Arabia Saudita

Minireport Esteri - ConBagaglioLeggero di Antonella Appiano

25 settembre 2015 : minireport Esteri

Il ‪#‎Papa‬ in ‪#‎Usa‬ al Congresso sul tema migranti “Non abbiamo paura degli stranieri perché molti di noi una volta eravamo stranieri”.
‪#‎ArabiaSaudita‬ durante le celebrazioni dell’Eid al-Adha, la Festa musulmana del Sacrificio, sono morte piùdi 700 persone e oltre 863 sono state ferite per la calca nella città sacra di ‪#‎Mina‬, dove erano arrivati oltre due milioni di fedeli per l’Hajj, il pellegrinaggio rituale. ‪#‎Yemen‬, a ‪#‎Sanaa‬, un attentato suicida durante la preghiera in una moschea sciita, ha ucciso almeno 10 persone. L’attentato è stato rivendicato dallo ‪#‎Stato_Islamico‬
#‎Ukraina‬: I ribelli filorussi che controllano l’Est del paese hanno ingiunto ai rappresentanti delle Nazioni unite e di diverse Ong di lasciare la regione di Luhansk entro domani.
‪#‎Minireport_Esteri‬

Fonti (Vox, Al Arabyya, Reuters, Bbc)

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19 luglio 2015 : Minireport Esteri

Bilancio della settimana: sono stati raggiunti due importanti accordi, quello di lunedì, in extremis, tra la ‪#‎Grecia‬ e i creditori e quello storico di martedì sul nucleare iraniano, che dovrebbe aprire una “nuova era” nei rapporti tra l’‪#‎Iran‬ e l’Occidente. In ‪#‎Arabia_Saudita‬ intanto sono stat arrestate 431 persone perché sospettate di appartenere al gruppo terroristico dello Stato Islamico. E il re ‪#‎Salman‬ ha incontrato il leader di ‪#‎Hamas‬ Khaled Meshaal, che si trovava in pellegrinaggio alla Mecca: il primo incontro dopo 4 anni tra due leader schierati su fronti opposti, (Fonti Reuters e Bbc).

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13 luglio 2015 : Minireport Esteri

‪#‎Yemen‬ purtroppo il cessate al fuoco promosso dall’Onu a scopi umanitari è stato violato dopo pochissimo tempo dall’annuncio, in varie zone del Paese. La coalizione guidata dall”‪#‎Arabia_Saudita‬ continua a bombardare con i raid aerei. I civili sono stremati, hanno bisogno di generi di prima necessità, medicinali…(fonte RSI news)

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31 Marzo 2015 MINIREPORT ESTERI

‪#‎Minireport_Esteri‬. A ‪#‎Losanna‬ ancora un giorno per trovare un’intesa sul nucleare tra ‪#‎lran‬ e il gruppo dei 5+1. Tra Teheran e Stati Uniti l’accordo sembra vicino ma ‪#‎Israele‬ e ‪#‎Arabi_Saudita‬ sono contrari: quest’ultima in particolare, sta cercando di far saltare gli accordi, giocando la carta de conflittoi in ‪#‎Yemen‬, dove da qualche giorno è in guerra contro le milizie houti, sostenute dal governo iraniano.
(fonte Bbc, Reuters)

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24 gennaio 2015 : Minireport Esteri

#Minireport_esteri #Ucraina #Yemen #Arabiasaudita #Grecia
#Ucraina. I ribelli filorussi hanno respinto un accordo di pace già firmato e lanciato una nuova offensiva contro le truppe governative. Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, incontrerà il ministro degli Esteri russo Lavrov in febbraio a Monaco.
#Yemen I ribelli sciiti houti hanno occupato la capitale, il presidente Rabbo Mansur Hadi e il primo ministro Khaled Bahah hanno dato le dimissioni. Le dimissioni del capo dello Stato dovranno essere accettate dal Parlamento che si riunisce in sessione di emergenza domenica. Vuoto fi potere pericoloso per la presenza di Al Qaida nella Penisola arabica (Aqpa).
#Arabiasaudita, il nuovo re Salman bin Abdul Aziz promette continuità nella politica estera e in campo energetico (Reuters).
#Grecia Domani, domenica 26 gennaio, si vota in Grecia per le elezioni politiche. Secondo l’ultimo sondaggio il partito Syriza (il leader è Alexis Tsipras) ha il 37,6%, il partito Nea Demokratia il 30%.
(fonti Ap, Reuters).

Siria: possiamo ancora credere a Ginevra 2?

Se non si trattasse di una tragedia sembrerebbe la trama di una farsa. Il 6 novembre scorso l’inviato dell’Onu e della lega Araba i Siria, Lakhdar Brahimi ha dichiarato che conferenza di Pace di Ginevra 2 (annunciata e rimandata più volte e poi confermata per fine novembre) slitterà ancora. A dicembre? A tempo indeterminato? Non si sa, almeno ufficialmente.
Ma sarebbe più onesto ammettere il fallimento dell’ennesimo tentativo di soluzione politica che pare non interessare nessuna della parti in campo. La Coalizione Nazionale Siriana (Cns), la piattaforma delle opposizioni siriane in esilio, si è riunita sabato scorso, a Istanbul, per decidere se partecipare o meno alla Conferenza. Da quando è stata annunciata “Ginevra2” infatti, le varie anime della Coalizione (già poco unita si sono divise ancora di più).
Uno dei rami, il Consiglio nazionale Siriano (Cns), fortemente rappresentato dalla Fratellanza aveva già dichiarato, settimane fa che se la Coalizione avesse aderito, sarebbe uscito dalla piattaforma. Da qui la decisione della Coalizione di riunirsi a Istanbul per cercare una linea comune. Che non c’è. Non può esserci. Perché tutto è artificioso nel Consiglio nazionale siriano. E’ stato creato circa un anno fa, in maniera forzata in seguito alle pressioni occidentali, e con gli aiuti economici dei Paesi del Golfo. Non piace a Bashar certo ma non piace neppure ai ribelli che combattono sul campo. Non è stata riconosciuta da alcune brigate dell’Esercito siriano libero, da formazioni di stampo jihadista e di matrice qaedista. Addirittura da gruppi di attivisti civili che continuano ad opporsi al regime disarmati.

Insomma chiusi per due giorni in un hotel di Istanbul dopo discussioni a non finire, l’Opposizione è rimasta alle sue condizioni. Che sono: il ritiro dell’esercito governativo dalle città, il rilascio dei prigionieri politici e la possibilità di accesso degli aiuti umanitari nelle aree sotto assedio da parte delle forze armate del regime. Richieste più che legittime. Ma la questione non è così semplice perché il vero nodo – che pare destinato a non sciogliersi – è il Presidente Bashar al- Assad. L’opposizione non vuole che prenda parte al processo di transizione. Da parte sua, il Rais non andrà a Ginevra “ per perdere il potere” come avevano dichiarto la settimana scorsa le autorità siriane. Solo il segretario di Stato degli Stati Uniti, John Kerry può dichiarare che il risultato dell’incontro a Istanbul rappresenti un importante passo avanti, E’ evidente che se il Presidente Bashar al Assad non siederà al tavolo delle trattative, un compromesso è irraggiungibile. E il rais non ha facilitato certo le cose annunciando già da tempo di volersi ricandidare per le prossime elezioni presidenziali nell’’estate del 2014.
La ciliegina sulla torta. Dopo due giorni di discussioni, la Coalizione ha lasciato la riunione di Istanbul decidendo di creare un comitato che continui i colloqui fra le varie correnti della Coalizione istituire un comitato con il compito di continuare i colloqui fra le varie correnti della Coalizione stessa. Una farsa appunto.

La verità è che nessuna delle due parti in causa vuole davvero una trattativa ora. Il regime sta vincendo, o almeno tiene una parte del Paese e non è disposto a compromessi. L’opposizione sembra più debole e dovrebbe quindi trattare da una posizione di svantaggio. Comunque i bollettini di guerra alternano postazioni ora in mano al regime ora ai ribelli. Insomma, tutti e due gli schieramenti pensano di poter vincere.
Chi vuole quindi avvero la conferenza di Ginevra 2? Certamente i due principali attori internazionali alleati dei due schieramenti. La Russia e gli Stati Uniti. La crisi siriana ormai è diventata una piovra che rischia di estendere i suoi tentacoli nella regione, e che causa preoccupazioni alle due superpotenze.
Intanto, sempre le Opposizioni siriane in esilio insieme a rappresentanti di attivisti in patria, hanno creato un “governo ombra” che dovrebbe amministrare le aeree siriane che non si trovano più sotto il controllo del regime. Un governo sostenuto apertamente dall’Arabia Saudita e che avrà sede a Gaziantep, nel sud della Turchia, vicino al confine con la Siria.
Sullo sfondo la guerra, le violenze, i profughi, la fame, le malattie, soprattutto il ritorno del virus della Polio il rischio di una epidemia regionale di Poliomielite, una malattia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considerava quasi sconfitta. Un fatto grave che per ora l’Occidente sembra ignorare.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Siria: possiamo ancora credere a Ginevra2? (riproducibile citando la fonte)

Leggi anche  La Siria e la Conferenza di pace di Ginevra2

 

Se non si trattasse di una tragedia sembrerebbe la trama di una farsa. Il 6 novembre scorso l’inviato dell’Onu e della lega Araba i Siria, Lakhdar Brahimi ha dichiarato che conferenza di Pace di Ginevra 2 (annunciata e rimandata più volte e poi confermata per fine novembre) slitterà ancora. A dicembre? A tempo indeterminato? Non si sa, almeno ufficialmente.
Ma sarebbe più onesto ammettere il fallimento dell’ennesimo tentativo di soluzione politica che pare non interessare nessuna della parti in campo. La Coalizione Nazionale Siriana (Cns), la piattaforma delle opposizioni siriane in esilio, si è riunita sabato scorso, a Istanbul, per decidere se partecipare o meno alla Conferenza. Da quando è stata annunciata “Ginevra2” infatti, le varie anime della Coalizione (già poco unita si sono divise ancora di più).
Uno dei rami, il Consiglio nazionale Siriano (Cns), fortemente rappresentato dalla Fratellanza aveva già dichiarato, settimane fa che se la Coalizione avesse aderito, sarebbe uscito dalla piattaforma. Da qui la decisione della Coalizione di riunirsi a Istanbul per cercare una linea comune. Che non c’è. Non può esserci. Perché tutto è artificioso nel Consiglio nazionale siriano. E’ stato creato circa un anno fa, in maniera forzata in seguito alle pressioni occidentali, e con gli aiuti economici dei Paesi del Golfo. Non piace a Bashar certo ma non piace neppure ai ribelli che combattono sul campo. Non è stata riconosciuta da alcune brigate dell’Esercito siriano libero, da formazioni di stampo jihadista e di matrice qaedista. Addirittura da gruppi di attivisti civili che continuano ad opporsi al regime disarmati.

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Siria: perché è necessaria una soluzione politica

Sembra impossibile che gli Stati Uniti, dopo il disastro dell’Afghanistan e dell’Iraq, siano così incauti da esporsi con dichiarazioni sulla necessità di inviare armi ai ribelli siriani.

Che cosa può nascondersi dunque realmente dietro la “svolta” del Presidente Obama? Forse solo la necessità di un maggiore potere contrattuale sul tavolo della Conferenza di Ginevra 2? Anche se il G8 irlandese si è chiuso senza un accordo sulla questione siriana, l’unica possibilità per il Paese rimane sempre e comunque un  patto di Pace.

L’ambiguità dell’Arabia Saudita

I Sauditi, schierati con l’Opposizione siriana, cominciano a cercare una soluzione politico – diplomatica?

Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita (una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).   Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

a qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché? – See more at: http://www.lindro.it/politica/2013-06-13/87026-lambiguita-dei-sauditi#sthash.koUEb6Wh.dpuf

Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

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Ma qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché?

Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera,come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.

La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche da ragioni di politica interna.

Lo schieramento anti-Assad  ha rappresentato l’escamotage per allontanare l’attenzione dai mille problemi della Monarchia saudita, che certo non è un modello di democrazia e deve fare i conti, nonostante la ricchezza con corruzione, disoccupazione, rivolte nelle fasce sciite, conflitti tribali. Importanti anche le motivazioni del consenso interno.Ergendosi infatti a paladino dei sunniti, il Regno saudita, ha senza dubbio ottenuto l’appoggio dei sunniti wahabiti più conservatori.

Ma oggi sembra appunto che la casa regnante dei Saud, abbia qualche ripensamento. Che deriva soprattutto da tre fattori.  Gli attriti con il Qatar, la morte del re Abd Allāh bin Abd al-Azīz Āl Saūd e la sua successione e la paura di una deriva jihadista in Siria.

Il Qatar. C’è stato un momento, prima del’inizio delle manifestazioni, in cui l’Arabia Saudita, insieme al Qatar, l’altro grande sponsor dell’Opposizione siriana,  aveva  cercato di allontanare la leadership di Damasco  dalla sfera iraniana.  Ma dopo lo scoppio  della crisi, il connubio fra sauditi e qatarini  si è via via raffreddato. Il Qatar infatti  ha procurato aiuti  e appoggio  ai Fratelli musulmani siriani, il gruppo più forte all’interno della Coalizione nazionale siriana.

In risposta, l’Arabia saudita, si è da poco schierata a favore dei gruppi laici presenti nella stessa Coalizione nazionale e  in opposizione al predominio della Fratellanza musulmana. La morte di re ‘Abd Allāh  costituisce un nuovo problema da gestire  e last but not least, Ryad ha cominciato ad accorgersi che il proliferare dei movimenti salafiti potrebbe ritorcersi contro l’Arabia Saudita favorendo una  ventata fondamentalista. Come si comporterebbero i gruppi estremisti non solo foraggiati ma spesso partiti volontari  dall’Arabia Saudita?  

L’Arabia Saudita fornisce armi all’opposizione, attraverso il confine meridionale siriano (Daraa)  e attraverso la Turchia ma già dall’inizio del 2013  ha cominciato cominci a porsi la domanda che si è fatta anche l’Occidente: a chi andranno gli armamenti, il denaro? Molte formazioni, non sono mai state controllate, altre hanno dichiarato la propria indipendenza in un momento successivo.

Continuare ad armare il conflitto – da una parte o dall’altra  degli schieramenti  – non farà che prolungare la guerra in atto e creare altra sofferenza al popolo siriano. Mentre i rischi di una estensione degli scontri  nell’area,  sono già diventati realtà.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: L’ ambiguità dei Sauditi

empo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

– See more at: http://www.lindro.it/politica/2013-06-13/87026-lambiguita-dei-sauditi#sthash.koUEb6Wh.dpufMa qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché? Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera, come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.  La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche  da ragioni di politica interna. continua la lettura su L’Indro L’ ambiguità dei Sauditi

(riproducibile citando la fonte)

Vedi anche:

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Tempo di riflessione per l’Arabia Saudita.  Fin dall’inizio dell’internazionalizzazione della crisi, il Paese si è allineato a fianco dell’opposizione siriana, fornendo aiuto finanziario e militare ai ribelli, sia all’Esercito siriano libero (ESL) sia ai gruppi vicini all’ideologia wahabita( una corrente ultraconservatrice che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam).

Come sappiamo infatti la Siria, dal punto di vista geopolitico, è un Paese-chiave per  posizione strategica. Ed è per questo che la rivolta siriana, nata come ribellione nei confronti del regime, si è presto trasformata in  un conflitto tra diversi attori regionali e internazionali. Tutti determinati a seguire i propri interessi.  L’esito dello scontro, che da più di due anni sta straziando il Paese, avrà in ogni caso un peso determinante sui futuri assetti regionali.

Ma qualcosa sta cambiando, almeno per l’Arabia Saudita. Partita come paladina della “primavera siriana”, già dall’inizio del 20,  richiamando l’ambasciatore a Damasco ed esponendosi con dichiarazioni pubbliche e azioni politiche contro Bashar al-Asad ,  ora sembra indecisa se proseguire sulla stessa linea. Intendiamoci, continua a mandare denaro e armi ai ribelli ma sembrerebbe aspirare a una soluzione  politico-diplomatica. Perché?

Prima di tutto consideriamo le motivazioni dello schieramento anti- Assad. Motivazioni di politica estera, come abbiamo detto, per via del ruolo importante della Siria sulla scacchiera regionale.

La competizione fra i Paesi del Golfo e l’Iran esiste, per ragioni economiche, di potere e territoriali. Dal punto di vista degli equilibri regionali, con la sconfitta degli Assad, l’Arabia saudita potrebbe acquistare influenza in Libano (a scapito del partito Hezbollah alleato delle Siria); in Iraq (dove attualmente è al governo lo sciita Al Maliki). E metterebbe in posizione di svantaggio l’Iran che si è sempre servito della Siria come deterrente conto Israele. Gli analisti hanno sottolineato in particolare la storica contrapposizione fra sunniti e sciiti (gli Assad appartengono al ramo sciita degli Alawuiti). La casa regnate saudita, è invece sunnita (precisamente wahabita). Un regime sciita contro una popolazione in rivolta (per lo più sunnita) quindi, contrastato da un forte Paese sunnita. Ma la spaccatura confessionale rappresenta solo un aspetto del rapporto complesso fra Siria e Arabia Saudita. La religione cela sempre altri intereressi, non possiamo infatti dimenticare che la decisone di Ryad di collocare le sue pedine contro Damasco, dipende anche  da ragioni di politica interna.

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Arabia Saudita, la successione del Principe Salman

Quanto conterà negli equilibri regionali e mondiali, chi salirà al trono del Regno Saudita, dopo la morte dell’ottantanovenne re ‘Abd Allāh bin Abd al-Azīz Āl Saūd (conosciuto più semplicemente come re Abdullah)?  La notizia della scomparsa del monarca, riportata dal quotidiano ‘Al-Sharq Al-Awsat’ basato a Londra, appare ormai certa, anche se i principali media arabi e le fonti ufficiali, non l’hanno ancora confermata.

Conterà molto poco, dato che il principe ereditario è un “giovincello” di 78 anni, Salman bin-Abdulaziz al-Saud, nominato il 18 giugno 2012, che appartiene alla vecchia guardia dei fratelli del re. Anche se si accendessero lotte intestine riguardo la successione, non potrebbero esserci sorprese. A contendersi il trono, già designato, ci sono infatti ancora molti dei 53 figli del primo re e fondatore della “Nazione Arabia Saudita” nel 1932,  Abdulaziz Ibn Saud. Tutti, ovvio, in  età avanzata . Anche Abdullah era figlio diretto di Ibn Saud.  La successione nel Regno passa da fratello a fratello. Una famiglia allargata,  divisa in clan di appartenenza, a seconda della madre. Ma si tratta comunque di rappresentanti conservatori. Nessun giovane rivoluzionario a Corte. Nessun mutamento significativo all’orizzonte.

Nonostante re Abdullah sia stato indicato come un “riformatore” (piccoli segnali di fumo a favore delle donne come, per esempio, la concessione al diritto di voto e quello di candidarsi alle prossime elezioni municipali nel 2015) non si può certo affermare che la monarchia  Saudita, esponente di punta della corrente ultraconservatrice dell’Islam wahabita, (un movimento che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam) sia un Paese aperto ai cambiamenti. O a processi democratici.

Se i popoli tunisino, egiziano e siriano, è sceso in piazza chiedendo libertà e democrazia, è davvero ridicolo che l’Arabia Saudita, politicamente  – e anche attraverso la sua emittente televisiva Al Arabya –  si sia proclamata paladina degli oppositori e della democrazia, dato che non possiede neppure una Costituzione scritta. Con nessun esponente della famiglia reale al trono, non potrà arrogarsi mai, se non ipocritamente,  questo ruolo. Né  rappresentare un modello di libertà. Il Regno è strutturato secondo una rigida gerarchia. La ricchezza derivata dal petrolio e il potere della famiglia reale (che guida la regione fin dal diciottesimo secolo e occupa tutte le posizione chiave) hanno mantenuto il Paese stabile, nonostante l’Arabia Saudita sia agli ultimi posti al mondo nella graduatoria dei diritti umani, della condizione della donne, e del trattamento lavorativo e sociale per  i lavoratori-immigrati.

Sotto il regno di Abdullah  il Paese è stato sfiorato, nel marzo del 2011, dalle brezze della “primavera araba”.  La provincia orientale del paese, dove vive la minoranza sciita ( tra il 6 e il 12 per cento popolazione totale del Regno)  è stata “contagiata” dalle proteste del vicino Bahrein. E  si è registrato un innegabile senso di frustrazione della popolazione del ceto medio, che chiede servizi sociali migliori, più attenzione per l’ambiente e il lavoro. E, come in tutti i Paesi arabi, meno corruzione  nella pubblica  amministrazione. Importante ricordare che, in Arabia Saudita, dove l’economia è sempre dominata dal settore petrolifero, stanno nascendo problemi economici e sociali. Come la disoccupazione giovanile ( nel Paese il 30% cento circa  dei nativi  ha meno di quindici anni,)  il crescente  degrado ambientale,  e la poca attenzione riservata all’istruzione.

Le proteste hanno provocato imponenti arresti di attivisti e oppositori ( che sul territorio saudita non sono osannati come quelli degli altri Paesi arabi). L’approvazione di un piano per ridurre la disoccupazione di circa 36 milioni di dollari  e qualche tiepida riforma economica.

Il Regno Saudita, cuore spirituale dell’Islam, è un paese chiave della scacchiera geopolitica della regione, per il petrolio, per l’alleanza con  gli Stati Uniti e per il contrasto con l’Iran, la seconda superpotenza regionale.  Salman seguirà certo la linea di Abdullah. Che si dimostrato abile nel mantenere  le alleanze con Paesi musulmani a maggioranza sunnita e con l’Occidente. E’ morto il re, viva il re.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro  Arabia Saudita, la successione del Principe Salman (riproducibile citano la fonte)

Leggi anche: Su Carta e Web la voce delle donne saudite 

 

 

Siria, un rebus non risolvibile?

Incontro degli Amici della Siria a Roma fra accuse e minacce di boicottaggio ritirate. Il banco di prova per l’agenda mediorientale del nuovo Segretario di Stato americano John Kerry in una regione a rischio di “alta destabiizzazione”

Secondo lo scrittore libanese, Amin Maalouf , in Francia dal 1976,  e in uscita con  il romanzo “I disorientati”, nel mondo arabo potrebbe scoppiare ”una seconda rivoluzione che chieda una vera modernizzazione sociale. Un processo molto lungo e, in alcuni paesi molto violento. Come in Siria, dove – se la situazione continua a peggiorare – ci saranno ricadute pesanti sul Libano”. Gli effetti della destabilizzazione regionale veramente sono già visibili in Libano e  potrebbero estendersi anche ad altri stati confinanti, la Giordania, l’Iraq, la Turchia. Caso sempre più scottante quello della Siria. Mentre il Paese è in preda alla guerra civile e devastato da attentati a catena,l’opposizione, con a capo Moaz al Khatib, aveva dichiarato di voler boicottare la riunione  degli “Amici della Siria”, in programma  a Roma giovedì 28, incolpando l’Occidente e gli Usa di non fare nulla di concreto per far cadere il regime di Bashar al- Assad. Ma L’Opposizione ha cambiato idea dopo le richieste del nuovo Segretario di Stato americano John Kerry.

Un’opposizione che non sembra avere il controllo sul terreno, dove le operazioni militare sono sostenute soprattutto dai gruppi jihadisti e radicali. Il Fronte al- Nusra dei combattenti islamici  ha già rivendicato una cinquantina, dei sessanta attacchi suicidi con le autobombe, compiuti in Siria nell’ultimo anno. Il gruppo terroristico  presenta modalità e caratteristiche ideologiche simili a quelle di al Qaida in Iraq. Ed è la fazione  più addestrata, più abile e meglio armata fra i combattenti sul terreno. Lo stesso Presidente americano Barack Obama aveva frenato più volte il predecessore di Kerry, l’allora sottosegretario Hillary Clinton, favorevole a rifornire di armi i ribelli.Accuse. Contro-accuse. Il  New York Times, che cita fonti ufficiali americane ed europee, scrive che l’Arabia Saudita, da dicembre scorso, sta consegnando armi ai ribelli, attraverso la Giordania. Armi comprate in Croazia e destinate ai gruppi “laici”  per cercare di tenere sotto controllo i movimenti  jihadisti. Sempre secondo il New York Times, non è chiaro il ruolo svolto dagli Stati uniti in questa operazione. Ma una cosa è certa: com’è possibile controllare la destinazione finale delle armi in un Paese nel caos come la Siria?

Siria: un nodo irrisolto e complesso che ha già causato 70mila morti dall’inizio delle rivolte a fine marzo del 2011. Un rebus che sembra complicarsi ogni giorno che passa e che divide non solo gli Stati uniti ma anche la Comunità internazionale. L’Occidente  e gli States che si sono schierati a favore delle rivolte in Tunisia e in Egitto e hanno appoggiato i Fratelli Musulmani contro gli autocrati -prima alleati degli Stati Uniti-  dovrebbero  comportarsi nello stesso modo in Siria.  Ma “sul piatto” esiste la reale possibilità di una prevalenza dei gruppi più radicali e quindi, di conseguenza, la necessità di difendere Israele.  Gli Stati Uniti cominciano a temere forse che i cambiamenti nei paesi delle Primavere arabe, avranno effetti non controllabili?

Intanto il ministro degli Esteri siriano, Walid  al-Muallem, durante l’incontro in Russia con il ministro russo Sergei Lavrov, ha dichiarato di voler “aprire il dialogo  per porre fine al conflitto con tutte le forze di opposizione al regime di Bashar al-Assad, compresi i gruppi armati“.  Ma è un negoziato fra le parti è un’opzione ancora credibile?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Siria, un rebus non risolvibile? (riproducibile citando la fonte)
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