato in Egitto. E’ stato con me due mesi, mi ha aiutato a sistemarmi e poi è ritornato in Iraq. Non voleva tagliare le sue radici.

E ora? Che cosa fai? Dove vivi?

Vivo al Cairo. Ho continuato a studiare, mi sono laureato quest’anno in Informatica. E mi sono anche dedicato alla musica. Ho abbandonato gli scacchi, però. Quasi tutti i miei compagni di squadra sono morti. Fa male. Ogni tanto penso a mia sorella Aghareed che aveva partecipato alla conferenza giovanile per i Diritti Umani proprio nel 2004, poco tempo prima di essere uccisa. O rivedo la mia sorellina Afnan mentre legge una poesia sull’Umanità. Immagini. Squarci di colore e sentimento. Sento le risate, i bisbigli. Erano belle persone. E sono morte in una manciata di secondi. L’amore per la musica mi ha aiutato molto a stemperare la sofferenza. A ritrovare la serenità. Cinque anni fa mi sono iscritto alla Arabic oud house e questo novembre ho ottenuto il diploma. Ora insegno. L’oud è un antico strumento musicale arabo. Amo la sua melodia. Comporre e suonare mi trasportano in un altro mondo. Un mondo dove non esistono violenza, disperazione e angoscia.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro: Storia di Ghilan. Vittima della guerra in Iraq, riproducibile citando la fonte