Barack Obama
Effetto Siria e Contagio egiziano
Reazioni in Medio Oriente
Sugli schermi della televisione siriana passa a ripetizione uno spot che mostra un dattero, alimento tradizionale del Ramadan, che contiene un proiettile. Sotto, una scritta: «Non rovinate il Ramadan con la violenza». Era l’11 agosto 2012, un anno e un mese fa, ad Aleppo. Quest’anno il Ramadan è iniziato il 9 o il 10 luglio (varia da Paese in Paese secondo le fasi lunari), ma in Siria le armi
Fratelli d’Egitto
Chi sono i Fratelli Musulmani? Perché fanno così paura all’Occidente? I rapporti tra la Fratellanza e gli Stati Uniti
Bisogna conoscere il passato, la storia, ma anche seguirne i cambiamenti, il flusso, senza fossilizzarsi, per provare a capire qualcosa della realtà in cui viviamo. Scrive polemica, la storica e analista politica Paola Caridi a proposito dei Fratelli Musulmani: «L’interpretazione, la vulgata, varia dal ‘sono terroristi, sono Al Qaeda, sostengono Ayman Al Zawahri’ al ‘fanno il doppio gioco, non usano la violenza ma la userebbero, e se anche non la usassero, farebbero un califfato, uno stato islamico’».
Un passo indietro. Il movimento dei Fratelli Musulmani è stato fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna. E segna la nascita del moderno Islam politico. Un piccolo gruppo quello degli Ihkwan, che si è trasformato presto in una potente organizzazione, da sempre osteggiata e combattuta dai regimi arabi. L’ideologia della Fratellanza è basata sulla concezione secondo cui l’Islam è la soluzione a tutti i problemi individuali, sociali e politici. E il successo del Movimento si spiega proprio con la combinazione di questi fattori. Sul piano ideologico Massimo Campanini – esperto in pensiero politico islamico- ricorda il filosofo egiziano Hasan Hanafi che sosteneva: «l’Islam contemporaneo è vivo perché è l’unico sistema politico e ideologico che non si è arreso alla visione del mondo dominante imposta dall’Occidente». I Fratelli Musulmani «rappresentano un movimento conservatore e tradizionale ma non radicale, attento alle classi sociali deboli. La Fratellanza musulmana mira ad una “islamizzazione che parte dal basso“, su base popolare, attraverso l’educazione, la propaganda negli strati sociali e rifiuta la lotta armata».
Hassan al Banna, fondatore dell’Ikhwan, è certo ancora molto importante per i membri della Fratellanza ma decenni di evoluzione della dottrina ne hanno limato intransigenze e anacronismi. C’è stata una modernizzazione necessaria. L’organizzazione rimane un movimento islamico fedele alla tradizione ma attento ai cambiamenti epocali: dogmatismo religioso unito al pragmatismo e alla flessibiltà. Ha mantenuto il sistema socio-economico che sta alla sua base, mirato a fornire una risposta reale alla fascia delle aeree degradate con servizi sanitari e di educazione. La Fratellanza in Egitto ha infatti da sempre sostituito uno stato sociale inesistente. Per farlo si è servito anche delle Moschee, che sono diventate così uno strumento di diffusione delle idee religiose e politiche. Ora al passa parola attraverso la moschea si aggiunto quello on line. Con una strategia comunicativa proliferata sul web 2.0, una maggiore attenzione alla propria immagine. Un linguaggio più vicino ai giovani. Pur non tradendo il caposaldo dell’importanza della Sharia (la legge islamica).
Un altro mito da sfatare: la credenza diffusa che i rapporti fra Washington e la Fratellanza egiziana, siano nati da poco, sull’onda delle ‘primavere arabe’. Invece, senza contare che l’Organizzazione era già presente negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta, è necessario ricordare che tutte le amministrazioni Usa, anche quelle di Bush hanno sostenuto i regimi al potere negli Stati arabi senza mai tagliare i ponti con i Fratelli. Sempre Paola Caridi cita uno dei tanti cablogrammi resi pubblici da Wikileaks. E’ del 2006 e arriva dall’Ambasciata del Cairo. «Il regime di Mubarak», dice il cablo «ha una lunga storia di far aleggiare davanti a noi, la minaccia dell’uomo nero-Fratellanza Musulmana. O me o un regime islamista, magari simile all’Iran khomeinista. O me oppure il caos. O gli affari con me, oppure scordatevi l’Egitto».
In realtà gli Stati Uniti si sono trovati impreparati alla svolta rapida in Egitto. E lo ha dimostrato il Presidente Barak Obama indeciso fino all’ultimo se sostenere la Rivoluzione egiziana in nome dei valori universali americani della libertà o continuare ad appoggiare Mubarak. Ma con la Fratellanza al potere, Obama ha dovuto per forza stringere un patto di alleanza per proteggere Israele. In questi ultimi tempi, la luna di miele sembra raffreddata. Obama è preoccupato per la tensione sociale che non si allenta e che non sembra garantire una stabilizzazione del Paese. Diffida della Fratellanza ma non può farne a meno. Almeno per ora.
Antonella Appiano per L’Indro Chi Sono i Fratelli Musulmani (riproducibile citando la fonte)
Vedi anche:
Il bivio siriano.
Da un lato l’appoggio di Russia, Cina e Iran, dall’altro l’inasprimento delle posizioni americane. Intanto il Paese continua ad essere teatro di violenze.
La Siria a un bivio? E’ destinata a diventate terra di scontro fra lo schieramento arabo-statunitense e quello russo-iraniano? Oppure stiamo assistendo solo ad ’una prova di forza’ delle vecchie superpotenze? Secondo fonti della Cnn, il Pentagono ha preso in esame l’ipotesi di un intervento militare contro la Siria. L’Unione Europea si è dissociata, ribadendo, ancora una volta, che la ’Siria non è la Libia’.
Palestina, chiedere non basta.
Oppositori interni scettici sulla scelta di Abu Mazen: “Non risolve la questione fondamentale dell’occupazione”
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Sono contrario alla richiesta. Basterebbe far rispettare l’applicazione delle 73 Risoluzioni Onu che già regolano il problema dei confini, di Gerusalemme, dei diritto al ritorno dei Palestinesi cacciati dalle loro terre nel 1948. E che non sono mai state adottate. Così rischiamo di innescare un meccanismo pericoloso – dichiara il dottor Diab Haitali, Portavoce della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio – In Cisgiordania i coloni si stanno mobilitando contro i Palestinesi che, secondo Israele, attaccheranno le colonie”.
La richiesta è quella che Abu Mazen, presidente dell’Autorità nazionale Palestinese (Anp), presenterà venerdì 23 settembre al Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-moon: con essa si richiede il pieno riconoscimento della Palestina come 194esimo Stato delle Nazioni Unite. Un voto che cambierebbe la storia.
La decisione del leader dell’ Anp, però, sta suscitando polemiche all’interno della comunità palestinese stessa. Spiega ancora il dottor Haitali: ” L’iniziativa non affronta la questione fondamentale: il popolo palestinese continuerebbe a vivere sotto un regime di occupazione. Compromette i diritti dei rifugiati dei Campi profughi in Cisgiordania. Quale Stato infatti può ospitare al suo interno una comunità di profughi della stessa nazionalità? Lascia irrisolti i problemi delle colonie, le frontiere, i prigionieri politici, il controllo delle risorse. Insomma, una indipendenza solo simbolica”
Secondo Riccardo Imberti, responsabile del Progetto di Formazione Acli a Betlemme “in Cisgiordania, la maggior parte della gente è a favore dell’iniziativa all’Onu. E’ vero, l’occupazione continuerà ma se lo Stato di Palestina verrà riconosciuto, si tratterà di occupazione di uno Stato su un altro Stato, una bella differenza”.
Controversie interne a parte, come hanno reagito invece la Comunità Internazionale e Israele? Da giorni stanno schierando in campo diplomatico tutte le pedine per bloccare la richiesta di piena adesione all’Onu. La contro-proposta è di ritornare al tavolo delle trattative, dei negoziati di pace.
Non solo. Gli Stati Uniti cercano strenuamente la formula magica per non essere costretti a bloccare la richiesta al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ricorrendo al potere di veto. Un atto imbarazzante per la Casa Bianca perché significherebbe, di fatto, affermare che è contraria alla nascita di uno Stato Palestinese. In un momento così delicato nei suoi rapporti con il Medio Oriente e le ’primavere arabe’.
La ripresa dei negoziati è richiesta a gran voce anche da Israele. Il Premier israeliano Benijamin Netanyahu ha proposto trattative dirette a New York. Negoziati da proseguire a Gerusalemme e Ramallah. E’ autentica volontà o tattica dilatoria ? I negoziati si sono rivelati un terreno paludoso, con criticità insormontabili. Israele non ha intenzione di congelare le colonie in Cisgiordania e di riconoscere allo stato palestinese i confini antecedenti il giugno 1967. Mentre l’Autorità Nazionale Palestinese non è disposta a riconoscere Israele come ’Stato ebraico’ perché il fatto metterebbe in discussione i diritti dei palestinesi che vivono in Israele e fuori gioco il diritto al ritorno dei profughi.
Una considerazione. I leader israeliani, americani, europei si affannano a dichiarare che per la Palestina essere ammessa come 194esimo Stato all’Onu, non è rilevante. E allora perché ostacolano la richiesta?
Trapela un’indiscrezione che spiega molto: fra gli oppositori del progetto c’è anche il Primo Ministro palestinese, Salam Fayyad, il numero due di Abu Mazen. I due, notoriamente, si detestano e fra una stretta di mano e un sorriso, non si risparmiano i colpi bassi. L’unità dell’azione politica, premessa indispensabile per l’indipendenza. sembra ancora lontana.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Palestina-chiedere-non-basta (riproducibile citando la fonte)