Abu Baqr al- Baghdadi
Il califfato: dalla Siria all’Iraq, con furore
Le sigle rischiano di confondere il lettore che legge ISIS (Stato islamico dell’Iraq e della Siria) o ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) senza poter dare agli acronimi lo spessore storico.
‘Siria’ e ‘Levante’ sono termini ingannevoli. In realtà, gli arabi usano invece la parola ‘Sham’ o ‘As-Sham’ che significa ‘la Grande Siria’. Non la Sira di oggi, dunque, (almeno prima delle rivolte e della guerra) che confina con la Turchia a nord, la Giordania e Israele a sud, l’Iraq ad est, e il Libano a ovest. Perché ‘la Grande Siria’, invece, comprendeva -prima della divisione dell’Impero Ottomano con l’Accordo Sykes-Picot (il trattato segreto stilato da due diplomatici britannici e francesi, Mark Sykes e Francois George-Picot , alla fine della Prima Guerra Mondiale per dividere le terre dell’Impero Ottomano tra Gran Bretagna e Francia)- la Siria di oggi più parte dei territori di questi Stati.
Per questo gli arabi non usano le sigle occidentali, ma identificano il gruppo estremista sunnita islamico con il nome di Dawla Islamiya fi Iraq wa Sham chiamato familiarmente Daesh dai siriani.
Il trattato di Sykes-Picot, fu un raggiro a danno della Grande Siria e molti arabi non dimenticano ancora ‘la grande offesa’. Per questo, ancora oggi, molti mediorientali, rifiutano di accettare questa divisione e pensano alla Siria come ‘la Grande Siria’.
E se agli occidentali, il termine ‘Califfato’ può far sorridere e sembrare fuori dal tempo, è bene ricordare che proprio della terra di ‘Sham’ (Bilad al-Sham) questo vasta regione di cui facevano parte anche aree dei Paesi sopra citati, nacque il primo Califfato Islamico, quello degli Omayyadi, dal 661 al 750 d.c., con Damasco capitale.
Chiarito questo primo punto storico, passiamo alla Siria, dove il gruppo estremista di matrice qaidista, è comparso sul terreno più di un anno fa, nel febbraio 2013, sventolando le ormai celebri bandiere nere. Combattendo contro il regime, ma con finalità diverse dall’Esercito Siriano Libero (ESL), quelle, appunto, della creazione di un Califfato islamico. E, in secondo tempo, scontrandosi addirittura con alcune brigate dello stesso ESL e agendo quind, di fatto, come ‘forza controrivoluzionaria’ -e cioè indebolendo i ribelli siriani più che la leadership degli Assad. E’ in Siria che l’ISIS si è rafforzato e ha cominciato la sua espansione verso est, impossessandosi di Mosul, la seconda città irachena e arrivando a pochi chilometri dalla capitale, Baghdad.
Molto importante, però, al fine della comprensione dei fatti, è ricordare l’’intrecciarsi‘ continuo e il collegamento delle azioni del gruppo, in Siria e in Iraq dal 2013. Infatti, subito dopo la comparsa in Siria, a Daraya e Aleppo (a febbraio), già nel luglio 2013, il gruppo estremista sunnita, compie una serie di attentati suicidi in Iraq, a Nassiriyya, Mosul, Kirkuk, Bassora. Mentre, nell’agosto 2013, riesce a conquistare la città di Raqqa, sconfiggendo i ribelli dell’Esercito siriano libero (Esl) alleato con i gruppi salafiti di Jabhat al Nusra e Ahrar ash Sham, che avevano strappato la città al regime, nel 6 marzo 2013. Dalla conquista di Raqqa, il gruppo comincia a vessare i civili (anche i musulmani non solo i cristiani) e balzare sulle pagine della cronaca per le azioni crudeli. Afferma di applicare la Sharia (la legge coranica) ma è una interpretazione radicale, secondo molti analisti, distorta. ‘Lo Stato Islamico’ esegue fustigazioni e taglio delle mani ai ladri, espone pubblicamente chi uccide perché accusato di omicidio o di combattere per il regime. Spesso impone l’abolizione del fumo, della musica e velo integrale alle donne.
Proprio perché ormai ‘Lo Stato Islamico‘ rappresenta un pericolo per le vere forze rivoluzionarie, in Siria, i ribelli che combattono contro Bashar al- Assad, si riuniscono sotto il Fronte islamico e cercano (dal dicembre 2013) di cacciarlo dal Paese. In un susseguirsi di vittorie e di sconfitte, alla fine i ribelli siriani perdono. Il risultato finale? A irrobustirsi e a consolidare posizioni o ad addirittura ad avanzar sono l’Isis e il regime. Inoltre, anche i gruppi di jihadisti stranieri combattono da tempo sui due fronti: Siria e Iraq. Un’azione congiunta comprensibile se si pensa che il fine ultimo è cancellare la frontiera fra i due Paesi per la creazione del Califfato.
Due osservazioni ancora. Se in un primo tempo, abbiamo definito l’Isis (o Isil o Dawla Islamiya fi Iraq wa Islam), insomma lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, un gruppo di stampo qaidista perché nato con l’approvazione del leader di al Qaida, Ayman al Zawahiri, e da un primo nucleo operante in Iraq (ISI) in un secondo tempo, all’inizio del 2013, il leader dell’Isi, Abu Baqr al Baghdadi, comincia prendere decisioni ‘unilaterali’. Proclama la sua fusione con il gruppo del Fronte al -Nursa (che invece rivendica la sua autonomia) fino ad essere richiamato dallo stesso Zawahiri in Iraq, e invitato a abbandonare la questione siriana. Ma Abu Baqr al Baghdadi rifiuta di obbedire, rivendica la propria autonomia e si definisce Califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
La seconda. Perché Lo stato Islamico dell’Iraq e del Levante sta collezionando tante vittorie? Superiorità militare sul terreno senza dubbio, però esiste ancora un fattore: la sua organizzazione. Per la prima volta ci troviamo davanti a un gruppo jihadista, estremista che non è nato solo per combattere. Ma per vincere e restare in maniera strutturata. Un gruppo di tipo ‘parastatale’ anche se, il modello che propone è quello di uno Califfato, uno Stato basato, come abbiamo detto, sulla sharia -anzi su una interpretazione oscurantista, deviata della sharia- ma che è in grado, quando s’impossessa di un territorio di rendere operativi scuole, uffici, strutture poliziesche.
Sui media occidentali, il fenomeno Isis vien visto soprattutto come scontro confessionale fra sunniti e sciiti. Ed anche il Presidente iracheno Nuri al Maliki spinge in questa direzione. Ma è riduttivo definire l’Isis solo come ‘gruppo combattente religioso‘. E necessario conoscere la storia. E’ necessario ricordare il potere, la politica, la rivincita.
Si sa, infatti, che in Iraq, la politica di Al Maliki e dei governi a maggioranza sciita al potere dopo la caduta di Saddam Hussein, sono stati penalizzanti nei confronti dei sunniti (il 40% della popolazione se consideriamo anche curdi e turcomanni ). Quindi il successo dello ‘Stato islamico‘ può anche essere visto dai sunniti come rivincita sul potere sciita. Non solo in Iraq ma anche in Siria, dove la dittatura al potere degli Assad, appartiene al ramo sciita degli alawiti (nel Paese la percentuale sunnita è del 74%).
E ancora, il richiamo al Califfato, non riguarda solo l’Islam degli albori, delle prime conquiste, ma ricorda lo scontro per il potere secolare, tra le due confessioni del mondo musulmano: sciiti e sunniti.
Proviamo a pensare alle guerre di religione in Europa. Cattolici e protestanti combatterono per la religione in senso stretto o per il potere secolare? Vittoria dopo vittoria (ma in Iraq alla presa di Mosul, hanno contribuito gli ex ufficiali di Saddam e i gruppi tribali della provincia), gli Stati Uniti rilasciano dichiarazioni contrastanti di intervento sì e intervento no sul territorio o tramite droni o di una alleanza con l’Iran. I Paesi dell’Unione Europea, l’Italia soprattutto, non contano nulla, né sul piano diplomatico nè operativo, mentre la proclamazione di un califfato sunnita, a ridosso del confine tra Iraq e Siria, sta diventando concreta.
Per ora solo i guerrieri curdi (i peshmerga) della regione autonoma del Kurdistan iracheno con capoluogo a Erbil, si sono dimostrati in grado di contrastarli. Dal 12 giugno, dopo che Kirkuk era caduta in mano dell’Isis, è sotto controllo appunto deipeshmerga.
Certo l’attacco dell’Isis al Governo irecheno rappresenta una buona occasione per i curdi iracheni che mirano alla costituzione di uno Stato vero e proprio e in passato si sono scontrati con il Governo di Baghdad per dispute territoriali sul Governatorato di Kirkuk e di Salaheddine. Ora, di fronte alla totale impreparazione dell’Esercito iracheno, la leadership di Baghdad ha chiesto ufficialmente al Governatorato del Kurdistan di impiegare i peshmerga contro Isis.
In Siria si continua a combattere anche dopo le ‘elezioni presidenziali‘ e le opzioni sono ancora tutte aperte. Un fatto appare, pero, altamente provabile: accordo Sykes-Picot, addio. L’avanzata dell’Isis ha il reale potere di cambiare gli assetti regionali del Medio Oriente e i confini tracciati dall’Occidente dopo la prima guerra mondiale per la spartizione dell’area.
Antonella Appiano per ©Lindro Il Califfato: dalla Sira all’ Iraq con furore – Tutti i diritti riservati
Vedi anche: La terza guerra d’Iraq
Per approfondire:
Chi rivuole il Califfato in Siria?
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Siria: scenari possibili post elezioni 2014
Il fondamentalismo islamico
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