attentato
Damasco. Il giorno dopo.
Come l’hanno rivista i miei occhi.
Come non avrei mai voluto vederla.
Solo immagini. E silenzio.
Fermarsi. Prima dell’irreparabile.
Fotografie di Antonella Appiano.
Scattate l’11 maggio 2012. Un giorno dopo il duplice attentato nei quartieri Qazaz e Zahra Al Jadida
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Damasco, instantanee dai funerali
Le rivendicazioni. Le accuse contrapposte. Il dolore di un popolo.
Il giovane medico che, sul luogo dell’attentato, mi ringrazia per essere venuta fin qui “a vedere” mi fa sentire impotente. Le diciassette bare allineate nella Moschea Uthman, fotografate e riprese, mi ricordano quanto ogni luogo sacro e ogni avvenimento doloroso siano ormai violati dai media.
Con i capelli coperti da una sciarpa, entro nella moschea. Anche io ho la macchina fotografica e una piccola telecamera. Ma non me la sento di riprendere l’uomo in lacrime davanti a una delle due bare con la fotografia della vittima. Le altre contengono i resti di più vittime.Ventitré corpi. Gente innocente travolta dai giochi politici, dalle alchimie del potere. Dalla grande storia.
L’attentato del 10 maggio è stato rivendicato dal Gruppo Nusrat al-Islam. Un ramo delfamigerato Fronte Fath al Islam, il movimento fondamentalista islamico basato in Libano, nel campo profughi palestinese di Nahr al Bared, vicino a Tripoli. Cellule ’dormienti’ di Fathal Islam, sono presenti in Siria dal 2006. Il movimento sarebbe finanziato dai Sauditi per contrastare il gruppo sciita libanese di Hezbollah. Gli esponenti dell’Opposizione affermano, nonostante le rivendicazioni, che gli attentati sono opera del governo. Due versioni contrapposte di un fatto gravissimo. E i siriani, in ogni caso, sono le vittime innocenti, rassegnati a convivere con il terrore.
“Ho paura, certo che ho paura” mi dice Omar, il cameriere di un caffè della città vecchia che avevo conosciuto in passato. “Se ci fossi stato io in auto, in quel momento? Quando riavremo una vita?”. Domande senza risposta.
Incontro anche un amico che si era schierato per il cambiamento. Non era mai sceso per strada ma chiedeva, sperava in una maggiore libertà e distribuzione della ricchezza nel Paese. “Ho voglia di aria nuova, però mi rifiuto di credere che il governo possa ’creare’ un atto terroristico. Sarebbe diabolico e troppo pericoloso. Nessuno poteva sapere chi sarebbe passato in quel momento, chi sarebbe rimasto coinvolto”. Vorrei andare a trovare la famiglia di Mahmud, il bimbetto che mi chiamava sempre Luisa, ma è tardi.
Ogni tanto passano le auto dei Caschi Blu in viaggio per qualche missione nelle zone dove si combatte e ci sono scontri. Dove il ’cessate al fuoco’ non è stato rispettato. La gente sembra indifferente. Eppure, se la missione Onu fallisce, che ne sarà della Siria? Come fermare una escalation di violenza che fa presagire gli scenari più imprevedibili e disastrosi? E anche per queste domande non c’è ancora risposta.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/damasco-istantanee-dai-funerali/ (riproducibile citando la fonte)
Damasco. Il giorno dopo.
Ieri, l’esplosione. Oggi la paura di un’escalation della violenza senza vie di sbocco
Damasco, 11 Maggio 2011:“Temiamo un effetto Iraq”. Continuo a pensare a questa frase mentre aspetto un taxi, in una Damasco avvolta da una foschia calda. E’ venerdì, giorno di riposo e, come sempre, le strade sono vuote.
Ma il quartiere popolare di Zahra Al Jadida è animato, la gente rimuove le macerie. “Shufi”,shufi” guarda, guarda, e una giovane donna con l’hijab a fiori mi mostra i fori delle schegge nei muri di quella che era la sua casa, sventrata, come altre, dall’attentato kamikaze di ieri. Fonti diverse parlano di 100 chili di tritolo, 56 vittime, 372 feriti, 200 case distrutte, 80 automobili carbonizzate.
L’obiettivo era la sede della Sezione Palestina dell’ Intelligence, un palazzo di sette piani, ma l’edificio, fortificato, ha resistito all’impatto, mentre ad essere investito in pieno da una pioggia violenta di schegge e lamiere è stato proprio il quartiere. Un uomo mi mostra pezzi di ferro che imbottivano il tritolo, finiti sul terrazzo. E aggiunge che “alhambulillah“, non è morto nessuno nella mia famiglia“.
Le vittime, infatti, sono state soprattutto civili. La gente che passava in auto per andare a lavorare sulla grande arteria che porta all’aeroporto. I bambini delle due scuole vicine. I vigili di una caserma adiacente al luogo dell’esplosione. Di nuovo, riascolto quella frase:”Abbiamo paura di un effetto Iraq”. Sono passati otto mesi, e sono ritornata a Damasco proprio nel giorno dell’attentato più grave nel Paese, un attentato che ha tutte le caratteristiche di quelli che hanno martoriato l’Iraq dopo l’occupazione militare americana del 2003.
Un ragazzo con il viso incerottato, afferma: ”Sono stati i Sauditi”. Si respira una certa rassegnazione. Tristezza. Ma i siriani non dimenticano la tradizionale ospitalità e, pur nella desolazione, ci offrono un bicchiere di tè.
L’Opposizione accusa le autorità di Damasco. Ma la crisi, è bene sottolinearlo, si è definitivamente internazionalizzata. Nel Paese si muovono, ormai, jihadisti e salafiti radicali, siriani e stranieri, provenienti dall’Arabia Saudita, dal Qatar. Se ne deve tenere conto. Questo è, comunque, un altro colpo alla fragile tregua ottenuta dall’Onu, da Ban Ki-moon e Kofi Annan, i quali ben sanno e spesso hanno dichiarato che, se la tregua fallirà, il baratro della guerra civile, in Siria, sarà sempre più profondo ed oscuro.
L’attentato è un episodio gravissimo, che distoglie l’attenzione sui risultati elettorali che si conosceranno fra stasera e domani. Un’altra ferita profonda per il popolo siriano.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Damasco-il-giorno-dopo/ (riproducibile citando la fonte)