Amici della Siria

Siria, un rebus non risolvibile?

Incontro degli Amici della Siria a Roma fra accuse e minacce di boicottaggio ritirate. Il banco di prova per l’agenda mediorientale del nuovo Segretario di Stato americano John Kerry in una regione a rischio di “alta destabiizzazione”

Secondo lo scrittore libanese, Amin Maalouf , in Francia dal 1976,  e in uscita con  il romanzo “I disorientati”, nel mondo arabo potrebbe scoppiare ”una seconda rivoluzione che chieda una vera modernizzazione sociale. Un processo molto lungo e, in alcuni paesi molto violento. Come in Siria, dove – se la situazione continua a peggiorare – ci saranno ricadute pesanti sul Libano”. Gli effetti della destabilizzazione regionale veramente sono già visibili in Libano e  potrebbero estendersi anche ad altri stati confinanti, la Giordania, l’Iraq, la Turchia. Caso sempre più scottante quello della Siria. Mentre il Paese è in preda alla guerra civile e devastato da attentati a catena,l’opposizione, con a capo Moaz al Khatib, aveva dichiarato di voler boicottare la riunione  degli “Amici della Siria”, in programma  a Roma giovedì 28, incolpando l’Occidente e gli Usa di non fare nulla di concreto per far cadere il regime di Bashar al- Assad. Ma L’Opposizione ha cambiato idea dopo le richieste del nuovo Segretario di Stato americano John Kerry.

Un’opposizione che non sembra avere il controllo sul terreno, dove le operazioni militare sono sostenute soprattutto dai gruppi jihadisti e radicali. Il Fronte al- Nusra dei combattenti islamici  ha già rivendicato una cinquantina, dei sessanta attacchi suicidi con le autobombe, compiuti in Siria nell’ultimo anno. Il gruppo terroristico  presenta modalità e caratteristiche ideologiche simili a quelle di al Qaida in Iraq. Ed è la fazione  più addestrata, più abile e meglio armata fra i combattenti sul terreno. Lo stesso Presidente americano Barack Obama aveva frenato più volte il predecessore di Kerry, l’allora sottosegretario Hillary Clinton, favorevole a rifornire di armi i ribelli.Accuse. Contro-accuse. Il  New York Times, che cita fonti ufficiali americane ed europee, scrive che l’Arabia Saudita, da dicembre scorso, sta consegnando armi ai ribelli, attraverso la Giordania. Armi comprate in Croazia e destinate ai gruppi “laici”  per cercare di tenere sotto controllo i movimenti  jihadisti. Sempre secondo il New York Times, non è chiaro il ruolo svolto dagli Stati uniti in questa operazione. Ma una cosa è certa: com’è possibile controllare la destinazione finale delle armi in un Paese nel caos come la Siria?

Siria: un nodo irrisolto e complesso che ha già causato 70mila morti dall’inizio delle rivolte a fine marzo del 2011. Un rebus che sembra complicarsi ogni giorno che passa e che divide non solo gli Stati uniti ma anche la Comunità internazionale. L’Occidente  e gli States che si sono schierati a favore delle rivolte in Tunisia e in Egitto e hanno appoggiato i Fratelli Musulmani contro gli autocrati -prima alleati degli Stati Uniti-  dovrebbero  comportarsi nello stesso modo in Siria.  Ma “sul piatto” esiste la reale possibilità di una prevalenza dei gruppi più radicali e quindi, di conseguenza, la necessità di difendere Israele.  Gli Stati Uniti cominciano a temere forse che i cambiamenti nei paesi delle Primavere arabe, avranno effetti non controllabili?

Intanto il ministro degli Esteri siriano, Walid  al-Muallem, durante l’incontro in Russia con il ministro russo Sergei Lavrov, ha dichiarato di voler “aprire il dialogo  per porre fine al conflitto con tutte le forze di opposizione al regime di Bashar al-Assad, compresi i gruppi armati“.  Ma è un negoziato fra le parti è un’opzione ancora credibile?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Siria, un rebus non risolvibile? (riproducibile citando la fonte)
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Siria: Opposizione Unita Cercasi

A Doha l’Opposizione siriana cerca “un centro di gravità permanente” con l’aiuto degli Stati Uniti. Le pressioni del segretario di Stato Hilary Clinton e il piano di Riad Seif.

 

Dopo Burthan Ghaliun e il curdo Abdel Basset Sieda (rispettivamente ex presidente e presidente del Consiglio Nazionale Siriano, Cns) ora sulla scena dell’Opposizione, a proporsi come leader, appare l’industriale ed ex parlamentare Riad Seif. Il suo piano: creare una squadra di 50 rappresentanti, scelti fra i comandanti militari dell’Esercito libero e i capi delle zone in mano ai ribelli, in Siria, e fra i membri del Cns, che risiedono all’estero. Gli Stati Uniti, che appoggiano Riad Seif, premono perché durante i lavori venga eletto una specie di direttivo, in cui i militari – che stanno operando sul campo – siano in numero maggiore rispetto agli esiliati del Cns.

Circa 400 rappresentanti della dissidenza provenienti da vari gruppi, dalla Siria e dall’estero, si sono riuniti per raggiungere un obiettivo indispensabile: una formazione unita con la quale la Comunità Internazionale possa rivolgersi. Impresa difficile: alla mega conferenza di Doha, capitale del Qatar (si è aperta il 4 novembre e dovrebbe svolgersi in 5 giorni) ci sono troppe fazioni portatrici di programmi diversi e differenze ideologiche. E due gruppi importanti , il Corpo nazionale di coordinamento e il Fronte democratico nazionale, non si sono neppure presentati all’ appello.

Il CNS (Consiglio Nazionale Siriano), fino ad ora ha rappresentato la piattaforma principale dell’Opposizione ed è formata soprattutto da esiliati: intellettuali, accademici e membri della Fratellanza musulmana. Ma il Cns non ha saputo dare, fino a ora, prove di stabilità ed efficienza. Il Segretario di Stato Hillary Clinton ha addirittura dichiarato (‘Reuters‘ 31 ottobre 2012) che il Consiglio Nazionale siriano, basato all’estero, “non può arrogarsi il titolo di leader dell’opposizione, ma solo far parte di un fronte di opposizione più largo che includa gente che vive in Siria e altri che abbiano la necessaria legittimità per farsi ascoltare” .

Per questo il programma di Riad Seif prevede di mettere il Cns in secondo piano, creando appunto una leadership in cui i suoi membri sarebbero in minoranza rispetto ai militari dell’Esercito Siriano Libero, il principale ma non l’unico gruppo armato che combatte sul terreno contro l’esercito regolare del regime. Il Cns è disposto a mettersi in disparte? Non sembra. Già durante il primo giorno del convegno, ha criticato gli Stati Uniti per l’ingerenza e il suo presidente, Abdel Basset Sieda, ha dichiarato (fonte ‘Associated Press’) che “pur non avendo respinto in pieno la proposta di Seif, ritiene che il Cns meriti una rappresentanza più significativa, controllando almeno il 40% di qualsiasi organismo decisionale formato”.

A quanto pare, abbandonare la poltrona del comando è dura. Ma un fatto è certo. Alla fine dei lavori, che si chiuderanno giovedì, senza un accordo sulla leadership dell’Opposizione, saremo al punto di partenza. Anzi un passo indietro visto il precedente fallimento della riunione di luglio, al Cairo, in cui non è stato raggiunto un accordo per formare un fronte di opposizione coeso. E al prossimo Meeting degli Amici della Siria, in Marocco, la Comunità Internazionale si troverebbe di nuovo senza una rappresentanza unita e significativa dei siriani. Rendendo il meeting inutile.

Intanto in Siria si continua a combattere. Lunedì, un attentatore suicida si è fatto esplodere nei pressi di un check-point dell’Esercito nella provincia di Hama causando una cinquantina di vittime. Mentre il 3 novembre, tre carri armati siriani sono entrati nel villaggio di Beer Ajam, nel Golan e si sono verificati scontri fra curdi e forze ribelli. Il rischio di una balcanizzazione della zona, così come di un allargamento del conflitto nei Paesi confinanti (soprattutto il Libano e l’Iraq) sono pericoli reali che rischiano di accendere altri fuochi.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Siria: opposizione unita cercasi, riproducibile citando la fonte.