Alawuiti

L’ambiguità dell’Arabia Saudita

I Sauditi, schierati con l’Opposizione siriana, cominciano a cercare una soluzione politico – diplomatica?

Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita (una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).   Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

a qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché? – See more at: http://www.lindro.it/politica/2013-06-13/87026-lambiguita-dei-sauditi#sthash.koUEb6Wh.dpuf

Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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Ma qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché?

Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera,come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.

La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche da ragioni di politica interna.

Lo schieramento anti-Assad  ha rappresentato l’escamotage per allontanare l’attenzione dai mille problemi della Monarchia saudita, che certo non è un modello di democrazia e deve fare i conti, nonostante la ricchezza con corruzione, disoccupazione, rivolte nelle fasce sciite, conflitti tribali. Importanti anche le motivazioni del consenso interno.Ergendosi infatti a paladino dei sunniti, il Regno saudita, ha senza dubbio ottenuto l’appoggio dei sunniti wahabiti più conservatori.

Ma oggi sembra appunto che la casa regnante dei Saud, abbia qualche ripensamento. Che deriva soprattutto da tre fattori.  Gli attriti con il Qatar, la morte del re Abd Allāh bin Abd al-Azīz Āl Saūd e la sua successione e la paura di una deriva jihadista in Siria.

Il Qatar. C’è stato un momento, prima del’inizio delle manifestazioni, in cui l’Arabia Saudita, insieme al Qatar, l’altro grande sponsor dell’Opposizione siriana,  aveva  cercato di allontanare la leadership di Damasco  dalla sfera iraniana.  Ma dopo lo scoppio  della crisi, il connubio fra sauditi e qatarini  si è via via raffreddato. Il Qatar infatti  ha procurato aiuti  e appoggio  ai Fratelli musulmani siriani, il gruppo più forte all’interno della Coalizione nazionale siriana.

In risposta, l’Arabia saudita, si è da poco schierata a favore dei gruppi laici presenti nella stessa Coalizione nazionale e  in opposizione al predominio della Fratellanza musulmana. La morte di re ‘Abd Allāh  costituisce un nuovo problema da gestire  e last but not least, Ryad ha cominciato ad accorgersi che il proliferare dei movimenti salafiti potrebbe ritorcersi contro l’Arabia Saudita favorendo una  ventata fondamentalista. Come si comporterebbero i gruppi estremisti non solo foraggiati ma spesso partiti volontari  dall’Arabia Saudita?  

L’Arabia Saudita fornisce armi all’opposizione, attraverso il confine meridionale siriano (Daraa)  e attraverso la Turchia ma già dall’inizio del 2013  ha cominciato cominci a porsi la domanda che si è fatta anche l’Occidente: a chi andranno gli armamenti, il denaro? Molte formazioni, non sono mai state controllate, altre hanno dichiarato la propria indipendenza in un momento successivo.

Continuare ad armare il conflitto – da una parte o dall’altra  degli schieramenti  – non farà che prolungare la guerra in atto e creare altra sofferenza al popolo siriano. Mentre i rischi di una estensione degli scontri  nell’area,  sono già diventati realtà.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: L’ ambiguità dei Sauditi

empo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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(riproducibile citando la fonte)

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Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

Ma qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché?

Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera, come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.

La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche  da ragioni di politica interna.

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Siria - guerra

Una guerra civile infinita o una “cantonizzazione” della Siria?

L’utopia e l’ipocrisia bisbigliano ancora “soluzione politica”. Il Piano B di Bashar al-Asad

 

Siria - guerraLa realtà mette sul piatto della bilancia ormai solo due scenari. Il proseguimento di una guerra civile brutale, senza esclusioni di colpi che scivolerà ogni giorno di più nell’anarchia e nel caos. O la cantonizzazione della Siria.

La guerra civile porterà l’inevitabile corollario di vendette personali e di clan; di gruppi armati che si affrontano, milizie private, sacche di resistenza, bande criminali. Il Paese, d’altra parte, è già distrutto nelle infrastrutture e negli animi, nel patrimonio culturale e nel tessuto sociale. Alcuni analisti hanno ipotizzato almeno una ventina di anni prima che la Siria possa essere ricostruita. Ma si può ipotizzare quanti anni siano necessari per guarire dall’odio, dalle ferite interiori?  Come entità territoriale unica comunque il Paese esiste solo sulle vecchie carte geografiche. Si sta disgregando. E i combattimenti continueranno anche in uno scenario post- Assad. Qualsiasi transizione infatti deve avvenire dall’interno. Dall’accordo dei vari gruppi e delle varie etnie. Certo la Siria può vantare un passato di coesistenza intercomunitaria. Ma dopo la guerra, le distruzioni e l’altissimo prezzo pagato in termini umani, quanto tempo impiegheranno i siriani a sentirsi cittadini di un unico Stato? E ci riusciranno?

Intanto sul terreno nessuno sembra intenzionato a deporre le armi. I combattimenti fra il regime e gli oppositori registrano vittorie e sconfitte alterne. Il Presidente Bashar al- Assad non controlla più tutto il territorio.  E’ piuttosto stabile a Damasco ma sembra che stia preparando da tempo un piano B, nel caso fosse costretto ad abbandonare la capitale.

L’alternativa è quella di un piccolo Stato indipendente, costiero, nella  zona di Latakia, protetto ad est dalle montagne popolate di villaggi  alawuiti  (il ramo sciita cui appartiene la famiglia degli Assad) e a ovest dalla base navale russa di Tartous. Uno stato che per sopravvivere dovrebbe essere collegato con la valle libanese della Beqaa (dominata dal movimento sciita di  Hezbollah, filo-Assad) attraverso la piana di Qusayr, a una trentina di km a sud ovest di Homs. Una direttrice vitale.

Questo spiegherebbe il nuovo fronte dei combattimenti fra l’esercito lealista coadiuvato da Hezbollah e gli oppositori. Damasco, Homs, Hama e infine Latakia: la dorsale a ridosso del confine con il Libano è una zona strategica perché unisce la capitale con le zone costiere del nord dove la maggioranza della popolazione è, come abbiamo detto, alawita.  La creazione di uno stato-énclave alawita collegato al Libano di Hezbollah e anche all’Iran attraverso l’aeroporto  di Latakia o i porti di Tortous e Latakia, consentirebbe agli Assad di rimanere al potere e di mantenere in vita il cosiddetto “arco sciita”. Le zone  curde di al-Raqqa e al-Hasaka, vicine al confine turco e iracheno, potrebbero invece distaccarsi dalla Siria e creare uno stato indipendente curdo.  E qualcuno teme che i gruppi jihadisti estremisti riescano a dare vita a piccoli “emirati islamici” nelle regioni sotto il loro controllo.

Più di 70 mila morti secondo le fonti Onu, centinai di migliaia di profughi,  macerie, rovine, troppo sangue versato. Che cosa resta oggi della Siria?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/politica/2013-05-09/81389-siria-due-possibili-scenari (riproducibile citando la fonte)

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Gli alawuiti in Siria

Origini, dottrina, sviluppo storico. Dalla fatwa all’ascesa politica in Siria

Una breve introduzione, necessaria per capire. Come il Cristianesimo anche l’Islam segue diverse correnti. La maggioranza dei musulmani- circa il 90 per cento- è sunnita. Cioè coloro che seguono la sunna (comportamento) del Profeta, Muhammad, fonte di insegnamenti trasmessa da generazioni, sotto forma di hadith (tradizioni) e le altre due fonti di diritto, cioè la deduzione per analogia e il consenso. La corrente minoritaria è invece quella sciita (da Shi’a, partito – sottinteso di Ali, genero del Profeta). La divisione fra sunnitie sciiti risale al contrasto politico relativo alla successione di Muhammad.

Anche gli sciiti seguono la sunna ma s’identificano con il partito di Ali e dei suoi discendenti, cui – secondo loro – fu sottratta l’eredità politica-dinastica di Mohammad. Da una scissione degli sciiti, sono nati il ramo degli Zayditi e degli Ismailiti. Questi ultimi, si caratterizzano dal punto di vista religioso per aver dotato l’Imam sciita di qualità particolari di natura divina. Infine dal ramo dell’Ismailismo sono nate alcune sette. I Drusi, per esempio (nell’XI secolo) e gli alawuiti, una setta considerata per secoli come ’eretica’, non appartenente all’Islam. Fu emessa anche una fatwa (parere giuridico) che li definiva “più infedeli degli stessi idolatri”. Perché?

La dottrina

La dottrina degli alawuiti è complessa. Nel saggio “Sciiti nel mondo”, l’islamistaBiancamaria Scarcia Amoretti scrive: “La setta degli alawuiti o nusairiti (dal nome del caposcuola, lo sciita Muhammad bin Nusayr) è chiusa, esoterica. Le si attribuiscono credenze blasfeme per l’Islam, tra cui quella della metempsicosi e della reincarnazione. Senza dubbio sincretica, ha elaborato materiali cristiani, sabei, musulmani, ismailiti, ma anche d’incerta matrice, riscontrabile nella religiosità popolare”. Gli alawuiti seguono i cinque pilastri dell’Islam (professione di fede, preghiera, digiuno, elemosina, rituale, pellegrinaggio alla Mecca,) ma non considerano questi atti come obblighi, solo come simboli. Il calendario delle festività alawuita, accanto a quelle tradizionali musulmanesunnite e sciite, ne comprende anche alcune cristiane e il capodanno zoroastriano, il Newroz.

Gli alawuiti in Siria

Gli appartenenti alla dottrina alawuita rappresentano circa il 12 % della popolazione e costituiscono con i cristiani, la più consistente minoranza confessionale del Paese. In Siria sono stati discriminati e perseguitati da sempre. Dal periodo abbaside alla dominazione ottomana. Una emarginazione che li spinse a isolarsi sulle montagne che si estendonodall’Akkar, a sud, fino al Tauro al nord, vivendo come contadini, pastori, sempre in conflitto con le autorità.