Cisgiordania

Tutte le sfide della Giordania

La situazione nel regno Hascemita

Tutte le sfide della Giordania

L’evoluzione di una piccola nazione creata dai ’pasticceri di Versailles’. Le riforme socio-politiche di Re Abdallah II, le difficoltà interne e del contesto regionale

“Ai pasticceri di Versailles, come a molti cuochi, erano avanzati ritagli di pasta dopo aver riempito gli stampi del mondo, e questo è uno di quei rimasugli” scrisse nel 1923, Junius Wood, inviato del National Geographic. Il ’rimasuglio’ era la Transgiordania, il Paese creato sulla carta, durante la Conferenza di Pace di Versailles, dai Paesi vincitori della Prima guerra mondiale. La Transgiordania, viene ’regalato’ ad Abdallah, secondogenito dello Sheikh della Mecca Husayn, come ricompensa per l’aiuto prestato durante la Prima guerra mondiale contro i turchi. Ma in realtà, Abdallah può fare poco. La Trangiordania è di fatto governata dalla Gran Bretagna. Passano gli anni e la Storia. Nel 1949 è il primo stato arabo a firmare il trattato di Pace con Israele, dopo la guerra del 1948. Per questo, la Trangiordania che intanto ha conquistato l’indipendenza, diventando il Regno Hascemita di Giordania, sarà ’ricompensata’ dall’Occidente con la cessione dei territori, a ovest del fiume Giordano, la Cisgiordania e una parte di Gerusalemme (che sarà occupata da Israele nella guerra dei 1967). Sarà Re Hussein, nipote di Abdullah, a cedere i diritti sulla Cisgiordania ai palestinesi nel 1988, anzi a Yesser Arafat a capo dell’Olp, che annuncia così la nascita dell’Autorità Nazionale Palestinese. Una buona mossa quella di Re Hussein. Compiuta in nome della stabilizzazione dei rapporti fra i Paesi arabi e Israele. Per la pace. Anche se purtroppo le buone intenzioni non sono state ricompensate.

Giordania: calma apparente

I problemi del Regno Hascemita

Giordania: calma apparente?

Il delicato equilibrio interno, l’economia fragile, il dramma dei palestinesi e dei profughi siriani, le pressioni saudite

La Giordania finora è stata solo sfiorata (per breve tempo dal gennaio 2011) dall’ondata delle rivolte che hanno travolto gli altri Stati arabi. Ma la calma apparente non deve ingannare. Il Paese infatti deve affrontare il problema dei profughi siriani. Secondo l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati (Acnur), i siriani registrati in Giordania sono circa 70.000 (20mila nel campo di Zatari) più le decine di migliaia non inserite nelle liste dell’Agenzia dell’Onu.

Il governo di Amman, scrive oggi il ’Jordan Times’, “sta allestendo un secondo campo profughi nella zona di Ribaa Sirhan, vicino al confine. La struttura dovrebbe essere in grado di ospitare almeno 20.000 persone. Ma il ministro dell’Informazione giordano Samih Maaytah si è detto preoccupato: “La risposta alla crisi umanitaria richiede risorse superiori alle nostre stesse capacità: servono un programma e una risposta internazionali”. I rifugiati rappresentano un peso enorme per l’economia giordana, fragile e provata dal debito crescente, dalle scarse risorse idriche ed energetiche.

Non solo. Sono anche un’incognita che va ad aggiungersi alla ’storica tensione’ tra la Casa Reale hascemita e la maggioranza palestinese. Per capire meglio è necessario ricordare brevemente le caratteristiche della società giordana. Anche se la base di potere della monarchia hashemita è rappresentata da tribù transgiordane, la maggioranza della popolazione del regno è ormai di origine palestinese (i dati sono controversi, ma sembrano attestarsi sul 50-60%).

I primi profughi palestinesi sono arrivati in Giordania nel 1948, a seguito della creazione dello Stato di Israele. E continuarono ad arrivare, dagli anni 50 alla ’Guerra dei sei giorni’ del 1967, in quella che si chiamava Cisgiordania ma faceva parte del Regno giordano. Ai Palestinesi della Cisgiordania è stata concessa la cittadinanza, ma sono sempre stati discriminati: esclusi dall’amministrazione pubblica e dai servizi di sicurezza, e pur costituendo la maggioranza da un punto di vista demografico, rappresentati in parlamento solo il misura fra il 10 e il 20%.

L’opposizione popolare che si è manifestata nel paese a partire dal gennaio del 2011 era ed è composta sia da transgiordani che da giordani palestinesi, ma le rivendicazioni non sono le stesse. Comuni, certo, le richieste economiche, l’insofferenza contro la corruzione dilagante e l’esigenza di un governo che risponda delle sue azioni direttamente ai cittadini. Ma se si tocca il tasto della rappresentanza a livello politico, le note si fanno dolenti. Un parlamento più democratico significa nei fatti un parlamento più ’palestinese’.

L’urgenza del re Abdallah, di trovare una soluzione alla questione palestinese è testimoniata dai tentativi – sia pure infruttuosi – della monarchia (all’inizio di quest’anno) per riavviare i negoziati di pace morti da tempo. E dall’apertura nei confronti di Hamas (il cui leader Khaled Meshaal si è recato ad Amman a fine gennaio). Un’apertura fittizia dato che re Abdallah non si è dimostrato disposto a ospitare nuovamente leader dell’Organizzazione palestinese.

La guerra civile siriana sta complicando le cose. Oltre ai profughi, la Giordania – che ha già accettato già aiuti economici dall’Arabia Saudita – sembra stia subendo pressioni da Riad per aprire i propri confini alle armi provenienti dall’Arabia Saudita e dirette ai ribelli siriani.

Corruzione (gli scandali emersi nell’ultimo anno), crisi economica, tensioni sociali. La Giordania reggerà all’onda d’urto che potrebbe travolgerla?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro – Giordania: calma apparente (riproducibile citando la fonte)

In Cisgiordania, formazione al lavoro per giovani e donne palestinesi a cura di Acli e della cooperazione italiana

Le aule apriranno a luglio: lezioni di lingua italiana, per cominciare. Seguiranno i corsi per la formazione di operatori sociali, operatori per la progettazione e per artigiani specializzati nella lavorazione del legno e della madreperla.
Il nuovo Centro di Formazione Professionale per giovani palestinesi – inaugurato a Betlemme il 1° maggio scorso, dalle Acli -, realizzato con la Fondazione Giovanni Paolo II e l’Università per stranieri di Perugia, «vuole offrire un’opportunità di formazione e d’inserimento nel mondo del lavoro ai giovani palestinesi della Cisgiordania», come spiega il responsabile e coordinatore Riccardo Imberti. Ed è finanziato dalle Acli con i contributi del 5 per mille.
La Cisgiordania rappresenta la 140esima economia del pianeta. Metà della popolazione vive sotto la soglia della povertà. La dipendenza dagli aiuti internazionali, soprattutto europei, è elevata. Così come la percentuale di disoccupazione giovanile: nella fascia fra i 15 e i 24 anni, del 37% per i ragazzi e del 46,9% per le ragazze, secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese.
Il progetto di sistemazione della scuola – ospitata nella Casa della Pace di Betlemme – è stato realizzato da Shadi Qumseya, un palestinese che ha frequentato l’Università per Stranieri di Perugia e si è laureato in ingegneria all’Università di Padova. «Gli aiuti ‘passivi’ non bastano – sostiene Riccardo Imberti – è importante che giovani come Shadi, completata la formazione, tornino nel loro Paese per mettere le competenze a disposizione di altri giovani».

“Murad Murad” di Suad Amiry , il lavoro è desiderio anche in Cisgiordania

Suad Amiry, Murad Murad, Feltrinelli
pagg. 176, euro 14,50.

Qual è il desiderio di Murad? In un’area in cui – secondo le statistiche Onu – la disoccupazione riguarda il 35-40 per cento della popolazione e le persone che vivono sotto la soglia della povertà sono fra il 50 e il 60 per cento, il desiderio di Murad, un giovane palestinese, è semplicemente quello di poter lavorare.  Nella Cisgiordania occupata e disseminata di posti di blocco e insediamenti, isolata dal Muro costruito da Israele, i fortunati possessori del “tesserino blu”, sono pochi, circa 20mila. E solo loro hanno l’autorizzazione  per  andare in Israele a lavorare come operai, manovali, braccianti. “I permessi sono stati revocati nel 2002 allo scoppio della seconda Intifada – scrive Suad Amiry – così, nel giro di una notte, 150mila operai hanno perso il posto”. E aggiunge : “data la completa dipendenza economica da Israele, gli smembrati e disconnessi Territori Occupati non avevano e non hanno granché da offrire”.
Oggi, almeno 50mila palestinesi, “non in regola” fra cui Murad, – il giovane protagonista del libro – ogni giorno, di straforo, cercano di entrare in Israele, affrontando sacrifici, disagi, fatiche, pericoli. E non importa se – una volta trovato – il lavoro è malpagato, discriminato e privo di tutela. “ Non posso rimanere seduto al caffè del paese a fumare narghilè e bere the. Non ci sono prospettive nel mio villaggio – racconta Murad- Meglio rischiare. ”
Suad Amiry diventa la confidente dello “sfrontato” Murad, un ragazzo come tanti. Viene a sapere che, pur avendo solo 21 anni, ha lavorato per 7 anni in Israele, parla ebraico, è stato innamorato di una ragazza israeliana. Murad non si rassegna al muro che divide  i due popoli, che gli impedisce di vivere e lavorare in pace. E Suad Amiry, a sua volta, non si accontenta di raccogliere la sua testimonianza. Decide di vivere l’esperienza di Murad e dei “tanti come lui”, in prima persona.