Al-Nahda
Tunisia: tempi duri per i negoziati
Era il 28 ottobre 2011 quando il leader del partito islamista al-Nahda, Rachid Ghannuchi, ritornato in patria da Londra , dopo la fuga di Ben Alì, dichiarava entusiasta «la Tunisia sarà una società democratica, un modello per il mondo arabo». Purtroppo oggi, a due anni dall’affermazione, il Paese rimane instabile. I partiti politici, nella notte fra il 4 e il 5 novembre, hanno rotto i colloqui per formare un governo provvisorio. Fumata nera sull’accordo per la scelta del Primo Ministro ad interim. La Troika al potere – composta da Ettakatol, Congresso per la Repubblica e al-Nahda – e l’opposizione liberale, si erano posti l’obiettivo di raggiungere una intesa sulla candidatura del Premier entro sabato. Ma l’obiettivo è fallito. Un accordo senza dubbio difficile. Si tratta infatti di trovare una figura indipendente e accettata dalle due parti, in grado di guidare un futuro governo di unità nazionale. E una sconfitta che riflette senza dubbio la sfiducia reciproca fra gli islamisti e i partiti del “dissenso laico”, soprattutto dopo l’omicidio del parlamentare d’opposizione Mohammed Brahmi avvenuto a luglio (e quello di Shukri Belaid, a febbraio). Ma certo non solo questo.
Che cosa sta accadendo quindi in Tunisia? Abbiamo raggiunto a Tunisi, via Skype, Pietro Longo, Postdoctoral Research Fellow in Diritto Musulmano e dei Paesi islamici all’Università di Napoli, e Ricercatore presso l’IsAG.
L’assemblea Costituente, incaricata di redigere la nuova Costituzione, sembra aver perso ormai la sua credibilità. Quali sono i motivi principali?
Il 23 ottobre scorso l’Assemblea Nazionale Costituente ha compiuto il suo anniversario e, contestualmente, si sono svolte numerose manifestazioni-contro. L’accusa principale è di essere un organo ormai illegittimo dato che il suo mandato è scaduto da un anno. Se la Troika, è risoluta a mantenere saldo il potere per proseguire con la road map, il fronte dell’opposizione è diviso. Innanzitutto la road map è stata caldeggiata dal sindacato UGTT (Unione generale dei lavoratori tunisini) e altri sindacati e organizzazioni civiche e ha raccolto il benestare di alcuni partiti dell’opposizione come l’Alleanza Democratica. Questa road map dovrebbe condurre allo scioglimento dell’attuale governo di Ali Larayedh di al-Nahda, nominare un esecutivo di tecnici, condurre il paese all’adozione della nuova Costituzione e a nuove elezioni. Al-Nahda si era detto disposto a sciogliere l’esecutivo, dopo che i numerosi attentati alle forze dell’ordine hanno dimostrato che il ministero degli interni non controlla la sicurezza in tutto il paese. Inoltre, l’Assemblea Costituente è in stallo perché almeno 40 membri si sono dimessi, già in luglio in seguito all’assassinio di Mohammed Brahmi. Il più cruento omicidio politico – dopo quello di Shukri Belaid – teso a balcanizzare il processo di transizione in un momento in cui sembrava arrivato ad una conclusione (la quarta bozza costituzionale era stata già proposta all’approvazione della Costituente in giugno).
Il nodo principale da sciogliere? E chi sono gli esponenti proposti come candidati dal Governo e dall’Opposizione?
Un nodo fondamentale, secondo me, è il mancato accordo sul significato stesso del” Dialogo nazionale” lanciato in ottobre in occasione della stesura della road map e dell’anniversario della Costituente. Manca appunto una definizione della nozione di “consenso”: è necessario che le decisioni siano adottate all’unanimità o a maggioranza? In entrambi i casi, tuttavia, i deputati della Troika devono cercare di attirare a sé pezzi dell’opposizione che, nell’un caso o nell’altro, sono indispensabili per assumere le decisioni e riportare in vita la Costituente. Ciò, a sua volta, è condizionato alla scelta del nuovo Primo Ministro. Il Fronte di Salvezza Nazionale, ovvero l’opposizione irriducibile che non ha accettato la road map, ha proposto Mohammed Ennaceur, considerato il migliorcandidato attorno al quale costruire un consenso. Ennaceur è stato Ministro degli Affari Sociali durante il governo di Bourghiba e ha ricoperto cariche durante le primissime fasi della transizione con il governo di Ghannouchi e poi di Beji Caid Essebsi. È considerato un laico e un uomo politico affidabile ma non è “l’uomo della troika”. Al-Nahda sostiene infatti la candidatura di Ahmad Mestiri, anch’egli ministro sotto Bourghiba. L’opposizione, per esempio Hamma Hammami, critica questa scelta perché, l’età anziana di Mestiri, lo renderebbe un pupazzo nelle mani di al-Nahda. Sarebbe cioè un modo per mantenere un controllo seppur velato.
Esistono responsabilità da parte del contesto internazionale?
Per esempio, quella del Fondo Monetario Internazionale che non ha versato la terza rata del prestito di 1m7 miliardi di dollari accordato nel 2012. Contestualmente la Banca Africana dello Sviluppo ha rilasciato una dichiarazione in cui si dice che non è possibile sostenere “a tempo indeterminato” i paesi della primavera, colpevoli del fatto di non riuscire a uscire dalla fase di transizione.
Che dire? Sono passati quasi tre anni quando l’ambulante Mohammad Bouazizi si diede fuoco nel dicembre del 2010, innescando così il processo di proteste nel nord Africa. Dalla cacciata di Ben Ali nel 2011, il Paese ha vissuto diverse fasi, in una alternanza di entusiasmo, speranza, crisi, delusione, rabbia, frustrazione. Non ci resta che aspettare. Tunisia, prossimo atto.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Tunisia tempi duri per i negoziati (riproducibile citando la fonte)
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Continua la Crisi politica in Tunisia
Generalizzata sfiducia nelle istituzioni, errori su Economia e Sicurezza
«I particolari li capiva anche uno scolaretto, ma nell’insieme nessuno sapeva bene che cosa stesse avvenendo, tranne poche persone e nemmeno quelle erano sicure di saperlo» scrive Robert Musil. E così ci appaiono ora i Paesi del Medio e Vicino Oriente protagonisti delle rivolte iniziate nel 2011. La Siria rappresenta senza dubbio il caso più complesso ma anche l’Egitto e la Tunisia navigano ancora in acque agitate. Come diceva Musil, il problema è vedere l’insieme. Non è possibile analizzare solo un elemento per volta, decontestualizzando. Occuparsi di un Paese solo in un momento particolare di crisi. Così, se già quasi non si parla più dell’Egitto – ignorando la grave emergenza economica, il prolungamento dello Stato di emergenza, del coprifuoco, della manifestazioni e della repressione dei Militari nei confronti di qualsiasi forma di opposizione (non solo quella dei Fratelli Musulmani) – la Tunisia è tornata sui media solo dopo l’omicidio dell’esponente dell’opposizione Shukri Belaid, a febbraio e dopo un secondo omicidio, quello di Mohamad Brahmi, avvenuto a luglio. Forse qualcuno ricorda ancora che l’ambulante Mohammad Bouazizi si diede fuoco nel dicembre del 2010, innescando così il processo di proteste nel nord Africa. E poi? Niente di nuovo sul fronte tunisino? Per orientarci meglio abbiamo fatto qualche domanda a Pietro Longo, Ricercatore in Diritto Musulmano e dei Paesi Islamici, Università di Napoli l’Orientale e Ricercatore presso l’IsAG.
Secondo molti analisti la crisi politica che continua da mesi in Tunisia sta indebolendo la posizione del partito islamista di al- Nahda. E’ ancora possibile un recupero del consenso?
Non è la prima crisi politica nel Paese ma di certo è la più dura. Ed è altrettanto vero che la posizione di al-Nahda è in netta caduta. Un recente sondaggio dimostra che il partito islamico ha perso circa il 25% dei consensi e solo un tunisino su quattro sarebbe disposto a votarlo di nuovo. Tuttavia il malcontento non riguarda solo al-Nahda, ma in Tunisia si respira una generalizzata sfiducia nelle istituzioni. Tutti i partiti, anche quelli che formano la Troika cioè la coalizione di Governo che comprende gli islamisti di al- Nahda, Ettakatol e il Congresso per la Repubblica, sono ritenuti inconcludenti. Il dato che emerge dai sondaggi parla chiaro: i tunisini sono stanchi di una processo di transizione che si è protratto oltremodo nel tempo. Può apparire scontato ma il processo di transizione deve essere breve e quanto più inclusivo. Operazione non facile ma è il principio che deve guidare l’azione dei padri e delle madri costituenti. Un altro dato interessante è la perdita di appeal di molti leaders, tra i quali anche al-Ghannouchi. Rimane popolare invece Hamadi Jebali, il primo capo del governo dimessosi dopo l’omicidio di Shukri Belaid. Cosa si deduce da ciò? Jebali si è dimesso dopo aver avanzato l’ipotesi di formare un governo di tecnici per risolvere la prima crisi, successiva all’uccisione di Belaid. Questo fatto lo ha trasformato da “uomo del partito” in “uomo delle istituzioni”, maturazione politica che al-Nahda non è ancora disposta a fare. Il partito islamico pertanto, a mio avviso, potrà recuperare consensi se si mostrerà disposto a questo passo: rischiare il tutto per tutto a livello politico, sciogliere il governo in favore di un esecutivo tecnico e provare a ripresentarsi alle elezioni.
Il malcontento per l’operato del Governo e l’omicidio di Belaid e Brahmi in luglio, hanno generato molte proteste e manifestazioni massicce. E’ ipotizzabile un colpo di Stato come quello avvenuto in Egitto?
Allo stadio attuale non direi. Non vedo in Tunisia un contropotere forte come quello dei militari egiziani. Si sa che in Egitto l’esercito detiene una leva economica non indifferente. Così non è in Tunisia per radici storiche: in Tunisia, infatti il regime di Ben ‘Ali si è retto per decenni sulla polizia e sui servizi segreti, i due veri poteri forti dell’ex dittatore. L’esercito ha sempre giocato un ruolo marginale. Non è casuale che, all’indomani della rivoluzione dei gelsomini, l’esercito si sia schierato a favore della piazza, contro Ben ‘Ali ma in un modo molto diverso dai fatti egiziani. E’ più probabile che in Tunisia continui una forte ondata di malcontento da parte dell’opposizione laica e di sinistra, capitanata da Nidaa Tunis, sebbene al-Nahda stia cercando un compromesso con il nemico giurato di ieri. Ipocrisia, trasformismo o pragmatismo?
Quali sono stati gli errori della Troika, la Coalizione al Governo?
La Troika ha commesso molti errori tattici. Le elezioni dell’Assemblea Costituente ha consegnato un numero di maggioranza relativa ad al-Nahda che ha formato la coalizione con Ettakatol e al-Nahda, lasciando ai margini quei partiti che apparivano piccoli e/o disorganizzati. Essebsi, che ha colto la palla al balzo per formare Nidaa Tunis, ha dimostrato di avere una grande popolarità, specie in quello che i politologi chiamano il deep State, cioè lo Stato sommerso. La Troika ha evitato di cercare un consenso nazionale cioè ha preferito non coinvolgere tutti i partiti ma così facendo ha creato la dialettica maggioranza/opposizione che è tipica dei Parlamenti non delle Assemblee Costituenti. Il problema di fondo sta proprio qui: l’Assemblea Costituente funziona come un Parlamento ed il governo, sebbene interinale, ne è la diretta emanazione con al-Nahda che ha detenuto tutti i dicasteri chiave, specie l’economia. Una condivisione avrebbe permesso alla Troika di appropriarsi dei dividendi e, al tempo stesso, di dividere equamente i fallimenti eventuali. Un modo per deresponsabilizzarsi è avere molti partner ai quali poter addossare la colpa. Secondo me è stata sottostimata la pratica di “Constitution making”, forse a causa dell’inesperienza diffusa nel mondo arabo circa le politiche costituzionali. Questo è il principale errore sul piano tattico.
E da un punto di vista più specifico?
Gli errori principali riguardano due versanti: economia e sicurezza. Sull’economia si può ancora “fideisticamente” sperare: la stagione turistica è andata sufficientemente bene e, si sa, il volano dell’economia ci impiega molto a girare in modo corretto. Forse il risanamento più celere della compagine economica sarebbe avvenuto affidando il dicastero a una equipe di tecnici. Si tratta soprattutto di politiche macroeconomiche: impostare strategie di ripresa, basate sulla creazione delle condizioni di attrazione di fondi esteri. La Tunisia ha prosperato nei decenni passati grazie a ciò, ovvero agli introiti derivanti dal turismo e dagli Investimenti Diretti Esteri (IDE) che questo settore riusciva ad attrarre.
Di certo il miglioramento dell’economia avrebbe inciso anche sulla pressione del malcontento popolare e quindi anche sulla sicurezza. Le bande di criminali prosperano nei sistemi economici in default e ciò ingrossa anche le fila del terrorismo. Al-Nahda, per il tramite di al-Ghannouchi, è stata incauta nel voler giocare “al gatto e al topo” cioè ha teso una mano ai partiti e movimenti islamici quando sperava di poterli usare in funzione anti Nidaa Tunis. Ora che ben due esponenti di prestigio delle forze di sinistra sono stati brutalmente assassinati, ecco che Ansar al-Sharia è iscritto nella lista delle organizzazioni terroristiche e, contemporaneamente, al-Nahda si volge a Nidaa Tunis.
Ancora una volta: una strategia di consensualismo avrebbe forse risparmiato tutto ciò.
In Tunisia non ci sono “poteri forti” come l’esercito egiziano ma la volontà popolare che esprime il dissenso è favorita da qualche altra organizzazione?
In un certo qual modo, un ruolo di “spina nel fianco” lo ricopre il sindacato UGTT, storico sindacato di sinistra dei lavoratori tunisini . Il Sindacato però sta agendo da ago della bilancia tra la Troika e Nidaa Tunis e sta favorendo il dialogo, suggerendo strategie per uscire dalla crisi. Una di esse è la sostituzione di Marzuqi alla testa dello Stato con Essebsi che diverrebbe così il Presidente interinale. Essebsi e Ghannouchi si sono pure incontrati a Parigi qualche settimana fa per discutere di questa eventualità. Resta da capire come faranno le dirigenze dei rispettivi partiti a convincere le rispettive basi elettorali della genuinità di questa negoziazione, senza dare l’apparenza di voler restare aggrappate alle poltrone del potere a tutti i costi. Questo danneggia una legittimità che al-Nahda ha già quasi perduto.
Sono passati quasi due anni da quando, il leader di al-Nahda, al- Ghannuchi dichiarava che “la Tunisia sarebbe stata una società democratica, un modello per il mondo arabo”. Ma la partita non è chiusa.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Continua la crisi politica in Tunisia (riproducibile citando la fonte)
Tutte le sfide della Giordania
La situazione nel regno Hascemita
Tutte le sfide della Giordania
“Ai pasticceri di Versailles, come a molti cuochi, erano avanzati ritagli di pasta dopo aver riempito gli stampi del mondo, e questo è uno di quei rimasugli” scrisse nel 1923, Junius Wood, inviato del National Geographic. Il ’rimasuglio’ era la Transgiordania, il Paese creato sulla carta, durante la Conferenza di Pace di Versailles, dai Paesi vincitori della Prima guerra mondiale. La Transgiordania, viene ’regalato’ ad Abdallah, secondogenito dello Sheikh della Mecca Husayn, come ricompensa per l’aiuto prestato durante la Prima guerra mondiale contro i turchi. Ma in realtà, Abdallah può fare poco. La Trangiordania è di fatto governata dalla Gran Bretagna. Passano gli anni e la Storia. Nel 1949 è il primo stato arabo a firmare il trattato di Pace con Israele, dopo la guerra del 1948. Per questo, la Trangiordania che intanto ha conquistato l’indipendenza, diventando il Regno Hascemita di Giordania, sarà ’ricompensata’ dall’Occidente con la cessione dei territori, a ovest del fiume Giordano, la Cisgiordania e una parte di Gerusalemme (che sarà occupata da Israele nella guerra dei 1967). Sarà Re Hussein, nipote di Abdullah, a cedere i diritti sulla Cisgiordania ai palestinesi nel 1988, anzi a Yesser Arafat a capo dell’Olp, che annuncia così la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese. Una buona mossa quella di Re Hussein. Compiuta in nome della stabilizzazione dei rapporti fra i Paesi arabi e Israele. Per la pace. Anche se purtroppo le buone intenzioni non sono state ricompensate.