Bahrein

Minireport Esteri - ConBagaglioLeggero di Antonella Appiano

15 settembre 2014 : Minireport Esteri

#minireport: #emergenzamigranti: affonda un altro barcone al largo della Libia: si salvano solo 26persone su 250. l’Usa dichiara guerra allo Stato islamico e cerca alleati fra i Paesi arabi e occidentali. La #GranBretagna non ha ancora chiarito se vuole allearsi per gli attacchi aerei, nonostante la volontà di contrarstare l’avanzata del gruppo estremista. Il sottosegretario degli esteri Mario Giro,dopo la decapitazione dell’ostaggio britannico, ha ribadito che l’Italia s’impegna a riportare a casa gli ostaggi. L’attenzione è puntata sull’#Iraq, il Kurdistan iracheno, la Siria, la lotta contro lo stato Islamico. Non si parla più del #Bahrein dove continuano le manifefestazioni contro la leadership. In #Ucraina, nonostante la tregua del 5 settembre, i ribelli continuano ad attaccare le postazioni ucraine.

Arabia Saudita, la successione del Principe Salman

Quanto conterà negli equilibri regionali e mondiali, chi salirà al trono del Regno Saudita, dopo la morte dell’ottantanovenne re ‘Abd Allāh bin Abd al-Azīz Āl Saūd (conosciuto più semplicemente come re Abdullah)?  La notizia della scomparsa del monarca, riportata dal quotidiano ‘Al-Sharq Al-Awsat’ basato a Londra, appare ormai certa, anche se i principali media arabi e le fonti ufficiali, non l’hanno ancora confermata.

Conterà molto poco, dato che il principe ereditario è un “giovincello” di 78 anni, Salman bin-Abdulaziz al-Saud, nominato il 18 giugno 2012, che appartiene alla vecchia guardia dei fratelli del re. Anche se si accendessero lotte intestine riguardo la successione, non potrebbero esserci sorprese. A contendersi il trono, già designato, ci sono infatti ancora molti dei 53 figli del primo re e fondatore della “Nazione Arabia Saudita” nel 1932,  Abdulaziz Ibn Saud. Tutti, ovvio, in  età avanzata . Anche Abdullah era figlio diretto di Ibn Saud.  La successione nel Regno passa da fratello a fratello. Una famiglia allargata,  divisa in clan di appartenenza, a seconda della madre. Ma si tratta comunque di rappresentanti conservatori. Nessun giovane rivoluzionario a Corte. Nessun mutamento significativo all’orizzonte.

Nonostante re Abdullah sia stato indicato come un “riformatore” (piccoli segnali di fumo a favore delle donne come, per esempio, la concessione al diritto di voto e quello di candidarsi alle prossime elezioni municipali nel 2015) non si può certo affermare che la monarchia  Saudita, esponente di punta della corrente ultraconservatrice dell’Islam wahabita, (un movimento che si fonda sulla purezza e sulle origini dell’Islam) sia un Paese aperto ai cambiamenti. O a processi democratici.

Se i popoli tunisino, egiziano e siriano, è sceso in piazza chiedendo libertà e democrazia, è davvero ridicolo che l’Arabia Saudita, politicamente  – e anche attraverso la sua emittente televisiva Al Arabya –  si sia proclamata paladina degli oppositori e della democrazia, dato che non possiede neppure una Costituzione scritta. Con nessun esponente della famiglia reale al trono, non potrà arrogarsi mai, se non ipocritamente,  questo ruolo. Né  rappresentare un modello di libertà. Il Regno è strutturato secondo una rigida gerarchia. La ricchezza derivata dal petrolio e il potere della famiglia reale (che guida la regione fin dal diciottesimo secolo e occupa tutte le posizione chiave) hanno mantenuto il Paese stabile, nonostante l’Arabia Saudita sia agli ultimi posti al mondo nella graduatoria dei diritti umani, della condizione della donne, e del trattamento lavorativo e sociale per  i lavoratori-immigrati.

Sotto il regno di Abdullah  il Paese è stato sfiorato, nel marzo del 2011, dalle brezze della “primavera araba”.  La provincia orientale del paese, dove vive la minoranza sciita ( tra il 6 e il 12 per cento popolazione totale del Regno)  è stata “contagiata” dalle proteste del vicino Bahrein. E  si è registrato un innegabile senso di frustrazione della popolazione del ceto medio, che chiede servizi sociali migliori, più attenzione per l’ambiente e il lavoro. E, come in tutti i Paesi arabi, meno corruzione  nella pubblica  amministrazione. Importante ricordare che, in Arabia Saudita, dove l’economia è sempre dominata dal settore petrolifero, stanno nascendo problemi economici e sociali. Come la disoccupazione giovanile ( nel Paese il 30% cento circa  dei nativi  ha meno di quindici anni,)  il crescente  degrado ambientale,  e la poca attenzione riservata all’istruzione.

Le proteste hanno provocato imponenti arresti di attivisti e oppositori ( che sul territorio saudita non sono osannati come quelli degli altri Paesi arabi). L’approvazione di un piano per ridurre la disoccupazione di circa 36 milioni di dollari  e qualche tiepida riforma economica.

Il Regno Saudita, cuore spirituale dell’Islam, è un paese chiave della scacchiera geopolitica della regione, per il petrolio, per l’alleanza con  gli Stati Uniti e per il contrasto con l’Iran, la seconda superpotenza regionale.  Salman seguirà certo la linea di Abdullah. Che si dimostrato abile nel mantenere  le alleanze con Paesi musulmani a maggioranza sunnita e con l’Occidente. E’ morto il re, viva il re.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro  Arabia Saudita, la successione del Principe Salman (riproducibile citano la fonte)

Leggi anche: Su Carta e Web la voce delle donne saudite 

 

 

Nel turbine della storia- Parte II Le primavere arabe del Mashreq e dei Paesi del Golfo

Una infinità di variabili in Medio Oriente

Bahrein Proteste

Abbiamo già scritto quanto sia difficile analizzare eventi ancora in atto. E’ un momento storico in cui nulla è scontato. Terreno friabile, quello delle rivolte dei Paesi arabi. Un fiume in piena che può deviare il corso molte volte ancora. Che ci costringe a continui aggiornamenti e riconsiderazioni. Tentiamo, comunque, di terminare  la sintesi prendendo in considerazione l’area del Mashreq e quella dei Paesi del Golfo.

Mashreq Per ora è la zona regionale  più problematica  a causa della funzione chiave che svolge in geopolitica. Già a rischio prima delleprimavereper il conflitto senza fine fra Israele e i palestinesi e oggi, più che mai, teatro di scontri non risolti.  In Siria è tuttora in corso una violenta guerra civile,  fra l’esercito, le milizie del regime e i gruppi armati dei ribelli, complicata dalla presenza di combattenti stranieri jihadisti e di frange terroristiche come il Fronte Al Nusra. La Siria si sta disgregando, come ha dichiarato l’inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, “la guerra sta distruggendo il Paese pezzo dopo pezzo”.  Una guerra per procura, dove i ribelli sono appoggiati dalla Turchia, dai Paesi arabi del Golfo (Arabia Saudita e Qatar) e dai Paesi Occidentali. E il regime del Presidente Bashar-al Assad, sostenuto dalla Russia, può contare invece sull’Iran e gli hezbollah libanesi. Non possiamo prevedere lo scenario futuro, ma certo una transizione è ancora molto lontana. Ricostruire la Siria sarà una operazione lenta, complessa e costosa in termini umani ed economici. Senza contare il rischio-contagio in Libano e  http://www.lindro.it/il-punto-della-situazione-in-giordania/. Finora le primavere arabe hanno spazzato via i regimi cosiddetti laici. Ma se il conflitto dovesse debordare in monarchie come la Giordania, il puzzle mediorientale cambierebbe di nuovo, assumendo forme nuove.

Area Paesi Golfo. Ad eccezione del Bahrein, le Petromonarchie del Golfo si sono salvate dalle rivolte. Con il denaro proveniente dalle rendite petrolifere infatti,  sono riuscite a tacitare lo scontento dei gruppi di opposizione ‘laica’ che chiedevano riforme.  Il meccanismo di questi stati-provvidenza, come scrive Marcella Emilianisi regge sull’assioma no taxation no representation. Gli autocrati possono cioè permettersi di non concedere alcuna rappresentanza politica nella misura in cui non fanno pagare le tasse”. D’altra parte, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli altri stati-provvidenza hanno sempre elargito denaro per garantire la stabilità interna.

Bahrein. Proprio oggi (14 febbraio n.d.r)  si  ‘festeggia’  il  secondo anniversario delle proteste contro  la monarchia sunnita di re Hamad al- Khalifa. La popolazione, formata in maggioranza da sciiti (circa il 70%)  discriminati sul piano sociale, politico ed economico, rivendica diritti uguali per tutti e un vero Parlamento. Ma la monarchia continua ad attaccare i manifestanti, forte anche dell’aiuto dei militari dello Scudo della Penisola (forza congiunta dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo) e del silenzio complice dell’Occidente e degli Stati Uniti che, ricordiamo, proprio in Bahrain hanno basato la IV Flotta.
Infine, fa parte geograficamente dei Paesi Golfo ma non è uno stato-provvidenza, lo Yemen, dove si continua a combattere. Uno scontro complesso fra clan, esercito e gruppi di Al Qaida al sud, ed esercito e gruppi sciiti Huti al Nord del Paese. Anche in Yemen, due giorni fa (il 12 febbraio) si è celebrato il secondo anniversario delle rivolte contro l’ex presidente Ali Abdullah Saleh fra scontri nella capitale e nel sud del Paese dove le forze di ordine hanno sparato sulla folla. Durante le manifestazioni i dimostranti hanno chiesto che Saleh venga richiamato in patria e processato.

Dopo l’entusiasmo iniziale di fronte alle rivolte arabe, lo scenario appare senza dubbio instabile anche se sarebbe sbagliato affermare che le “primavere sono sfiorite”. Ci troviamo ancora, come scrisse Ryszard Kapuściński nel “turbine della storia”.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Le primavere arabe del Mashreq e dei paesi del golfo (riproducibile citando la fonte)

Leggi anche:

Per approfondire:

Medio Oriente: un 2012 di conflitti

Cambiamenti, speranze, violenze, caos

La Siria e una guerra civile sempre più cruenta. Egitto, Tunisia e Libia: rivoluzioni tradite?

 

A picture taken on July 23, 2012 shows a portrait of Syrian President Bashar al-Assad burning during clashes between rebels and Syrian troops in the city center of Selehattin, near Aleppo. Syrian rebels "liberated" several districts of the northern city of Aleppo on Monday, a Free Syrian Army spokesman in the country's commercial hub said.  AFP PHOTO / BULENT KILIC

L’Indro – AFP PHOTO / BULENT KILIC

Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussenafferma: ”Abbiamo la conferma di nuovi lanci di missili Scud in Siria, testimonianza di un regime disperato vicino al collasso”. Ma il vice presidente siriano Farouk al-Sharaa ha dichiarato qualche giorno fa al giornale libanese ‘Al Akhbar’, che “sul terreno non possono vincere né ribelli né il governo ed è necessaria una soluzione politica”. A una soluzione politica si è appellato anche il Presidente della Commissione d’inchiesta Onu sulla Siria, Paulo Sergio Pinheiro, presentandoi risultati del rapporto a Bruxelles: “Non esiste una soluzione militare al conflitto in Siria. La fine del conflitto non è vicina se le forze in campo continuerannoad affrontarsi con le armi”. Parole che risuonano a vuoto. E sembrano una beffa tragica perché in Siria si muore e “la violenza ha raggiunto picchi di crudeltà elevatissimi con crudeltà incredibili da entrambe le parti in lotta” come ha denunciato ancora Carla Del Ponte, ex procuratore generaledel Tribunale per la ex Jugoslavia (Tpi), oranella commissione d’inchiesta Onu per la Siria. La tanto invocata soluzione politica appare un miraggio. Dopo mesi di fallimenti, pochi giorni fa è saltato infatti anche il verticetra il premier turco Erdogan e il presidente iraniano Ahmadinejad come riferisce ‘Russia Today’. Turchia e Iran.Due attori protagonisti sulla scena siriana.

La Turchia appoggia la guerriglia mentre l’Iran continua a sostenere il presidente siriano Bashar Assade accusa addirittura la Nato di avere messo le basi per una terza guerra mondiale schierando i Patriot in Turchia.

Intanto Putin ha ribadito la contrarietà della Russia a qualsiasi cambiamento che preveda l’uso delle armi oa un ripetersi di uno scenario libico. I rumors sono tanti.I fatti accertati sul campo pochi.

Secondo una inchiesta del ‘New York Times’, i gruppi jihadisti (fra cui il Fronte al-Nusra dichiarato dagli Usa, il 20 novembre scorso, una organizzazione terroristica internazionale) sono ben equipaggiati e i più operativi nei combattimenti contro le forze lealiste. Tanto da aver messo in secondo piano l’Esercito siriano libero (composto dai disertori che per primi,si sono schierati con le armi, appoggiati dalla Turchia, contro il regime).

Continua la lettura su L’Indro http://www.lindro.it/politica/2012-12-21/63263-medio-oriente-un-2012-di-conflitti

In esclusiva per L’indro. Riproducibile citando la fonte.

Siria: rivolta o complotto

I ruoli strategici dell’esercito e di un’opposizione ancora divisa decidono il futuro del paese.

truppe siriane

’Prima notizia’ sui media del Qatar e di tutta la Stampa del Medio Oriente, la rivolta siriana è invece seguita in Italia con scarsa attenzione se non nei momenti più drammatici: gli attentati con autobombe a Damasco o l’uccisione del giornalista francese, Gilles Jacquier, reporter di France 2, a Homs, in una esplosione nel quartiere alawita di Akrama. Episodi gravi che però non vengono mai analizzati in un quadro d’insieme. Come se la Siria e le sue proteste antigovernative, in atto da dieci mesi, fossero un problema che non ci riguarda,dimenticando la vicinanza geografica con il nostro Paese e gli scenari inquietanti che la rivolta potrebbe creare in tutta l’area del Medio Oriente. Noncuranza quindi o al massimo polemica ideologica fra chi crede nel movimento popolare o chi invece segue il filone del ’complotto’ occidentale appoggiato dalle petro-monarchie del Golfo.

Due i punti importanti a riguardo. Il primo. Se all’inizio delle proteste, a metà marzo del 2011, tale ipotesi – sostenuta subito dalla leadership di Damasco – doveva essere presa in esame, è pur vero che dopo dieci mesi di manifestazioni e repressioni non è più plausibile.Come credere che un apparato di sicurezza e un esercito come quelli siriani con l’aiuto delle milizie irregolari lealiste, non siano riuscite ancora a fermare “le bande di terroristi”?

Tre libri…per saperne di più sulle Primavere arabe

Tre libri per chi è interessato alle primavere arabe.

“Mediterraneo in rivolta” di Franco Rizzi, edizione RX Castelvecchi,  “Caos arabo” a cura di Riccardo Cristiano, edizioni Mesogea. Un terzo, che ho riletto, è del 2006 (spero sia ancora in commercio) “Primavere. Per una Siria democratica e un Libano indiendent”, di Samir Kassir, a cura di Elisabetta Bartuli. edizioni Mesogea. Samir Kassir, l’autore del celebre “L’infelicità araba”, giornalista, intellettuale, figlio di un palestinesee di una siriana, fu ucciso in un attentato, a Beirut il 2 giugno del 2005.