Era il 28 ottobre 2011 quandoil leader del partito islamista al-Nahda, Rachid Ghannuchi, ritornato in patria da Londra , dopo la fuga di Ben Alì, dichiarava entusiasta «la Tunisia sarà una società democratica, un modelloper il mondo arabo». Purtroppo oggi, a due anni dall’affermazione, il Paese rimane instabile. I partiti politici, nella notte fra il 4 e il 5 novembre, hanno rotto i colloqui per formare un governo provvisorio. Fumata nera sull’accordo per la scelta del Primo Ministro ad interim. La Troika al potere – composta da Ettakatol,Congresso per la Repubblica e al-Nahda – e l’opposizione liberale, si erano posti l’obiettivo di raggiungere una intesa sulla candidatura del Premier entro sabato. Ma l’obiettivo è fallito. Un accordo senza dubbio difficile. Si tratta infatti di trovare una figura indipendente e accettata dalle due parti, in grado di guidare un futuro governo di unità nazionale. E una sconfitta che riflette senza dubbio la sfiducia reciproca fra gli islamisti e i partiti del “dissenso laico”, soprattutto dopo l’omicidio del parlamentare d’opposizione Mohammed Brahmi avvenuto a luglio (e quello di Shukri Belaid, a febbraio). Ma certo non solo questo.
Che cosa sta accadendo quindi in Tunisia? Abbiamo raggiunto a Tunisi, via Skype, Pietro Longo, Postdoctoral Research Fellow in Diritto Musulmano e dei Paesi islamici all’Università di Napoli, e Ricercatore presso l’IsAG.
L’assemblea Costituente, incaricata di redigere la nuova Costituzione, sembra aver perso ormai la sua credibilità. Quali sono i motivi principali?
Il 23 ottobre scorso l’Assemblea Nazionale Costituente ha compiuto il suo anniversario e, contestualmente, si sono svolte numerose manifestazioni-contro. L’accusa principale è di essere un organo ormai illegittimo dato che il suo mandato è scaduto da un anno. Se la Troika, è risoluta a mantenere saldo il potere per proseguire con la road map, il fronte dell’opposizione è diviso. Innanzitutto la road map è stata caldeggiata dal sindacato UGTT (Unione generale dei lavoratori tunisini) e altri sindacati e organizzazioni civiche e ha raccolto il benestare di alcuni partiti dell’opposizione come l’Alleanza Democratica. Questa road map dovrebbe condurre allo scioglimento dell’attuale governo di Ali Larayedh di al-Nahda, nominare un esecutivo di tecnici, condurre il paese all’adozione della nuova Costituzione e a nuove elezioni. Al-Nahda si era detto disposto a sciogliere l’esecutivo, dopo che i numerosi attentati alle forze dell’ordine hanno dimostrato che il ministero degli interni non controlla la sicurezza in tutto il paese. Inoltre, l’Assemblea Costituente è in stallo perché almeno 40 membri si sono dimessi, già in luglio in seguito all’assassinio di Mohammed Brahmi. Il più cruento omicidio politico – dopo quello di Shukri Belaid – teso a balcanizzare il processo di transizione in un momento in cui sembrava arrivato ad unaconclusione (la quarta bozza costituzionale era stata già proposta all’approvazione della Costituente in giugno).
Il nodo principale da sciogliere? E chi sono gli esponenti proposti come candidati dal Governo e dall’Opposizione?
Un nodo fondamentale, secondo me, è il mancato accordo sul significato stesso del” Dialogo nazionale” lanciato in ottobre in occasione della stesura della road map e dell’anniversario della Costituente. Manca appunto una definizione della nozione di “consenso”: è necessario che le decisioni siano adottateall’unanimità o a maggioranza? In entrambi i casi, tuttavia, i deputati della Troika devono cercare di attirare a sé pezzi dell’opposizione che, nell’un caso o nell’altro, sono indispensabili per assumere le decisioni e riportare in vita la Costituente. Ciò, a sua volta, è condizionato alla scelta del nuovo Primo Ministro. Il Fronte di Salvezza Nazionale, ovvero l’opposizione irriducibile che non ha accettato la road map, ha proposto Mohammed Ennaceur, considerato il migliorcandidato attorno al quale costruire un consenso. Ennaceur è stato Ministro degli Affari Sociali durante il governo di Bourghiba e ha ricoperto cariche durante le primissime fasi della transizione con il governo di Ghannouchi e poi di Beji Caid Essebsi. È considerato un laico e un uomo politico affidabile ma non è “l’uomo della troika”. Al-Nahdasostiene infatti la candidatura di Ahmad Mestiri, anch’egli ministro sotto Bourghiba. L’opposizione,per esempio Hamma Hammami,critica questa scelta perché, l’età anziana di Mestiri, lo renderebbe un pupazzo nelle mani di al-Nahda. Sarebbe cioè un modo per mantenere un controllo seppur velato.
Esistono responsabilità da parte del contesto internazionale?
Per esempio, quella del Fondo Monetario Internazionale che non ha versato la terza rata del prestito di 1m7 miliardi di dollari accordato nel 2012. Contestualmente la Banca Africana dello Sviluppo ha rilasciato una dichiarazione in cui si dice che non è possibile sostenere “a tempo indeterminato” i paesi della primavera, colpevoli del fatto di non riuscire a uscire dalla fase di transizione.
Che dire? Sono passati quasi tre anni quando l’ambulante Mohammad Bouazizi si diede fuoco nel dicembre del 2010, innescando così il processo di proteste nel nord Africa. Dalla cacciata di Ben Ali nel 2011, il Paese ha vissuto diverse fasi, in una alternanza di entusiasmo, speranza, crisi, delusione, rabbia, frustrazione. Non ci resta che aspettare. Tunisia, prossimo atto.
Generalizzata sfiducia nelle istituzioni, errori su Economia e Sicurezza
«I particolari li capiva anche uno scolaretto, ma nell’insieme nessuno sapeva bene che cosa stesse avvenendo, tranne poche persone e nemmeno quelle erano sicure di saperlo» scrive Robert Musil. E così ci appaiono ora i Paesi del Medio e Vicino Oriente protagonisti delle rivolte iniziate nel 2011. La Siria rappresenta senza dubbio il caso più complesso ma anche l’Egitto e la Tunisia navigano ancora in acque agitate. Come diceva Musil, il problema è vedere l’insieme. Non è possibile analizzare solo un elemento per volta, decontestualizzando. Occuparsi di un Paese solo in un momento particolare di crisi. Così, se già quasi non si parla più dell’Egitto – ignorando la grave emergenza economica, il prolungamento dello Stato di emergenza, del coprifuoco, della manifestazioni e della repressione dei Militari nei confronti di qualsiasi forma di opposizione (non solo quella dei Fratelli Musulmani) – la Tunisia è tornata sui media solo dopo l’omicidio dell’esponente dell’opposizione Shukri Belaid, a febbraio e dopo un secondo omicidio, quello di Mohamad Brahmi, avvenuto a luglio. Forse qualcuno ricorda ancora che l’ambulante Mohammad Bouazizi si diede fuoco nel dicembre del 2010, innescando così il processo di proteste nel nord Africa. E poi? Niente di nuovo sul fronte tunisino? Per orientarci meglio abbiamo fatto qualche domanda a Pietro Longo, Ricercatore in Diritto Musulmano e dei Paesi Islamici, Università di Napoli l’Orientale e Ricercatore presso l’IsAG.
Secondo molti analisti la crisi politica che continua da mesi in Tunisia sta indebolendo la posizione del partito islamista di al- Nahda. E’ ancora possibile un recupero del consenso?
Non è la prima crisi politica nel Paese ma di certo è la più dura. Ed è altrettanto vero che la posizione di al-Nahda è in netta caduta. Un recente sondaggio dimostra che il partito islamico ha perso circa il 25% dei consensi e solo un tunisino su quattrosarebbe disposto a votarlo di nuovo. Tuttavia il malcontento non riguarda solo al-Nahda, ma in Tunisia si respira una generalizzata sfiducia nelle istituzioni. Tutti i partiti, anche quelli che formano la Troika cioè la coalizione di Governo che comprende gli islamisti di al- Nahda, Ettakatol e il Congresso per la Repubblica, sono ritenuti inconcludenti. Il dato che emerge dai sondaggi parla chiaro: i tunisini sono stanchi di una processo di transizione che si è protratto oltremodo nel tempo. Può apparire scontato ma il processo di transizione deve essere breve e quanto più inclusivo. Operazione non facile ma è il principio che deve guidare l’azione dei padri e delle madri costituenti. Un altro dato interessante è la perdita di appeal di molti leaders, tra i quali anche al-Ghannouchi. Rimane popolare invece Hamadi Jebali, il primo capo del governo dimessosi dopo l’omicidio di Shukri Belaid. Cosa si deduce da ciò? Jebali si è dimesso dopo aver avanzato l’ipotesi di formare un governo di tecnici per risolvere la prima crisi, successiva all’uccisione di Belaid. Questo fatto lo ha trasformato da “uomo del partito” in “uomo delle istituzioni”, maturazione politica che al-Nahda non è ancora disposta a fare. Il partito islamico pertanto, a mio avviso, potrà recuperare consensi se si mostrerà disposto a questo passo: rischiare il tutto per tutto a livello politico, sciogliere il governo in favore di un esecutivo tecnico e provare a ripresentarsi alle elezioni.
Il malcontento per l’operato del Governo e l’omicidio di Belaid e Brahmi in luglio, hanno generato molte proteste e manifestazioni massicce. E’ ipotizzabile un colpo di Stato come quello avvenuto in Egitto?
Allo stadio attuale non direi. Non vedo in Tunisia un contropotere forte come quello dei militari egiziani. Si sa che in Egitto l’esercito detiene una leva economica non indifferente. Così non è in Tunisia per radici storiche: in Tunisia, infatti il regime di Ben ‘Ali si è retto per decenni sulla polizia e sui servizi segreti, i due veri poteri fortidell’ex dittatore. L’esercito ha sempre giocato un ruolo marginale. Non è casuale che, all’indomani della rivoluzione dei gelsomini, l’esercito si sia schierato a favore della piazza, contro Ben ‘Ali ma in un modo molto diverso dai fatti egiziani. E’ più probabile che in Tunisia continui una forte ondata di malcontento da parte dell’opposizione laica e di sinistra, capitanata da Nidaa Tunis, sebbene al-Nahda stia cercando un compromesso con il nemico giurato di ieri. Ipocrisia, trasformismo o pragmatismo?
Quali sono stati gli errori della Troika, la Coalizione al Governo?
La Troika ha commesso molti errori tattici. Le elezioni dell’Assemblea Costituente ha consegnato un numero di maggioranza relativa ad al-Nahda che ha formato la coalizione con Ettakatol e al-Nahda, lasciando ai margini quei partiti che apparivano piccoli e/o disorganizzati. Essebsi, che ha colto la palla al balzo per formare NidaaTunis, ha dimostrato di avere una grande popolarità, specie in quello che i politologichiamano il deep State, cioè lo Stato sommerso. La Troika ha evitato di cercare un consenso nazionale cioè ha preferito non coinvolgere tutti i partiti ma così facendo ha creato la dialettica maggioranza/opposizione che è tipica dei Parlamenti non delle Assemblee Costituenti. Il problema di fondo sta proprio qui: l’Assemblea Costituente funziona come un Parlamento ed il governo, sebbene interinale, ne è la diretta emanazione con al-Nahda che ha detenuto tutti i dicasteri chiave, specie l’economia. Una condivisione avrebbe permesso alla Troika di appropriarsi dei dividendi e, al tempo stesso, di dividere equamente i fallimenti eventuali. Un modo per deresponsabilizzarsi è avere molti partner ai quali poter addossare la colpa. Secondo me è stata sottostimata la pratica di “Constitution making”, forse a causa dell’inesperienza diffusa nel mondo arabo circa le politiche costituzionali. Questo è il principale errore sul piano tattico.
E da un punto di vista più specifico?
Gli errori principali riguardano due versanti: economia e sicurezza. Sull’economia si può ancora “fideisticamente” sperare: la stagione turistica è andata sufficientemente bene e, si sa, il volano dell’economia ci impiega molto a girare in modo corretto. Forse il risanamento più celere della compagine economica sarebbe avvenuto affidando il dicastero a una equipe di tecnici. Si tratta soprattutto di politiche macroeconomiche: impostare strategie di ripresa, basate sulla creazione delle condizioni di attrazione di fondi esteri. La Tunisia ha prosperato nei decenni passati grazie a ciò, ovvero agli introiti derivanti dal turismo e dagli Investimenti Diretti Esteri (IDE) che questo settore riusciva ad attrarre. Di certo il miglioramento dell’economia avrebbe inciso anche sulla pressione del malcontento popolare e quindi anche sulla sicurezza. Le bande di criminali prosperano nei sistemi economici in default e ciò ingrossa anche le fila del terrorismo. Al-Nahda, per il tramite di al-Ghannouchi, è stata incauta nel voler giocare “al gatto e al topo” cioè ha teso una mano ai partiti e movimenti islamici quando sperava di poterli usare in funzione anti Nidaa Tunis. Ora che ben due esponenti di prestigio delle forze di sinistra sono stati brutalmente assassinati, ecco che Ansar al-Shariaè iscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche e, contemporaneamente, al-Nahda si volge a Nidaa Tunis. Ancora una volta: una strategia di consensualismo avrebbe forse risparmiato tutto ciò.
In Tunisia non ci sono “poteri forti” come l’esercito egiziano ma la volontà popolare che esprime il dissenso è favorita da qualche altra organizzazione?
In un certo qual modo, un ruolo di “spina nel fianco” lo ricopre il sindacato UGTT,storico sindacato di sinistra dei lavoratori tunisini . Il Sindacato però sta agendo da ago della bilancia tra la Troika e Nidaa Tunis e sta favorendo il dialogo, suggerendo strategie per uscire dalla crisi. Una di esse è la sostituzione di Marzuqi alla testa dello Stato con Essebsi che diverrebbe così il Presidente interinale. Essebsi e Ghannouchi si sono pure incontrati a Parigi qualche settimana fa per discutere di questa eventualità. Resta da capire come faranno le dirigenze dei rispettivi partiti a convincere le rispettive basi elettorali della genuinità di questa negoziazione, senza dare l’apparenza di voler restare aggrappate alle poltrone del potere a tutti i costi. Questo danneggia una legittimità che al-Nahda ha già quasi perduto.
Sono passati quasi due anni da quando, il leader di al-Nahda, al- Ghannuchi dichiarava che “la Tunisia sarebbe stata una società democratica, un modello per il mondo arabo”. Ma la partita non è chiusa.
Il punto sulla situazione dopo l’uccisione di Chokri Belaid
Una premessa necessaria. In Occidente siamo abituati a leggere gli eventi Medio Orientali attraverso chiavi di lettura rigide, cercando di classificare, di creare soprattutto una separazione netta fra i musulmani ‘buoni-moderati’ e ‘cattivi-radicali’. I fenomeni sono invece sempre più complessi. Così l’assassinio di mercoledì di Chokri Belaid, uno dei leader dell’Alleanza laica del Fronte Popolare anti-governativo in Tunisia, non può essere visto solo come uno scontro fra laici e islamisti ma intrecciato a due problemi che sono alla base del Paese: l’economia e la sicurezza.
“Segnali di pesante tensione erano già nell’aria da tempo – racconta per telefono un tunisino che chiede di rimanere anonimo – La massa continua a vivere in condizioni di disagio, i giovani soprattutto sono delusi e molti trovano voce nell’islamismo radicale. Il governo non riesce a soddisfare le richieste della popolazione. E lo scontento è via via accresciuto sfociando nel disordine, nel caos”. Ancora un testimone da Tunisi, dichiara che “il paese soffre problemi di sicurezza, criminalità diffusa, attacchi da parte della “Lega della protezione della rivoluzione” , le milizie che i membri del partito di al- Nahda, continuano a proteggere. E le finanze pubbliche sono in rosso”. “Qualche settimana fa, durante la mia ultima visita nel paese, si respirava una pesante aria di sfiducia” dichiara Pietro Longo, Dottorando in Studi sul Vicino Oriente all’Università l’Orientale di Napoli ed esperto di Diritto Islamico.“In occasione del secondo anniversario della Primavera dei Gelsomini, il centro di Tunisi era gremito di gente che celebrava l’evento. Però saltava agli occhi la massiccia presenza di striscioni e bandiere del partito islamico moderato affiliato alla Fratellanza Musulmana, al-Nahda. La prima riflessione che si può trarre è il palese tentativo di al-Nahda di impossessarsi della retorica rivoluzionaria, cosa che fino a quel momento non era avvenuta. Sappiamo bene che né in Tunisia né in Egitto gli islamisti hanno innescato la rivolta e, correttamente, al-Nahda si era mostrata restia nell’impossessarsi di meriti che non possiede.In quest’occasione invece il partito ha voluto manifestare la propria presenza, ricalcando che il ruolo che ha condotto fino ad ora alla guida del paese”.
Perchè?
I vertici di al-Nahda sono consapevoli che il favore nei loro confronti è in caduta libera. Secondo un sondaggio recente, se si tenessero elezioni in questo periodo al-Nahda dimezzerebbe il proprio consenso a tutto vantaggio di Nidha Tunis, la formazione contenente elementi del vecchio regime di Ben Ali. In questo contesto deve essere letto l’assassinio di Chokri Belaid.
La vittoria dell’Islam politico dopo le rivolte sta dunque slittando verso un ‘fallimento dell’alternativa islamica’?
Fallimento è un concetto forte, però l’ alternativa è messa in pericolo dal discredito che questo evento, insieme ad altri, alimenta. C’è l’impressione che – al di là degli slogan di giustizia sociale e di fine della dittatura,- gli islamisti non siano in grado di gestire un paese. Ma è difficile passare dall’opposizione al governo, così come è difficile compiere miracoli socio-politici in poco tempo..
Certo i partiti religiosi sono sempre stati esclusi dall’agone politico. E secondo i politologi e gli studiosi della democratizzazione, i segni di cambiamento necessitano di due o tre legislature, prima che si manifestino comportamenti politici ‘nuovi’. Non per forza più democratici ma senza dubbio slegati dalle logiche del sistema precedente di Ben Alì.
Che cosa rappresentava Belaid?
Era avvocato e uomo politico. Aveva fatto parte della Commissione per la Realizzazione degli Scopi rivoluzionari che ha guidato la transizione nei suoi primissimi giorni (con a capo Ben Achour, famoso docente e giurista tunisino). Politicamente di ‘sinistra’, cioè equidistante dal regime passato quanto dagli islamisti, è stato feroce critico di entrambi. Apparteneva a quella parte della società civile tunisina che non avrebbe mai desiderato un governo di islamisti. Non solo perché nutriva scarsa considerazione per i loro programmi politici ma, soprattutto a causa della sua predilezione per le istanze laiche. Un agguato brutale in pieno giorno ad el-Menzah, quartiere periferico di Tunisi. Un’azione premeditata e pianificata. Del resto Belaid aveva ricevuto numerose minacce di morte nei mesi passati. Secondo il quotidiano Indipendente, Belaid poco prima di essere ucciso aveva dichiarato che “chiunque si oppone a al- Nahda diviene soggetto a violenza”. Cosa volesse dire con queste parole non è semplice da decifrare. Innegabile comunque che il paese soffra già da qualche tempo per i frequenti episodi di violenza, apparentemente, gratuita. Proprio di recente, uno dei leader di al-Nahda, Abd al-Fattah Mourou, di solito identificato come il più moderato è stato aggredito da alcuni salafiti
Sul clima teso di questo periodo – anche prima dell’omicidio di Chokri Belaid – concorda Francesco Chiabotti, dottorando in Storia dell’Islam Medioevale, all’Université de Provénce “Sono stati vandalizzati almeno una quarantina di mausolei sufi.Il sufismo rappresenta la parte mistica, spirituale della religione. E in Tunisia, esiste una classe media musulmana e progressista, spesso profondamente e sinceramente legata al sufismo. Che osserva con preoccupazione l’ascesa dell’islamismo radicale . Un’ascesa che il partito al- Nahda per incapacità politica non riesce (o non vuole?) contrastare. Posso quindi segnalare da parte di colleghi tunisini, anche l’inquietudine di chi da anni lotta per preservare il patrimonio spirituale e culturale del sufismo. Sono pessimista. In passato le crisi si assestavano perché si credeva nel futuro, oggi il futuro non si vede più. Un episodio che pochi conoscono. La docente universitaria Nelly Amri ha pubblicato un libro sulla Santa di Tunisi il cui mausoleo è stato distrutto. E’ stata minacciata, ha paura. Sono preoccupanti anche i commenti eccitati della ‘umma’ di facebook, che inneggia all’epurazione dei centri sufi, considerati “luoghi di miscredenza”. In questo contesto, va chiarita ancora una volta la differenza fra al- Nahda, un partito religioso, vicino ai Fratelli musulmani, e le frange estreme del Salafismo, legate invece al jihadismo che vogliono sradicare la spiritualità popolare per poter imporre un Islam puritano ispirato ai Wahhabiti“.
“I Salafi ritengono di rappresentare l’Islam puro, quello delle origini, dove la mistica non era contemplata– precisa Pietro Longo. – Questa però è una visione solo di una parte del Salafismo, quello rigorista, che si potrebbe appunto definire ‘wahhabi’, cioè prettamente legata ad un modo di intendere e praticare l’Islam, radicato in Arabia Saudita”.
A questo punto gli analisti si dividono. Molti ritengono che questa corrente salafita sia cresciuta perché gonfiata dai venti della Penisola Araba. E’ una facile conclusione che però dovrebbe essere suffragata da prove. Aggiunge Pietro Longo: “Certo dall’inizio della rivoluzione ad oggi c’è un frequente via vai di Imam sauditi che ‘istruiscono’ gli Imam locali ma davvero si vuole credere che una società cambi il proprio modo di praticare la religione in così poco tempo? al-Ghannushi, leader di al-Nahda, ha scritto che la religiosità tunisina tradizionale (al-tadayyun al-taqlidi al-tunisi) è formata da tre elementi: la mistica, il madhhab malikita prevalente e la teologia ash’arita. Quindi in sostanza il modo con cui l’Islam è praticato a Tunisi conosce da sempre un elemento mistico. Lo stesso leader di al-Nahda però additava questi tre elementi come concause di stagnazione e auspicava un loro superamento (non a una eliminazione) per una riforma religiosa che accompagnasse le istanze moderne.C’è un legame tra ciò e l’atteggiamento dei salafiti verso la mistica?“.
Potere, problemi economici, insoddisfazione delle masse. I fattori s’intrecciano . La Tunisia del ‘dopo-rivoluzione’ non sembra in grado di offrire degne condizioni di vita all’enorme popolazione di giovani e molti credono di trovare la soluzione nell’Islam radicale. La società civile tunisina è omogenea ma gli episodi di violenza non era mai stata accompagnati dalle armi. La domanda che ci poniamo è questa: l’omicidio di Belaid, segna una svolta definiva? Una possibile deriva egiziana? Assisteremo a repressioni pesanti? A un tentativo di riportare ordine attraverso ‘uomini forti’, dall’esercito?
L’Egitto e la Tunisia dopo la fine delle autocrazie ’laiche’
Le vittorie dei Fratelli Musulmani e di En-Nahda sono un insuccesso? E intanto in Siria continua la battaglia mediatica.
Proteste e scontri in Egitto e in Tunisia. Scelte sbagliate del presidente Morsi che dopo essere stato ’acclamato’ per la mediazione – conclusa con successo – nelle trattative della tregua tra Israele e Hamas, è contestato dalla Piazza. Certo, una mossa poco saggia quella di reclamare i pieni poteri. E di imporre una nuova costituzione che riprende pesantemente la Shari’a. Gli egiziani hanno già dimostrato di non essere più disposti ad accettare dittature e il Paese sta vivendo una grave crisi economica e sociale. Ma il percorso da una autocrazia a un governo che garantisca ’democrazia’, sia pure declinata secondo l’Islam politico richiede tempo. Passaggi obbligati. Forse è presto per dire che la partita è persa. Anche in Tunisia dove, ricordiamo, dopo la cacciata di Ben Ali, ha vinto un governo di coalizione con a capo il partito religioso En-Nahda (Rinascita), sono ripresi scontri e proteste. Però En-Nahda deve mediare con il gruppo più radicale che fa parte della coalizione. E i compromessi storici, si sa, non sempre hanno successo. Certo il momento è importante: se fallisce anche l’Islam politico che cosa succederà in questi Paesi così vicini all’Italia e all’Europa? L’instabilità è un lusso che non possiamo permetterci.
Intanto non si profila nessuna soluzione per la Siria. Il generale prussiano Otto von Bismark diceva: “Non si mente mai come per una battuta di caccia, una donna o una guerra”. Siria e armi chimiche. Quale verità? In questi giorni le dichiarazioni e le smentite riguardo all’arsenale chimico in possesso dalla Siria – e che potrebbero essere usato contro i civili – si rincorrono. La ‘BBC’ (attingendo a fonti del Foreign Office) riporta che la leadership di Damasco è pronta farne uso. Il regime dichiara invece di essere contrario all’uso di armi a base di gas contro la popolazione. Anzi, accusa il gruppo jihadista Fronte al-Nusra di controllare una fabbrica di cloro.
Sul terreno appare ormai chiara l’avanzata degli oppositori armati. Non solo al confine con la Turchia, ma anche intorno a Damasco. Gli Stati Uniti continuano ad esprimere la preoccupazione che le armi finiscano in mani estremiste. Ma questo, in parte, è già avvenuto. In uno scenario post-Assad quindi le incognite sono tante. I vari gruppi – o parte dei gruppi che compongono la resistenza armata – potrebbero continuare a combattere. La nuova coalizione eletta a Doha, è davvero in grado di controllare il territorio? Di far deporre le armi? E si dibatte sul ruolo della Russia. Sta allontanandosi dal regime? Mentre nel nord del Libano, a Tripoli, si acutizzano gli scontri fra fazioni pro e contro Bashar Al-Assad. Fonti libanesi parlano di una quindicina di morti nell’ultima settimana.
Dal web continuano ad arrivare tweet e video di cui è impossibile accertare la fonte. Anche i bambini non sfuggono alla strumentalizzazione. Bambini avvolti da bandiere del regime o dell’esercito siriano libero che guardano in telecamere, recitando slogan. E’ davvero l’immagine più triste.
Osama, 28 anni: “i valori dell’Islam non sono in contraddizione con la Democrazia”
“Dopo la caduta di Ben Alì sono diventato un ’ex’ rifugiato politico. Me lo ripeto spesso, ’ex’, e provo una sensazione meravigliosa, difficile da esprimere”, racconta Osama Al- Saghir. Ha 28 anni ed è arrivato in Italia, a otto, insieme alla famiglia perseguitata in Tunisia dal regime.
Seconda generazione, ex presidente dei Giovani Musulmani d’Italia, Osama continua a vivere in Italia, alternando frequenti soggiorni in Tunisia. Infatti è stato eletto, nella circoscrizione Italiana dei tunisini all’estero, fra le fila del partito vincente, En-Nahda e ora fa parte dell’Assemblea Costituente. E’ giustamente orgoglioso e consapevole “del contributo che può portare al suo Paese di origine”.
“Qui, sono cresciuto in una società civile attiva, un fattore indispensabile per la democrazia. Come i valori della libertà e della dignità, totalmente assenti nella Tunisia di Ben Alì”. Osamasottolinea l’importanza per noi occidentali nel capire “che i nostri valori, i valori dell’Islam non sono in contraddizione con la Democrazia. En-Nahda è un partito d’ispirazione islamicaed è stato scelto e votato dal popolo in libere elezioni”.
I ragazzi 2G vivono una doppia identità e sono portatori di due culture. Questo fattore costituisce una ricchezza anche se a volte crea difficoltà. L’Italia è stato sempre un Paese un po’ razzista e ora, per di più è ’invecchiato’ e in crisi economica. I paesi arabi dai quali provengono le famiglie dei ragazzi 2G, stanno invece vivendo una nuovo momento storico, una fase di cambiamento, che li rende diversi da come erano quando i loro genitori sono partiti.
I programmi dei partiti che hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Marocco fanno della religione un elemento unificante.
Forse le ’primavere arabe’ hanno portato finalmente alla luce l’idea che la democrazia possa essere un sistema declinabile in modi diversi, seguendo il percorso storico- culturale dei popoli, delle loro necessità e radici. Non solo pensato quindi su modello occidentale.
L’importazione forzata del ’modello prefabbricato’ di democrazia imposta da George Bush è naufragata nel disastro dell’Iraq. E i danni dei pensatori americani (Samuel Huntington e il suo ’scontro di civiltà’ in testa) hanno avuto un impatto determinante nell’alimentare paure e diffidenze verso una cultura ’altra’ come quella musulmana. Per troppo tempo l’opinione pubblica occidentale è stato pilotata affinché vedesse l’Islam come un pericolo o un rimasuglio storico privo d’importanza nel panorama della globalizzazione. Da far sparire per essere sostituito appunto dal concetto di democrazia eurocentrico.
Invece il momento storico che sta vivendo la sponda Sud del Mediterraneo è proprio caratterizzata da una riconferma dell’identità che fa riferimento all’Islam comeun valoreunificante. E’evidente però che questo ’Islam’ ha un forte valenza politica e non religiosa. E si legge chiaramente nei programmi dei partiti islamici che hanno vinto le elezioni in Tunisia e in Marocco (rispettivamente En- Nahda e PJD, Giustizia e Sviluppo). Programmi che parlano soprattutto di sviluppo, lotta alla corruzione, alla diseguaglianza economica.
In questi Paesi ci sono nuove generazioni che vivono in maniera diversa il rapporto fra religione e modernità, generazioni perfettamente consapevoli dei rischi degli ’estremismi’ e di un tradizionalismo troppo fedele a criteri antichi. Sanno che devono far nascere una società in grado di difendere la libertà di espressione e la tolleranza. Principi che, d’altra parte, sono alla origine delle primavere arabe. Perché ’democrazia’ non significa solo libere elezioni ma anche stato di diritto, libertà civili, autonomia dei poteri, uguaglianza di genere.
Il partito islamico vince le prime elezioni dell’assemblea costituente tunisina.
Nahdah, significa “rinascita“, “rinascimento” e definisce un periodo di effervescenza della cultura e delle intellettualità arabo islamiche mentre l’impero ottomano languiva e poi moriva e le potenze europee si contendevano l’egemonia nel Medio Oriente. Il partito che porta questo nome, e che ha vinto le prime elezioni per l’Assembla Costituente in Tunisia(gli ultimi dati si attestano sul 40% anche se al momento lo scrutinio non è stato ancora ultimato e non si sa quindi se En-Nahdah otterrà la maggioranza dei seggi), è un partito islamico. Il risultato era scontato.
I sondaggi lo davano da tempo favorito ma l’ampiezza del consenso è comunque un segnale importante. Dopo l’entusiasmo suscitato dalla ’Primavera del gelsomino’ che ha portato alla caduta di Zine el Abidine Ben Ali, la società tunisina era apparsa subito divisa.