Bashar Assad

5 OTTOBRE 2015: MINIREPORT ESTERI

#‎Afghanistan‬: Medici sensza frontiere ha lasciato ‪#‎Kunduz‬, la cittadina dove ieri un ospedale da campo è stato colpito dalle bombe ‪#‎Usa‬ il bilancio è di 22 vittime fra cui 3 bambini. ‪#‎Basha_al_Assad‬intervisato dalla televisione iraniana Khabar, ha affermato che la coalizione formata da ‪#‎Siria‬, ‪#‎Russia‬, ‪#‎Iran‬ e ‪#‎Iraq‬ ha buone possibilità di sconfiggere i terroristi dello ‪#‎IS‬ e rappresenta l’unica alternativa alla distruzione del Medio Oriente.
Il premier israeliano ‪#‎Netanyahu‬ ha annunciato un’aspra offensiva contro i terroristi palestinesi, dopo gli attentati che nei giorni scorsi hanno ucciso quattro israeliani. La città vecchia di ‪#‎Gerusalemme‬ è stata chiusa ai fedeli arabi non residenti.

(Fonti New YorkTimes, Aljezeera, The Guardian)

La psicologia del dittatore

Ho letto l’e-book  di Anna Momigliano, “Il macellaio di Damasco”, biografia di “un tiranno che non voleva esserlo”  VandA ePublishing editore, con molta curiosità. Perché Anna, oltre alla storia di questo “autocrate passivo e agressivo”, come lo definisce, ha sviluppato nel testo un’analisti psicologica approfondita del personaggio. Non a caso, a presentare con lei l’e-book, domenica scorsa, alla Fabbrica del Vapore di Milano, c’era lo scrittore Errico Buonanno, autore de “La Sindrome di Nerone”. Un libro in cui lo scrittore prende in esame una folta schiera di dittatori nella storia – da Mussolini a Kim Jong – il – per arrivare alla conclusione che, sotto molti sogni di dominio, esiste un fallimento artistico.
In ogni grande dittatore, quindi un artista mancato? O anche solo un uomo frustrato? E si può tratteggiare una base comune per i tiranni? Bashar sembrerebbe un dittatore atipico, fuori dagli schemi. Importante quindi, conoscerne gli aspetti psicologici, i legami affettivi che sono alla base della sua formazione.

Anna Momigliano, aveva già scritto sulla rivista Studio (di cui è caporedattore) una interessante analisi dal titolo ”Il dittatore riluttante” sul figlio” non prediletto” di Hafez al -Asad.  Dalle pagine, emergevano alcune caratteristiche del ragazzo timido, che si è rivelato presto un abile comunicatore e un uomo ferreo e spietato.Ora, nell’ebook, Anna, sviluppa la storia di un ragazzo pieno di complessi nei confronti del celebre padre; che si è ritrovato a soli 34 anni a capo di uno dei regimi più chiusi e autoritari del Medio Oriente. E lo ha guidato con un pugno di ferro, pur concedendo qualche apertura e riforme economiche. Oggi, a tre anni dall’inizio delle rivolte, represse subito con violenza, Bashar al Asad è ancora in sella . Anzi come racconta Anna “ sta emergendo sempre di più un elemento fondamentale della sua personalità. La capacità di trasformare i punti deboli, in punti di forza”.

“Basta pensare  infatti che è riuscito a mettere il presidente Obama all’angolo, grazie all’uso delle armi chimiche. Un paradosso. La famosa linea rossa del Presidente Usa si è rivelato un bluff e ha dimostrato a tutti che gli Usa non avevano alcuna intenzione di intervenire sul serio”. E non solo. “Il regime siriano, aggiunge Anna, “grazie all’abile mediazione della Russia, ha accettato di smantellare l’arsenale chimico sotto la supervisione dell’Onu, trasformandosi quindi in un partner credibile e disposto a cooperare.”

Intanto, Bashar al- Assad, rilascia interviste con un’aria irreprensibile, impeccabile nei completi scuri e camicia bianca, da cui spunta il lungo collo, un mezzo sorriso sulle labbra, mentre il suo esercito bombarda il Paese distruggendolo. Mentre la gente muore e fugge. A guardarlo, ci si domanda. Ma i dittatori ce l’hanno un’anima? Certo: l’anima dei dittatori.

La svolta nella battaglia di Damasco: dove sarà ora il presidente Bashar al Assad?

La battaglia di Damasco ha segnato una svolta. L’attentato al Palazzo della Sicurezza Nazionale in cui sono rimasti uccisi importanti esponenti dell’esercito e dell’intelligence − tra cui il Ministro siriano della Difesa Dawoud Rajiha, il viceministro della Difesa ed ex capo dei servizi di sicurezza militari, Assef Shawkat (marito della sorella del Presidente, Bushra) e Hasan Turkmani, a capo della cellula anti crisi − rappresenta senza dubbio un attacco al simbolo del Potere. Ma del potere ‘formale’ (quello diciamo di facciata composto dal Parlamento, dal Governo, dalla Corte di Giustizia), non decisionale.
In Siria infatti è il poter ‘informale’ (composto dai Servizi di sicurezza e dai Corpi speciali dell’esercito) a prendere le decisioni, oltre naturalmente al Presidente.

Non sappiamo in questo momento se Bashar al Assad abbia lasciato o meno Damasco. Fonti dell’Opposizione affermano che si sia “rifugiato a Lattakia”, ma con certezza, sappiamo solo che il Rais non era nella sede dell’Ufficio della Sicurezza Nazionale al momento dell’attentato. Il Palazzo si trova in un quartiere al nord della città, Abu Roumaneh, accanto a piazza al Malki (dove ci sono molte ambasciate, anche quella italiana) e molto vicino alla Residenza presidenziale, un’area super controllata. E questo pone interrogativi sulla dinamica dell’esplosione. Auto kamizake, una bomba lasciata all’interno del Palazzo o un kamikaze, un uomo insospettabile, che indossava una cintura esplosiva?

I combattimenti fra gli oppositori dell’Esercito siriano libero e l’esercito regolare, per la prima volta si sono spostati dalla periferia della capitale al centro. E proseguono da cinque giorni.
A Midan, quartiere sunnita conservatore a sud della Città vecchia, a Kafar Suse, già teatro di manifestazioni nei mesi scorsi. Questi scontri cono attestati anche da testimonianze, attraverso alcune telefonate via skype con cui sono riuscita a raggiungere Damasco. “Si spara, ci sono elicotteri e blindati a Midan”, dice un medico residente nel quartiere.
Fonti non confermate, riferiscono che si combatte anche a Sharia Baghad e nel quartiere di Muhajirin vicino a una caserma della Quarta Divisione comandata dal fratello del Presidente, Maher.

L’esito degli scontri, però non è ancora certo. Molti gli interrogativi. Non solo sulla sorte del Presidente, sulla dinamica dell’attentato o sull’accresciuta capacità dei ribelli che appare rinforzata da aiuti esterni.
Ultimo ma certo non meno importante interrogativo: che cosa faranno gli alawuiti (la setta minoritaria sciita, cui appartengono gli Assad) al potere (sia pur con elementi cooptati dalla comunità sunnita e cristiana) che hanno continuato a sostenere la leadership di Damasco? Continueranno a combattere? Si ritireranno nella regione di provenienza (le montagne fra il Mediterraneo e la piana dell’Oronte)? La caduta del Presidente provocherebbe una vera e propria crisi del sistema, travolgendo come un’onda tutta la società.

Una cosa però è certa. La guerra civile non resterà confinata nel Paese. Ci saranno ripercussioni sulla regione. La Siria confina con Paesi caldi come Libano, Iraq, Israele. Gli interessi in gioco sono tanti. Per esempio quello dell’Occidente e dei Paesi del Golfo che hanno sostenuto l’opposizione armata nel sostituire il regime con una leadership sunnita per isolare gli Hezbollah libanesi e l’Iran sciita, troppo forte per essere attaccato. Un Iran che dà fastidio agli Stati Uniti per il nucleare e per il dominio nel Golfo del petrolio. Nata come rivolta socio-economica, la crisi siriana rischia di trasformare il Paese in un nuovo Libano o comunque di essere strumentalizzata da potenze esterne, arabe, occidentali, turche. Siria. Una guerra per procura?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/dove-sara-ora-il-presidente-bashar-al-assad/ (riproducibile citando la fonte).

La quarta volta di Bashar

Oggi il Presidente siriano Bashar al-Assad dovrebbe fare il quarto discorso alla nazione. Trasmesso in tv.

Immagine del Presidente Bashar su magliette. Aleppo liglio 2011

http://www.dp-news.com/en/detail.aspx?articleid=93838

Siamo in attesa, Presidente.

L’opposizione inesistente – Diario da Damasco

I siriani sono preoccupati del caos che può investire il Paese.

Una fedele cristiana in una chiesa a Damasco (© Getty Images)

Damasco cambia di nuovo volto. La vita riprende a scorrere come se niente fosse successo. Venerdì scorso, la capitale era deserta e militarizzata, lunedì caotica, indaffarata. E le camionette dei soldati sono scomparse dalla città.
Fatima abita a Douma.
Durante le ultime due settimane è venuta a vivere dal fratello a Damasco, nel quartiere di Al-Saliyya ma oggi mi dice sorridendo: «Sono tornata a casa, ci sono posti di blocco e la polizia controlla i documenti, però è tutto tranquillo».
IL DISTACCO DI DAMASCO. Gli attivisti online avevano invitato la popolazione di Damasco a scendere in piazza lunedì 2 maggio, senza aspettare il venerdì. Ma, ancora una volta, la capitale non ha risposto all’appello.
Damasco continua a rimanere distaccata. La gente è «dispiaciuta per le vittime di Daraa e di Homs», ma non si schiera con i manifestanti. Il coro è sempre lo stesso e non solo presso i ceti borghesi o medio borghesi. «L’opposizione non è preparata, non c’è una leadership e non ci sono programmi», dichiara Rida, medico dentista.
«Sono più spaventato dal caos che dai militari o dalle forze di sicurezza», racconta Khaled, un giovane taxista che «vorrebbe sposarsi ma non ha i soldi per farlo».
CRESCE LA DIFFIDENZA. Sempre accesa e trasversale la polemica sui soldati uccisi. Sono in tanti a credere alla versione ufficiale e governativa che li definiscono «vittime di quanti vogliono destabilizzare la Siria».
Ancora accuse ai media stranieri. «Voi continuate a sostenere che sono stati uccisi perché volevano abbandonare l’esercito, o addirittura perché si sono rifiutati di sparare sui manifestanti, ma non è vero». Si avverte una certa diffidenza nei damasceni in genere così cordiali con gli stranieri. In questi giorni gli occidentali sono guardati con molta curiosità e un’ombra di sospetto.

Esercito e attivisti colpevoli della spirale di violenza

Uno dei tanti caffè della capitale siriana

Sabato nel quartiere conservatore sunnita di Midan – dove il 29 aprile si è svolta una manifestazione dispersa dai lacrimogeni – nel grande suq di generi alimentari e di dolci, la gente chiede continuamente: «Da dove vieni?», «Da quanto tempo sei in Siria?», «Quanto rimani?».
Anche se poi un ragazzino mi accompagna in via Queashi, a vedere la chiesa sconsacrata di Santa Maria all’interno di un cortile di una casa privata. Il proprietario mi fa entrare con gentilezza e mi permette di scattare qualche fotografia. Ma la domanda «Min wein? Russia?, Francia?, Gran Bretagna?» è un ritornello continuo. Anche quando prendo il biglietto per visitare il museo nazionale, cosa che non mi era mai successa.
LE ACCUSE DELL’OPPOSIZIONE. Intanto l’oppositore Bassam Al-Kadi ha firmato un manifesto, diffuso online, in cui accusa sia il regime sia gli attivisti della spirale di violenza che ha travolto la Siria, e invita gli attivisti a fermare le manifestazioni e a riflettere.
«La mancanza di fiducia nel regime è giustificata dopo anni di promesse disattese ma ora abbiamo l’occasione per vedere se le riforme saranno davvero messe in atto. È stato abolito lo stato di emergenza dopo quasi 50 anni e il presidente ha promesso che permetterà la formazione di partiti politici. Proviamo a organizzarci seriamente. Qualcosa è comunque successo e il regime dovrà tenerne conto».
SI ATTENDE IL VENERDÌ. Lunedì, anche le strada per Harasta, cittadina satellite di Damasco, a circa tre chilometri da Douma – dove il il 22 aprile si erano verificati scontri fra manifestanti e le forze dell’ordine – è libera.
Ci si può arrivare con i mezzi pubblici, l’autobus o i microbus, e non ci sono posti di blocco. Harasta è un centro molto semplice e popolare. Nell’unico caffè-ristorante della piazza principale, il proprietario racconta: «Oggi tutto è normale, ma due settimane fa era diverso. Si sparava nelle stade e i militari requisivano i cellulari. Perché non torni venerdì a vedere?».

di Antonella Appiano per Lettera43

Se il regime di Bashar è il male minore – Diario da Damasco

I siriani temono più di ogni altra cosa una deriva islamica integralista.

I funerali a Damasco dei 15 soldati siriani uccisi il 26 aprile (© Ap Images)

Un punto della situazione a Damasco città. E un po’ di chiarezza. Dopo aver letto la notizia (divulgata da media italiani e stranieri) di posti di blocco e addirittura della «presenza di mezzi pesanti» nella capitale, lunedì pomeriggio, lunedì notte e martedì ho fatto lunghi giri in pulmino, in taxi e a piedi per verificare di persona.
NESSUN POSTO DI BLOCCO. Partendo dal centro storico, ho raggiunto il quartiere di Al Mezzeh a nord est di Damasco (dove si trova, fra l’altro, l’università di lingua araba per stranieri). Con un taxi ho attraversato l’area periferica di Hali Setta Wa Samaneen ancora più a nord (che mi era stata segnalata da un attivista come zona a rischio e quindi più controllata). Ancora con un taxi sono arrivata a Bab Mosalla e a piedi ho attraversato il suq e il quartiere di Al Midan (dove venerdì c’era stata una manifestazione dispersa con i lacrimogeni).
Ho continuato a sud est, nei i quartieri di Basatene Ad Dour e Ash Shaghour Barrani. Non ho trovato nessun posto di blocco. Né tanto meno  mezzi militari.
Nessuno mi ha fermato o chiesto i documenti. Lunedì sera, da sola, verso le 22 sono andata a un appuntamento con un ex esponente politico del partito comunista, e sono rientrata a casa sempre sola alle due del mattino, senza problemi.

Il timore di una deriva integralista
A Damasco, certo l’atmosfera è cambiata di nuovo. La notizia dell’esercito a Daraa – a circa 100 chilometri dalla capitale, al confine con la Giordania ed epicentro delle manifestazioni – e a Douma, sobborgo a est della capitale, ha creato sconcerto e come al solito ha diviso la città.

Una fedele cristiana in una chiesa a Damasco (© Getty Images)

Una città ormai svuotata dalla presenta straniera. I pochi turisti rimasti stanno partendo in fretta e anche gli ultimi studenti sono indecisi.
CRISTIANI CON BASHAR. La minoranza cristiana, protetta dal regime garante della laicità dello Stato, continua, anche dopo gli ultimi avvenimenti, a rimanere compatta con Bashar perché teme che «le proteste vengano sfruttate da gruppi estremisti islamici».
E Salim, attivista online, di famiglia musulmana ma laico per scelta personale, esprime il desiderio di vivere in piena libertà ma anche preoccupazione. «I sobborghi di Douma e Harasta, dove si sono tenute le manifestazioni, e la stessa Daraa sono zone popolari abitate da comunità religiose sunnite. Non posso escludere la presenza di islamisti anche se la tesi è sostenuta dal regime».
GLI «STRATI» DELLA SIRIA. Una cosa è certa in mezzo al mare di supposizioni, voci contraddittorie, ipotesi, timori. Le zone periferiche della città abitate da cristiani, sciiti e drusi, come Sanahiya e Jaramananon, non hanno partecipato alle manifestazioni.
Non per ora. Impossibile fare previsioni se si vive a Damasco in questo momento. La percezione qui è diversa. «La realtà siriana è complessa. È come una cipolla. Ci sono tanti strati», dice un professore in pensione.
E anche gli esponenti dei vecchi partiti, soprattutto, dell’ex partito comunista, sono divisi sulla previsione del futuro. Cadrà il regime o non cadrà?

Se il regime resisterà è perché è il male minore
L’attivista Bassam Al- Kadi è sicuro che «fra un mese al massimo sarà tutto finito». In che senso? «Bashar resterà al potere».
Nonostante l’escalation delle proteste? E della violenza? Nonostante la presenza dell’esercito a Daraa e a Douma?

Una delle poche turiste rimaste a Damasco fotografa i poster di Bashar al Assad (© Getty Images)

«Il regime ha mezzi potenti. Ma non sta usando solo la forza. Mantiene il consenso perché il pericolo di una deriva estremista è reale. La gente sa che in questo momento c’è un nemico in comune da combattere, gli estremisti. Salafiti. Forse Al Qaeda. Quando la Siria sarà di nuovo al sicuro, potremo proseguire con le legittime richieste».
Invece Murid è sicuro che fra cinque, sei mesi al massimo il regime cadrà. «Non siamo organizzati, ma riusciremo a unirci. Le divisioni  confessionali non sono così importanti. Sono convinto che il popolo siriano sia maturo in questo senso». Intanto a Bab Touma e a Bab Salam sembra che cittadini impauriti si stiano organizzando in gruppi armati in previsione di possibili scontri.

di Antonella Appiano per Lettera43

La paura e l’attesa – Diario da Damasco

La vita quotidiana in Siria e i dubbi sulla linea dura di Bashar.

Una manifestazione pro-Bashar a Damasco (Ap Images)

I fatti del 23 aprile hanno avuto una grande eco nella capitale che fino a ora era rimasta piuttosto indifferente. Sabato, nei quartieri periferici di Duma e di Barzah, le forze di sicurezza hanno sparato sulla gente che partecipava ai funerali delle vittime del “grande venerdì”. E le testimonianze questa volta sono passate di bocca in bocca. Dirette e indirette. Soprattutto da Berzeh.
DUBBI SULLE STRADE BLOCCATE. Per tutta la mattinata, la gente è inquieta, stupita, confusa.
Le notizie si rincorrono, contraddittorie come sempre. «Le strade di accesso alla capitale sono state bloccate. Impossibile entrare o uscire». Altre smentiscono.
Così nel tardo pomeriggio prendo un pulmino collettivo per un sobborgo della capitale, Jerouma. Raggiungo il quartiere dell’hinterland e rientro a  Damasco senza problemi. Anche un paio di amici che vivono fuori città arrivano sui mezzi pubblici, intorno ale 20, a Bab Touma nel centro storico.
LA MESSA DEL GIORNO DI PASQUA. Alla sera la capitale cambia volto di nuovo. I commenti si spengono. Alle 20 la chiesa cattolica  di San Francesco è piena di gente per la messa. È un giorno di festa per tutti e le famiglie vanno al ristorante. Il locale “Don Vito” dove si suona musica jazz è affollato.
«Mi dispiace per chi è morto, certo, ma la vita continua» ha detto un taxista.
I DUBBI INTORNO A BASHAR. Bashar sembra essere il grande interrogativo. «Perché ha scelto la linea dura?» «È libero di agire o condizionato dalla vecchia guardia dei generali?»
«Ha rimosso lo stato di emergenza ma ha lasciato troppo potere alla polizia segreta». «Se ora abbiamo il diritto di manifestare pacificamente, perché le forze di sicurezza sparano?» Ma c’è anche chi sostiene che «proteste di questo genere portano solo dolore e nessun risultato concreto. Solo una gran incertezza».

L’attesa di un intero popolo

Il presidente siriano Bashar al-Asad (Ap Images)

L’Osservatorio sirano per i diritti della donna ha rilasciato una dichiarazione in cui si chiede ai siriani «di sospendere per 15 giorni le manifestazioni anti-regime per dare modo al gruppo al potere di dimostrare che le riforme verrano effettuate sul serio». Aspettare. Aspettare per capire quale sarà la prossima mossa di Bashar.
Il regime terrà? Il presidente cambierà rotta? Si arriverà a un momento di transizione? E da chi sarà gestita?
UN COMITATO DI INTELLETTUALI. Il filosofo Tayeb Tizini propone «un comitato di intellettuali e di esponenti del regime» presieduto da Bashar, ha raccontato Jamil, attivista on line. «Ero d’accordo con lui ma ora dopo gli ultimi fatti, come possiamo credere ancora al presidente? All’inzio molti di noi volevano solo riforme. Con Bashar. Un leader popolare come lui aveva molte chanches. Ormai è impossibile tornare indietro. Però ci vorrà tempo. A Damasco ed Aleppo la maggior parte della gente è dalla sua parte. Non sarà facile».
Siham, avvocato quarentenne ci tiene a lasciare la sua testimonianza, preoccupato dalla «non comprensione di noi occidentali».
PAURA DEL VUOTO DI POTERE. «Mi considero un liberale, ho sempre desiderato la democrazia per il mio Paese ma temo il vuoto di potere che, secondo me, si verrà a creare se cade l’attuale regime. Il mio incubo è quello di tanti. Uno scenario di tipo Libanese, Iraqeno, Libico. Seguo ciò che raccontano i vostri media. Come spiegarmi? Sono appassionato di calcio. Ecco mi sembra che in Europa stiate facendo il tifo per la caduta di Assad, senza pensare a noi. Al popolo siriano. Alle conseguenze. Non vedo al momento figure, o partiti organizzati in grado di guidare il Paese. Che cosa spero? Che il Presidente Assad, abbandoni la linea suggerita dalla vecchia guardia e faccia un gesto di coraggio. Spero che  permetta alle forze politiche e sociali di organizzarsi per affrontare elezioni libere e democratiche. Abbiamo bisogno di tempo per maturare. Almeno cinque, sei mesi. Per quanto mi riguarda, Basham potrebbe presentarsi alle elezioni, per verificare, attraverso il voto libero, il reale consenso».
ACCUSA DI COSPIRAZIONE CREDIBILE. L’avvocato Siham, ha aggiunto che l’accusa di cospirazione per destabilizzare il Paese sosenuta dal governo è credibile. E cita la rivelazione del Washington Post sul finanziamento delle amministrazioni americane (prima Bush poi Obama) alla opposizioni anti-Bashar.
«Non solo un analista ma una cosa è certa. La Siria  è un Paese strategico nel quadro del  Medioriente. Soprattuto ora. E una balcanizzazione dell’area sarebbe devastante. È questo l’obiettivo di chi vuole ridisegnarla?».
ARRESTI DI ATTIVISTI. Notizie di arresti di attivisti nel sobborgo di Harasta, verso Douma. Nessun passaparola su quartieri “a rischio” per ora.  La giornata è passata tranquilla. La capitale si prepara ad aspettare un altro venerdì.

di Antonella Appiano per Lettera43

Bashar alla resa dei conti – Diario da Damasco

Il Paese aspetta di vedere se le promesse saranno mantenute.

Il 17 aprile la Siria ha festeggiato la festa dell’Indipendenza, la fine del mandato francese nel 1946. E gli attivisti sui social network hanno invitato «il popolo a scendere in piazza».
Nella capitale, la domenica è passata tranquillamente, nonostante si rincorressero voci insistenti di un raduno a piazza Harnous. Ma nel giardino della piazza passeggiavano solo famiglie con bambini e coppiette di ragazzi. Mentre sulle panchine gli anziani fumavano il narghilè.
LE VOCI DEGLI SCONTRI A SUD. Solo in tarda serata sono arrivate notizie di manifestazioni nelle cittadine meridionali di Suweida e Homs. Si è parlato di spari sui manifestanti da parte di uomini in borghese. Infiltrati, secondo il governo. Sostenitori di Bashar al Assad, secondo gli attivisti online.
Il mistero è fitto come sempre, le testimonianze sono contraddittorie. Impossibile stabilire la verità.

Bashar e le promesse in tivù

Bashar al Assad durante il discorso tenuto alla tivù di Stato il 16 aprile (© Ap Images)

Intanto durante tutta la giornata  non è cessato l’intrecciarsi dei commenti sul discorso che, sabato il presidente Bashar ha tenuto al nuovo governo, trasmesso in diretta dalla tivù di Stato.
Un discorso senza dubbio più realistico, pratico e conciliante di quello indirizzato alla nazione il 30 marzo. Che aveva deluso un po’ tutti.
IL NUOVO DISCORSO. Bashar al Assad ha ribadito, entro la prossima settimana, la revoca dello stato di emergenza. E ha toccato altri punti: l’economia, la disoccupazione, la possibilità si manifestare liberamente.
Hashim, un 30enne che affitta camere agli studenti, è soddisfatto. «Ho ascoltato il discorso in un caffè insieme a molta gente. E tutti lo abbiamo apprezzato. Nessuna retorica questa volta. Mi è piaciuta la sua faccia. Non era arrogante né sorridente. Anzi, ha espresso la tristezza per chi è morto negli scontri».
OPERAZIONE DI FACCIATA. La capitale resta però divisa. Se tanti hanno interpretato le parole di Bashar come reale volontà di cambiamento, altri hanno visto solo una operazione di facciata.
Sono riuscita a parlare con Alì, che partecipa al movimento per una svolta democratica. «Solo promesse. E chi mi garantisce che lo stato di emergenza non verrà sostituito da una legge altrettanto severa?».
Ad Alì chiedo della manifestazione che si è svolta a Damasco venerdì scorso. «Gente che arrivava dalla periferia della capitale. Da Douma e altri sobborghi. Il corteo è stato fermato prima che arrivasse in piazza di Abbasyyn, ma non ci sono state violenze. Per ora scende per strada solo chi non ha niente da perdere. La borghesia vive con meno problemi la mancanza di libertà. Ha soldi, un certo potere. E con i soldi si possono comprare tante cose». Alì ammette anche una certa «disorganizzazione nel movimento di protesta», e la «mancanza di una linea precisa».

«Il presidente ha riconosciuto la nuova realtà»

Un ambulante nel centro di Damasco

Chi è dalla parte di Bashar afferma che il presidente «ha riconosciuto che esiste una nuova realtà, e che la polizia e le forze di sicurezza in Siria non sono preparate a fronteggiare le dimostrazioni». «E d’altra parte», continua Munif che è attivo nella corrente pro-Bashar, «anche noi siriani non siamo abituati a manifestare».
Nella capitale sono, poi, in tanti quelli che si limitano a osservare. Non prendono posizione. E riguardo al discorso del presidente, si limitano a dire: «Non so se sia sincero oppure no. Di promesse ne abbiamo sentite tante in questi anni. Però, a questo punto, deve per forza concedere qualcosa di significativo. Vedremo».
L’ATTESA DELLA CAPITALE. Si aspetta insomma. In Siria il concetto del tempo è diverso dal nostro. E a Damasco si vive la strana sensazione che non si misuri con i giorni, i mesi, gli anni. Anche nella vita di tutti i giorni, l’impazienza di noi occidentali, non è compresa. Qui le parole che senti ripetere più spesso sono: malesh, “non importa” e bukra, “domani”.
Oggi è ricominciata l’attesa del prossimo venerdì. È l’inizio di una settimana importante per capire se il discorso di Bashar riuscirà a calmare le acque e a riportare la stabilità nel Paese.

di Antonella Appiano per Lettera43

La sete di consenso di Bashar – Diario da Damasco

E nella capitale serpeggiano dubbi sulla dinamica degli ultimi scontri.

A Damasco, questi sono i giorni dello Scorpione. Quando l’Hkamsin, un vento secco e sfibrante che arriva dall’Egitto tormenta la città, innervosendo anche i damasceni. «Non lo sopporto questo vento» confessa Abdul mente m’invita nel suo negozio a bere un the. E capisco che vuole dirmi qualcosa.
I PASSI AVANTI. Anche lui è deluso dal discorso del presidente Bashar di cui, però, riconosce la buona volontà. Domenica 10 aprile, attraverso l’agenzia siriana Sana, c’è stata infatti la prima dichiarazione pubblica di al Assad dopo il discorso alla Nazione tenuto in Parlamento, il 30 marzo. «Bashar sta ammettendo pubblicamente che il Paese deve cambiare. Ha fatto due passi importanti, concedendo la cittadinanza ai curdi e organizzando la commissione per studiare la revoca dello stato d’emergenza». La legge è in vigore dal’8 marzo del 1963 dopo il colpo di Stato militare baathista. 

Maher, il fratello violento di Bashar

Siria, la polizia apre il fuoco sui manifestanti

A quanto pare, però, la buona volontà del leader non basta. Domenica pomeriggio ci sono stati nuovi scontri a Banias.
Come al solito Damasco è divisa fra quanti credono alla versione fornita dalla tivù di Stato che «addossa la responsabilità a bande armate con l’intenzione di minare la stabilità del Paese» e quanti invece nutrono dubbi, come Abdul.
«Può essere che esistano infiltrati, non lo escludo», spiega, «però le forze di sicurezza non si fanno scrupoli a sparare sui dimostranti. Lo sappiano. E sappiamo anche che a decidere la linea dura è stato il fratello del presidente, Maher, a capo delle guardie repubblicane, un gruppo speciale dell’esercito».
La voce di un possibile dissidio fra il presidente Bashar e il fratello, in passato appena mormorata, oggi è sulla bocca di tanti. Maher, il fratello minore del presidente, già da ragazzo era considerato impulsivo e violento. Ed è stato questo uno dei motivi che shanno spinto Hafez al Assad, alla morte del primogenito Basil nel 1994, a scegliere come successore alla presidenza, Bashar, più riflessivo e tranquillo.
 
Il presidente cerca di allargare il consenso

Scontri nella città di Daraa, nel sud della Siria (© Getty Images)

C’è poi chi difende il presidente, continuando a sperare in un percorso di riforme senza rivoluzione e senza sconvolgimenti, come l’avvocato Dana che riesco a rivedere nel primo pomeriggio. «È la via che continuo a sperare che intraprenda il mio Paese», dice.
«Ricordi la legge sul divieto per studentesse e insegnanti di indossare il niqab nelle scuole superiori? Una legge sacrosanta per noi laici. Ma Bashar l’ha appena cancellata per venire incontro ai gruppi musulmani più religiosi».
L’ASSENZA DELLE DONNE. A Dalia che ha lavorato per qualche anno in un gruppo per i diritti delle donne chiedo, invece, un parere sulla partecipazione delle siriane alle manifestazioni (guarda il video). «Certamente chi ha subito lutti in famiglia parteciperà ai funerali e alle dimostrazioni. A Daraa soprattutto, un centro rurale, dove la tradizione legata al concetto di onore è molto importante.  Il nostro problema più grande è proprio l’assenza delle donne nel movimento per i diritti. La mancanza di consapevolezza».

di Antonella Appiano per Lettera43