Cina
29 settembre 2015 : minireport Esteri
Occhi puntati sulla #Siria. #Obama e #Putin hanno creato le basi per una collaborazione militare contro #lS (Stato Islamico) ma rimangono le divergenze sul futuro del presidente siriano #Bashar_al_Assas. Infatti #Obama -nel Discorso all’Assemblea generale dell’Onu – si è dichiarato favorevole a una coalizione internazionale, anche con Russia e Iran, ma ha rifiutato qualsiasi cooperazione con #Bashar_al_Assad. Invece #Putin continua a difendere il Presidente siriano e, prima di tornare a Mosca, ha dichiarato “Non spetta agli Stati Uniti scegliere il leader di un altro Paese”.
Per non dimenticare. In #Afghanistanistan. i #Talebani hanno conquistato#Kunduz, città di 300mila abitanti nel nord del Paese.
E ancora news: la #Cina ha promesso un miliardo di dollari alle Nazioni Unite per creare un fondo per la pace e per lo sviluppo; 8.000 militari per strategie di peacekeeping e 100 milioni di dollari alla #’Unione_africana per creare un’unità di emergenza Cooperante itaiano ucciso a #Decca nel#Bangladesh. L’assassinio è stato rivendicato dallo #Stato_Islamico.
(Fonti Washington Post, Bbc, New York Times)
#Minireport_Esteri.
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La guerra del petrolio
La guerra del petrolio
Mitt Romney ha dichiarato che se diventerà presidente degli Stati Uniti, il Paese, importerà petrolio solo dal Canada e dal Messico. Secondo il candidato repubblicano infatti , importare petrolio da paesi instabili come quelli medio- orientali rende gli States “energicamente dipendenti”. Anche secondo il Presidente in carica, Barack Obama, l’indipendenza energetica è necessaria perché il petrolio può essere usato come “arma per destabilizzare i governi democratici da parte di governi non democratici”. Certo il Canada non è un paese instabile in grado di procurare problemi. E le dichiarazioni odorano di retorica.
SIRIA: QUALE FUTURO?
Gilles Kepel, accademico francese ed esperto di Islam e Medio Oriente, in un recente articolo su ’Le Figaro’, ha dichiarato: “In Siria i problemi interni e la lotta per la democrazia avviata dalle forze di opposizione contro la leadership al potere, sono direttamente articolate con altre linee di forza generate dalle petromonarchie del Golfo, l’Iran, Israele, la Russia, la Cina, gli Stati Uniti e in misura minore l’Europa”.
Fin qui niente di nuovo. Da tempo la crisi siriana si è internazionalizzata. Ed è sempre più difficile prevedere gli scenari futuri e una soluzione pacifica per un Paese in cui, secondo le parole dell’inviato dell’Onu per la Siria Lakhdar Brahimi, “la situazione ha ormai raggiunto proporzioni catastrofiche”. Nell’intervista rilasciata all’emittente televisiva ’Bbc’, Lakhdar Brahimi è apparso realista, per nulla disposto a cedere a facili illusioni. O al fascino delle parole vuote delle diplomazie.
D’altra parte, il 78enne algerino non vanta al suo attivo solo importanti missioni di mediatore (inviato della Lega Araba dell’Onu in Afghanistan e in Iraq, in Libano per gli accordi di Taif nel 1989) ma ha vissuto anche in ’prima linea’ i dieci anni di Guerra civile algerina. Dopo il colpo di Stato appoggiato dall’esercito dell’11 gennaio 1992 – che aveva annullato la vittoria elettorale al primo turno (con 188 seggi su 231) del Fronte Islamico di Salvezza – era stato infatti nominato Ministro degli Esteri. E aveva mantenuto posizioni intransigenti, di ’non negoziazione’ con la parte avversaria.
Una sola la nota positiva nel discorso di Brahimi alla ’Bbc’: “Mi rifiuto di credere che il popolo siriano si ridurrà a una cieca visione settaria dell’esistenza fino a uccidere il vicino di casa”. Eppure è proprio ciò che è successo in Algeria. Tra il il 1992 e il 1998, decine di migliaia di vittime. Algerini contro algerini in un lungo e sanguinoso conflitto che lacerò profondamente la società civile.
Atteso sabato prossimo (8 settembre 2012) a Damasco, Brahimi, forte della sua esperienza, conosce benissimo la posizione intransigente della leadership siriana. E quella, altrettanto intransigente, dell’opposizione armata. Come potrebbe essere ottimista? Credere in un possibile ’cessate al fuoco’? A una ’smilitarizzazione’ delle parti in campo?
Intanto il presidente russo Vladimir Putin in un’intervista al Canale Tv ’Russia Today’ ha ribadito che “non è la Russia a dover cambiare atteggiamento sul conflitto in Siria, ma piuttosto il fronte dei paesi occidentali”. E ha aggiunto, riferendosi alla Libia: “Vorrei ricordare che le iniziative dei nostri partner non sono certo finite tutte come loro stessi avrebbero voluto”. La Cina invece si è limitata a dichiararsi “favorevole un dialogo politico tra regime e opposizione, ma senza pressioni dall’esterno”.
Sull’altro fronte dei paesi ’generatori di linee di forza’, la Turchia. Il primo ministro turco Tayyip Erdogan ha accusato il Presidente siriano “di aver creato con il suo regime uno Stato terroristico”. Certamente Erdogan teme l’alleanza dei curdi del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) con i curdi siriani. E cerca sostegno. Domenica scorsa a Istanbul, si è svolto in segretezza un incontro fra il direttore della Cia, David Petraeus e Hakan Fidan, responsabile del Mit, i servizi segreti turchi. Nel gran gioco medio-orientale non mancano le fonti di funzionari anonimi dell’Amministrazione Usa, citati dal ’New York Times’, secondo i quali “l’Iran sta rifornendo in modo massiccio Damasco di armi per via aerea, passando per i cieli iracheni”.
A proposito di armi: il timore che la crisi siriana possa oltrepassare i confini, interessando altri paesi dell’area e la possibilità di un conflitto nel Golfo Persico, hanno fatto incrementato le vendite. Nella classifica dei paesi in testa nel rifornimento dei propri arsenali c’è l’Arabia Saudita, che (fonte: Congress Reserch Service) ha acquistato armi dagli Stati Uniti per più di 33 miliardi di dollari.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indrohttp://www.lindro.it/Siria-quale-futuro/ (riproducibile citando la fonte). |