Oggi parliamo di Siria. Di una storia legata alla Siria. Di musica e di due artisti siriani. E di un produttore musicale “caparbio” che ha seguito un sogno finché non è riuscito a realizzarlo.
Il mio intervento a Radio Onda d’Urto sulla situazione al campo profughi palestinese di Yarmouk alla periferia di Damasco, l’attacco dei miliziani dello Stato Islamico; l’accordo sul Nucleare con l’Iran; i bombardamenti sauditi in Yemen.
In onda nello spazio “Approfondimenti”, con Irene Panighetti – 2 Aprile 2015 .
L’Associazione culturale LiberaMente cura la rassegna “Sguardi di guerra, prospettive e visuali sul conflitto siriano” che si apre venerdì 3 ottobre con la mostra fotografica di Matthias Canapini. Il 10 ottobre e il 17 ottobre, due serate di approfondimento: nella prima, interverrà la scrittrice italo-siriana Asmae Dachan; nella seconda, Antonella Appiano, giornalista specializzata in Medio Oriente e Islam che presenterà anche il suo ebook “Qui Siria- Clandestina ritorna a Damasco” edito da Quintadicopertina.
I ruoli degli appartenenti a ISIS sono ben divisi a seconda del sesso: mentre gli uomini combattono, le giovani donne si occupano della propaganda sui social media. I canali digitali sono gli stessi con cui queste vengono arruolate e che useranno a loro volta per coinvolgere altre donne a fare altrettanto.
Sono giovani, usano Skype, Facebook, Twitter, Tumblr, Ask.fm e Kik come qualunque ragazza della loro età.
Si legge poco in questa estate di Siria. Della Siria e della sua guerra, che è un po’ come ‘l’isola che non c’è’. Oscurata dallo scontro Israele-Hamas e ora dall’aggravarsi della crisi in Iraq, dove il Premier uscente al-Maliki rifiuta la nomina dell’esponente sciita al-Abadi, incaricato dal Presidente Fuad Masum di formare un nuovo Governo e dove avanza il Califfato Islamico che ha conquistato la città di Jalawla, a 130 chilometri a nord-est di Baghdad, minacciando i confini meridionali della Regione autonoma del Kurdistan. Si legge poco. O niente. E la Siria sembra ormai un Paese congelato in uno situazione senza tempo e senza via di uscita.
Nonostante i 170mila morti (in 3 anni e mezzo di violenze, il numero delle vittime siriane supera quello delle vittime della guerra civile libanese durata 15 anni, dal 1975 al 1990); più di 7 milioni di sfollati interni e circa 9,5 milioni di persone bisognose di assistenza umanitaria (dati OCHA), oltre 1 milione di feriti, di cui più di 650 mila mutilati (dati Syrian Network for Human Rights). I rifugiati registrati dall’UNHCR sono 3 milioni ma i dati si riferiscono appunto solo ai siriani registrati ufficialmente: si calcola, infatti, che almeno un terzo della popolazione sia fuggita dal Paese, avventurandosi anche in pericolosi viaggi per mare.
Qualche giorno di attenzione sui media a larga diffusione, la Siria l’aveva guadagnata, durante le elezioni presidenziali del 3 giugno scorso. Elezioni pluralistiche solo da un unto di vista tecnico e non rappresentative di tutto il Paese dato che si erano svolte solo nelle zone controllate da Regime. E non legittime perché avvenute dopo un cambiamento della legge elettorale che- di fatto – escludeva gli esponenti della coalizione degli oppositori all’estero e i dissidenti storici. Vinte come previsto da Bashar al -Asad.
Elezioni contestate, svolte in un Paese in guerra conclamata, minacciato dall’emergenza dei gruppi jihadisti legati o meno ad al Qaeda, dove l’allora gruppo estremista dell’ISIS (Stato Islamico dell’Iraq e delle Siria) chiamato dai siriani Daesh (Dawla Islamiya fi Iraq wa Sham) ora Califfato (Stato Islamico, IS) dopo l’auto-proclamazione del suo leaderAbu- Bakhr al Baghdadi-aveva già preso possesso di larghe fette del territorio a nord est della Siria. E’ quindi pur vero che -esistono numerose testimonianze- molti siriani saranno andati a votare pensando: ‘alla fine, fra le milizie spietate di Daesh e il dottor Bashar, è Bashar il male minore’.
Ma è forse cambiato qualcosa? Bashar al- Asad è il signore della guerra di un territorio in larga parte distrutto. La leadership di Damasco controlla le zone occidentali del Paese, da Damasco a Latakia, passando per Homs. Mentre l’est è ‘governato’ in buona parte dallo Stato Islamico, ‘il Califfato’. L’Esercito Siriano Libero sta perdendo terreno. Gli altri gruppi ribelli si contendono, lottando fra di loro e contro l’Esercito regolare, il nord della Siria, tra cui Aleppo e le province di Idlib e Hama. Le forze sul terreno sono variegate e si scontrano appunto spesso fra loro. Il più forte rimane sempre il ‘Califfato’.
Secondo l’Institute for the Study of war, lo scorso luglio, lo Stato Islamico ha conquistato alcune città lungo il fiume Eufrate: come Deir Ezzor, sesta città siriana per numero di abitanti, e ora controlla circa l’80 per cento della provincia. Sembra che abbia recentemente preso possesso anche di una base militare a Raqqa e una seconda base nella provincia nord-orientale di Hasaka. Ancora secondo l’Institute for the Study of war, il Califfato ha raggiunto anche Aleppo (in parte ancora in mano all’Esercito siriano libero) e pesantemente bombardata dall’aviazione governativa.
Una situazione fluida, con alleanze che si fanno e si disfano nel giro di pochi giorni. I civili come sempre, tragicamente intrappolati fra i vari contendenti di una guerra che -pur interessando pochi- è invece sempre più sanguinosa. Gli ultimi due mesi (giugno e luglio) secondo il Centro di documentazione delle violazioni in Siria hanno registrato un altissimo numero di morti, più di 1300.
Il Califfato combatte anche i curdi siriani nel nord del Paese -che avevano già dichiarato la propria indipendenza dal Governo centrale nell’autunno del 2013- con esiti altalenanti. Il PYD (Democratic Union Party) e il suo braccio armato, si stanno contendendo da mesi la ragione siriana diHassakah che confina con il Kurdistan iracheno e il sud della Turchia (sempre a maggioranza curda).
E’ evidente, quindi che -a parte il dramma dei siriani e la crisi umanitaria – non possiamo disinteressarci della Siria. Le connessioni con i Paesi confinanti sono evidenti e pericolose. Si sta ridisegnando una nuova mappa della Regione. Il Califfato potrebbe arrivare a minacciare la stessa area controllata da Bashar al Asad. Questa abitudine molto italiana di considerare i problemi e le crisi di Paesi vicini a noi come la Sira, come problemi che non ci riguardano -se non per la paura egoistica di dover ospitare i rifugiati- è un’arma a doppio taglio. Siamo tutti coinvolti in questo cambiamento storico e, anche se è già tardi, sarebbe meglio capirlo.
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L’ansia dell’incertezza. L’impossibilità di programmare una giornata, una settimana; la nebbia che copre il futuro. La sensazione che il futuro non esista: questo ha spinto la mia famiglia a lasciare la Siria. Più delle difficoltà economiche, più della paura. Non avevamo più speranze”. Mahmoud ora vive a Roma con la famiglia. Si è salvato e riesce ancora a sorridere chiedendomi “Ti ricordi la gita a Maloula, nel 2008?”. Può rifarsi una vita. Non come T. di Yabrud, uno degli oppositori pacifici della prima ora. Uno degli organizzatori delle manifestazioni. Una notte è stato portato via dai servizi segreti. E solo pochi giorni fa, dopo tre anni di ricerche, ho avuto la conferma che è stato ucciso. Perché lo sappiamo tutti, lo so -ero in Siria in quel periodo- che durante i primi mesi del 2011, la rivolta non era armata. E che erano i siriani a scendere in piazza a chiedere riforme e libertà. Siriani come T. che non aveva idee molto chiare su chi avrebbe voluto al potere, che era forse un poco ingenuo e alle mie domande rispondeva solo “inshallah”, offrendomi mishmishancora acerbe. Ma era siriano. Siriano e non straniero, non jihadista o radicale. Una fase che oggi si tende a dimenticare. Perché poi sono arrivate le armi, si è formato l’Esercito Siriano Libero, sono intervenute le potenze Regionali e le super potenze. E dal 2012, i combattenti stranieri legati al jihad.
Si legge poco in questa estate di Siria. Della Siria e della sua guerra, che è un po’ come ‘l’isola che non c’è’. Oscurata dallo scontroIsraele-Hamas e ora dall’aggravarsi della crisi in Iraq, dove il Premier uscente al-Maliki rifiuta la nomina dell’esponente sciita al-Abadi, incaricato dal Presidente Fuad Masum di formare un nuovo Governo e dove avanza il Califfato Islamicoche ha conquistato la città di Jalawla, a 130 chilometri a nord-est di Baghdad, minacciando i confini meridionali della Regione autonoma del Kurdistan. Si legge poco. O niente. E la Siria sembra ormai un Paese congelato in uno situazione senza tempo e senza via di uscita.
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Basirma – Shaqlawa (Kurdistan iracheno) – Il Campo di Basirma è a circa 80 chilometri a nord- est di Erbil, nel distretto di Shaqlawa. Appare all’improvviso, dietro una curva, come un miraggio bianco disteso nella pianura secca e giallastra in mezzo alle colline. Il campo, è nato nell’agosto 2013, grazie all’intervento della Regione autonoma del Kurdistan e di Organizzazioni Internazionali, ed è ben strutturato, tranquillo. Lungo
Un hashtag #BloodElection (elezioni di sangue) e uno slogan Sawa(insieme). Il primo è stato scelto dall’Opposizione siriana all’estero, il 9 maggio, per boicottare le Elezioni Presidenziali che si svolgeranno oggi a Damasco e nei territori controllati dal Regime e dai lealisti. Il secondo è il motto scelto dal Presidente Bashar al-Asad, per la campagna elettorale, una parola che vorrebbe sottolineare il concetto di unità. Ma secondo l’ultimo rapporto dell’UNRWA e del Syrian Centre for Policy Research,
Noura al – Ameer, hijab colorato e sorriso aperto, è vice Presidente dl CNS, il Consiglio Nazionale Siriano (National Coalition for Syrian Revolutionary and Opposition Forces). Una delle pochissime donne, fra l’altro, a far parte dell’unica piattaforma politica di Opposizione riconosciuta dalle Diplomazie Occidentali (3 esponenti femminili su 122 membri). La incontriamo al seminario organizzato dall’Istituto Affari internazionali (IAI) sul tema “Sviluppi della Crisi Siriana e recenti prospettive” dove è intervenuta insieme al Segretario Generale del Cns, Badr Jamous, e all’attivista per i diritti umani Michel Kilo.
Per capire gli avvenimenti siriani è necessario conoscere la storia. Nel mio ebook “Qui Siria – Clandestina ritorna a Damasco” ho riportato la cronologia dei fatti principali, dall’antichità ad oggi (precisamente fino a ottobre del 2013, data chiusura delle bozze).
Utilizzando lo strumento TimelineJS (Northwestern University Knight Lab) ecco qui di seguito la cronologia,
Non si può raccontare una storia iniziando da metà libro o dalla fine. Eppure succede spesso quando si legge di Siria. Ma è impossibile capire gli eventi senza aver seguito una narrazione continua e il suo svilupparsi e trasformarsi nel tempo. Se annotiamo solo gli episodi che si succedono rapidi come la sequenza di spot pubblicitari al cinema: perdite e riconquiste di territorio da parte del regime o dagli oppositori armati, dichiarazioni degli attori esterni (i Paesi che sostengono uno schieramento o l’altro), formazione di nuove fazioni, abbiamo per forza un quadro confuso. Quando parliamo di “crisi siriana” dobbiamo per forza ricordare le sue cinque fasi e quindi: le Proteste Pacifiche, la Lotta armata, l‘Internazionalizzazione della crisi, la Guerra civile, una quinta fase che potremmo definire di Trasformazione, caratterizzata dall’apertura, nell’autunno 2013, di un terzo fronte interno.
Le milizie infatti si sono frazionate in combattimenti fra brigate dell’Esercito Siriano Libero (ESL) e formazioni jihadiste. Queste ultime combattono anche contri i miliziani curdi. Ora la Siria è entrata in una sesta fase, che potremmo definire diContro-insurrezione. Anche se le formazioni jihadiste ( jihadismo, in senso contemporaneo, può essere definito come estremismo islamico armato e in Siria, dobbiamo aggiungere, di matrice sunnita) continuano a combattere le brigate dell’ESL per il controllo del territorio, con il fine della formazione di uno stato islamico, una parte dei civili siriani infatti sta reagendo perché non vengano dimenticati gli ideali delle rivolte. Questi civili (cristiani e musulmani) temono e sono vittime dei gruppi estremisti e cercano di opporsi alla violenza di milizie crudeli quanto il regime. C’è quind i una doppia “rivoluzione”. Una contro il regime e una contro gli jihadisti che – anche se combattono contro Bashar – non combattono certo per ideali di libertà e dignità.
Senza dubbio questo è una schema semplificato perché, sul terreno, il gioco delle forze è fluido, instabile. Ma almeno evita semplificazioni più pericolose come, per esempio, quelle che dimenticano la prima fase delle rivolte non armate, represse con violenza dal regime, o quelle che fanno partire il conflitto dalla guerra civile o dall’arrivo dei gruppi jihadisti (il cui afflusso massiccio dall’estero è da registrarsi dal 2012 e non dall’inizio delle rivolte nel 2011).
Intanto la Siria è colpita da una delle crisi umanitarie più gravi al mondo: 140.000 vittime e più di 7 milioni di profughi, tra sfollati interni e rifugiati all’estero. Un milione di questi, in Libano, secondo gli ultimi dati dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr). Il numero corrisponde a un quarto della popolazione libanese residente nel Paese. Profughi siriani si trovano anche in Turchia, Iraq, Giordania; in molte località siriane, si registra una preoccupante emergenza legata alla mancanza di medicinali e di cibo.
La guerra siriana ha già contagiato il Libano e la Turchia. Il Libano è colpito dal punto di vista della sicurezza. Le milizie del partito sciita di Hezbollah combattono al fianco dell’esercito regolare siriano contro i ribelli sunniti. E questo fatto crea destabilizzazione e problemi di sicurezza con attentati, scontri (soprattutto al nord del paese, a Tripoli, e nella zona sud di Beirut) fra sunniti e sciiti libanesi. Mentre sono continui gli incidenti alla frontiera turca. La tensione nei rapporti tra Damasco e Ankara, ha subito un’accelerazione con il recente abbattimento – da parte della difesa antiaerea turca – di un jet siriano nel nord della provincia di Latakia, con conseguente scambio di accuse fra i due Paesi.
Da metà marzo, il regime di Bashar al-Assad ha registrato alcune vittorie sul terreno, riconquistando Yabroud, un centro vicino alla frontiera con il Libano, e altri villaggi prima sotto il controllo dei ribelli. Ma la zona nord del Paese è invece controllata in parte dall’ESL, in parte dall’Isis (formazione jihadista legata ad al Qaida) e altri gruppi jihadisti, in parte dai miliziani curdi. Nessuno vuole posare le armi. Tutti pensano di vincere,e per il momento non vi è uno schieramento che stia prendendo il sopravvento sull’altro in maniera netta. Dall’inizio delle rivolte, l’esercito (nonostante le defezioni) è comunque rimasto di base fedele a Bashar al- Assad. E questo fa la differenza. Anche per questo, Bashar al Assad è ancora al potere.
Il fallimento di Ginevra 2 ( l’incontro si è svolto in due sessioni, la prima fra il 22 e il 31 gennaio 2014, a Montreux , la seconda tra il 10 e il 15 febbraio a Ginevra, e la nuova crisi internazionale ( legata alla Crimea e all’ Ucraina) che ha allontanato di nuovo la Russia e Stati Uniti, dimostrano che non è possibile risolvere il dramma siriano attraverso una soluzione politica.
Siria, domani. La diplomazia non è riuscita neppure ad ottenere una tregua significativa. O la possibilità di far arrivare gli aiuti umanitari in vaste aree del Paese. L’ipotesi più plausibile per ora rimane quindi il perdurare, per un lungo tempo, di una guerra ogni giorno più crudele.