Beirut
La guerra civile siriana ha varcato i confini
«Sarà la città perduta di Atlantide. Si è ricostruita sette volte, ma fino a quando può andare avanti questa farsa? Un giorno dovrà finire. E quando accadrà sarà bellissimo» così scrive Zena El Khalil nel suo “Beirut I love you”, che descrive i 34 giorni dell’attacco israeliano, nel 2006, contro il Libano. Un Paese che ha sofferto una lunga guerra civile – dal 1975 al 1990 – le invasioni israeliane (nel 1978, nel 1982, nel 2006), il ’controllo’ siriano, la presenza sul territorio di circa 500mila rifugiati palestinesi, l’assassinio del Primo ministro Rafiq Hariri nel 2005. E che oggi sembra ritornare in prima linea con scontri e attacchi e il “fumo e le fiamme” cantati da Fairuz.
Dopo mesi di dichiarazioni sulla posizione di ‘neutralità nei confronti dei conflitti regionali’, per il Libano, esposto al contagio della guerra civile siriana, si sono infatti aperti nuovi scenari. Piuttosto preoccupanti. Domenica scorsa, due missili hanno colpito il quartiere meridionale di Beirut, Dahyeh, roccaforte del movimento sciita di Hezbollah. Un attacco non casuale. Un messaggio chiaramente intimidatorio. Un avvertimento per il leader del Partito di Dio, Hassan Nasrallah, dopo la dichiarazione pubblica dell’intervento dei suoi miliziani in Siria, a fianco dell’esercito del regime. In Libano sale la tensione e sembra ormai impossibile che il Paese possa resistere senza danni al vortice che sta distruggendo la Siria.
Missili nei quartieri controllati da Hezbollah a Beirut. Scontri a Tripoli e a Sidone. Al nord del Libano, a Tripoli, si respira una “atmosfera di violenza” come ha dichiarato, via skype, una famiglia che vive in zona. Gli scontri tra i sunniti del quartiere di Bab el Tabanneh, schierati con i ribelli siriani e tra gli alawiti (il ramo sciita a cui appartiene la famiglia degli Assad) di Jabal Mohse, “si sono intensificati”.
Il bilancio per ora è di circa 30 vittime e più di 200 feriti. Ma non solo. Sempre secondo la testimonianza «sono stati visti combattenti stranieri in zona». L’episodio che sembra aver dato il via agli scontri più duri sembra essere stato l’offensiva dell’esercito siriano, coadiuvato da militanti di Hezbollah, a Qusayr, una città molto importante dal punto di vista strategico, vicino al confine libanse e sulla strada fra Damasco e la costa. Scontri anche a Sidone, la capitale Sud del Paese, tra i miliziani dello sceicco salafita, Ahmad al- Assir, e i rappresentanti di Hezbollah. Non sono certo una novità, proseguono infatti dall’ottobre scorso, ma il ritmo diventa sempre più serrato. Mentre lo sceicco lancia un appello ai giovani sunniti libanesi perché si uniscano alle fila dei ribelli siriani .
E tutto questo dopo le dimissioni in aprile del Primo Ministro Mikati, il disaccordo sulla nuova legge elettorale ‘ortodossa’, e l’impossibilità quindi di andare alle urne nei tempi stabiliti. Il sistema elettorale ‘ortodosso’ consente agli elettori di votare solo i rappresentanti della propria confessione. Secondo i suoi sostenitori, il sistema è in grado di proteggere le comunità. Secondo gli oppositori accentuerà invece il confessionalismo, in un paese già diviso.
Intanto il Libano, sempre a causa della guerra civile siriana, avverte una sensibile crisi economica a livello commerciale ( le esportazioni libanesi sono diminuite ) e il turismo è in calo. «Abbiamo annullato molte prenotazioni» ammettono le receptionist di alcuni alberghi di Beirut. «La gente ha paura». Ad aggravare la situazione , il numero dei rifugiati siriani: circa 400.000 registrate ufficialmente presso l’Unhcr e molto probabilmente lo stesso numero di “clandestini” .
Ma come scrive ancora Zena El Khalil «Beirut è l’immaginazione senza censure. Ciò che desideri può avverarsi». Non desideriamo un’altra guerra civile in Libano. Non sembra desiderarla neppure Nasrallah, che nello stesso discorso in cui ammetteva il coinvolgimento in Siria, ha dichiarato agli avversari: «Combattiamo in Siria ma non in Libano».
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La guerra civile siriana ha varcato i confini (riproducibile citando la fonte)
Vedi anche:
La fragilità del Libano
Le sfide nel Paese dei Cedri
LA FRAGILITÀ DEL LIBANO
Fra tensioni non risolte, dinamiche regionali, un governo che si basa sulle componenti religiose, disoccupazione in aumento e i rifugiati palestinesi. E le elezioni si avvicinano.
Mi trovavo a Beirut quando è scoppiato il conflitto Gaza-Israele. E la soglia dell’attenzione per ciò che stava accadendo era molto alta. Nei caffé e nei negozi, i televisori erano sintonizzati sulle emittenti satellitari che trasmettevano immagini e notizie 24 ore su 24. E la gente non parlava d’altro. Che cosa succederà? Israele e Hamas firmeranno la tregua? E se invece scoppiasse una guerra regionale? Se Israele occupasse ancora una volta il sud del Libano? Ora che la tregua è stata raggiunta fra Hamas e Israele, l’esercito di Tel Aviv non ha invaso la Striscia e si è ritirato, chiamo dall’Italia, Samira, avvocato quarantenne di Sidone. Non nasconde il sollievo. Ma è consapevole che se l’accordo non si trasforma in un processo di pace, rimane fragile.
Fragile come il suo Paese, il Libano, che confinando con Israele e la Siria, è infatti dal punto di vista geopolitico, ’a rischio’, esposto a continue tensioni e non solo da oggi. Una entità politica chiamata Libano infatti non era mai esistita prima dello smembramento dell’Impero Ottomano seguito alla Prima guerra mondiale. Fu la Francia a tracciare i confini del nuovo Paese, riunendo in una unico Stato un mix di di confessioni religiose: musulmani sunniti e sciiti, cristiani, drusi. Nel 1926 la Francia permise che il Libano (ancora sotto l’influenza francese) si proclamasse Repubblica e adottasse una Costituzione. Ma proprio questa Costituzione conteneva fattori di pericolosa ambiguità che verranno alla luce presto.
Certo gli abitanti del Paese dei Cedri erano arabi per lingua e cultura, ma l’unità era compromessa dagli interessi economici e dalle diverse alleanze delle varie confessioni. Diciotto per la precisione quelle ufficialmente riconosciute (armeni cattolici, armeni ortodossi, alawuiti, Chiesa assira d’oriente, caldei cattolici,copti, drusi, greco-cattolici, greco ortodossi, ismailiti, ebrei, maroniti, protestanti, cattolici romani, sunniti, sciiti, siro-cattolici, sir-ortodossi ). Nel 1926, la maggioranza dei libanesi, era cristiana, circa il 55% seguita dai musulmani sunniti, dai musulmani sciiti e dai drusi. La costituzione, formalizzata in maniera definitiva nel 1943, prevedeva un assetto istituzionale regolamentato dall’appartenenza religiosa. Il Presidente della repubblica, cristiano (in particolare cristiano maronita); il primo ministro, sunnita, il presidente del Parlamento, sciita.
Con gli anni i rapporti di forza delle componenti cambieranno. Ma il Libano continua a esseregovernato dai gruppi religiosi che devono mediare di continuo fra cittadini e Stato. A questa situazione di instabilità strutturale, vanno poi aggiunti altri eventi: la lunga e cruenta guerra civile, dal 1975 al 1990 – provocata dal’intrinseca debolezza della società libanese frammentata e quindi preda di antagonismi – le invasioni israeliane (nel 1978, nel 1982, nel 2006), il continuo ’controllo’ siriano, la presenza sul territorio di circa 500mila rifugiati palestinesi, l’assassinio del Primo ministro Rafiq Hariri nel 2005.
L’attacco a Gaza ha risvegliato i timori in una parte di sciiti libanesi, di un’altra invasione d’Israele, nel sud. Il leader del partito Hezbollahah, Hassan Nasrallah ha già avvisato TelAviv. La risposta ad un eventuale attacco, sarà un lancio di missili. Storicamente poi il Libano è stato sempre connesso con la Siria. E ora guarda con apprensione al conflitto che potrebbe estendersi all’interno dei suoi confini. Al nord, nella zona di Tripoli da mesi sono in atto scontri fra sciiti pro Bashar e sunniti anti Bashar. E se le forze progressiste tifano per cambio di regime in Siria, si percepisce chiaramente nel Paese anche il timore che la Siria diventi un altro anello dell’alleanza Fratellanza Musulmana e Stati Uniti.
In questo quadro s’inseriscono le elezioni politiche previste per la primavera del prossimo anno. Tutti sono in teoria d’accordo nell’affermare che una riforma elettorale sia ormai inevitabile. Ma la via per raggiungere l’obiettivo è piena di ostacoli. Intanto ieri (26 novembre) a Beirut, il Presidente libanese, Michel Suleiman, e il Presidente armeno, Serzh Sarkissian, hanno lanciato un appello per risolvere la crisi siriana tramite canali politici senza interventi militari esterni. Suleiman ha aggiunto che “il Libano continuerà a mantenere una posizione neutrale sui conflitti regionali”.
Vengono in mente alcuni versi della celebre canzone di Fairouz ’Li Beirut’: “Beirut con il suo animo produce vino e sudore, pane e gelsomini con le fatiche dei suoi abitanti. Ma allora perché ha il sapore di fiamme e fumi?”.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: La fragilità del Libano (riproducibile citando la fonte)
Libano, Beirut DownTown: angoli di vita quotidiana…
…Beirut DownTown, tra i ruderi delle antiche Terme Romane, Moschee… e sit in di protesta sotto il Parlamento.
Sit in di protesta contro il governo, a seguito dell’attentato del 19 ottobre 2012 che ha causato la morte di 8 persone fra cui Wisam al-Hassan, capo dei servizi di Sicurezza
Il Virus siriano
L’attentato d Beirut apre scenari allarmanti. Ma in Medio Oriente niente è scontato, come dimostra la storia. A chi giova destabilizzare il Libano? Gli interessi in gioco sono tanti. E chi era Wissam al -Hassan?
L’autobomba esplosa venerdì scorso a Beirut, non ha soltanto ucciso il capo dell’Intelligence libanese, il generale Wissamal-Hassan, e distrutto Piazza Sassine – nel cuore del quartiere cristiano di Ashrafiye – ma rischia di alterare gli equilibri, già fragili, del Paese dei Cedri, la nazione mediorientale più simile a una democrazia occidentale, pur se tormentato da dinamiche settarie e contrapposizioni politiche.
Che il lungo, lento collasso siriano con la tragica guerra civile potesse coinvolgere altri Paesi arabi e ’stravolgere’ la stabilità regionale, già si sapeva e si temeva. Ma i trenta chili di tritolo che hanno gettato Beirut e il Libano nel caos, hanno confermato le fosche previsioni. Dopo gli scontri di ieri (lunedì 22) ai funerali di Wissam al-Hassan, fra le forze dell’opposizione e l’esercito governativo, e quelli di Tripoli al nord del Paese, le forze armate di Beirut hanno invitato quelle politiche a usare moderazione nelle dichiarazioni per non fomentare le tensioni. E hanno aggiunto: “E’ in gioco il destino del Paese”.
Wissam al-Hassan era una figura di punta dell’ISF (Intelligence Internal Security Forces libanesi). Indubbiamente, era lui l’obiettivo dell’attentato che ha causato otto vittime e una settantina di feriti e sembra aver riportato Beirut indietro nel tempo. Vicino a Piazza Sassine, trent’anni fa, infatti era esplosa la bomba che aveva ucciso Bashir Gemayel, presidente neo-eletto del Libano a capo della Falange cristiano-maronita.
Ma non solo. Wissam al-Hassan, era visto anche come una delle personalità sunnite più importanti del Paese. Aveva condotto le indagini sull’attentato del 14 febbraio 2005, in cui perse la vita l’ex premier Rafiq Hariri accusando del fatto la Siria e le milizie sciite di Hezbollah. E aveva arrestato, nell’agosto scorso, Michel Samaha, allora ministro dell’Informazione libanese, con l’incriminazione di aver ordito un complotto per uccidere personalità politiche e religiose libanesi malviste da Damasco.
Ma Wissam al-Hassam era stato anche sospettato di ’coinvolgimento’ nell’uccisione di Rafiq Hariri; in quel periodo infatti era a capo dei servizi di sicurezza personali del Presidente e il giorno dell’attentato, il 14 febbraio 2005, non si trovava accanto a lui, come da protocollo, ma aveva preso un giorno di ferie per sostenere, in mattinata, un esame universitario. Gli investigatori delle Nazioni Unite trovarono l’alibi sospetto (anche per via delle 24 telefonate fatte dal Wissam quella mattina) ma le indagini non proseguirono perché Saad, il figlio di Rafiq Hariri, confermò la piena fiducia nel generale Wissam.
Un altro elemento importante e non trascurabile, è che l’Intelligence Internal Security Forces, del generale Wissam, ha l’incarico di controllare le infiltrazioni nel Paese dei Servizi israeliani. E, in seguito ad indagini, aveva arrestato Fayez Karam, a capo dei servizi di antiterrorismo e contro-spionaggio durante gli anni Ottanta e figura di spicco del Partito FPM (Free Patriotic Movement)con l’accusa di fornire informazioni sul partito di Hezbollah e del FPM (suo alleato).
Wassam al-Hassan era quindi un “obiettivo di alto livello” – come ha dichiarato Robert Fisk, corrispondente del quotidiano britannico ’The Independent’ – “su cui difficilmente saranno giudicati i responsabili”. Nella ridda delle ipotetesi: i siriani che vogliono allargare il conflitto oltre i confini o Hezbollah, alleato degli Assad. Ma in Medio Oriente niente è scontato, come dimostra la storia. A chi giova destabilizzare il Libano?
Gli interessi in gioco sono tanti. Tanti i sospetti. E i sospettabili. Non possiamo escludere per esempio che l’attentato abbia avuto origini interne, libanesi: salafiti, jihadisti sunniti, palestinesi dei campi profughi. Forze in campo che vogliono dare un nuovo assetto al Paese o regolare conti in sospeso. Rimane da sperare che i libanesi rimangano uniti nonostante tutto in nome del dolore e delle sofferenze patite durante la lunga e sanguinosa guerra civile.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Chi era Wissam al-Hassan – IL VIRUS SIRIANO
riproducibile citando la fonte
Beirut: una capitale sottotono
BEIRUT: UNA CAPITALE SOTTOTONO
“Tristezza. Si respira tristezza” racconta Francesco Mazzucotelli, ricercatore all’Università Cattolica di Milano, in Libano per lavoro e raggiunto telefonicamente a Beirut. “Ora che è ripartito il Papa, la città è sottotono, poca gente per le strade, considerevoli schieramenti di militari e forze dell’ordine anche in centro”. Beirut, una città vivace, attiva ed energica nonostante le memorie della lunga guerra civile, appare spenta. D’altra parte – dopo le violente proteste che hanno coinvolto ormai una ventina di Paesi musulmani per il film anti-islamico sulla vita del Profeta, prodotto negli Stati Uniti – anche in Libano il livello di ’allerta’ si è alzato. Il ministro degli interni Marwan Sharbel ha dichiarato:“Abbiamo intensificato le misure di protezione a tutte le sedi che ospitano uffici e rappresentanze diplomatiche, commerciali e turistiche americane”.