Cittadella. Monastero di San Simone il Conciatore

Zibaleen city

Zibaleen City, dove vivono gli uomini-spazzatura

Zibaleen city

Il Cairo . Ti assale subito il fetore. Un odore acuto, persistente, acre, che in qualche punto fa lacrimare gli occhi.

Siamo a Mansheya,  Zibaleen City – un quartiere incastrato fra le colline di Moqattam e la Cittadella – dove vivono gli  “Zibaleen”. In arabo “Zibala” significa spazzatura e “Zibaleen”, letteralmente, “ gli uomini della spazzatura”.
Una zona off-limits per i turisti ma anche per molti abitanti del Cairo che ne ignorano, o fingono di ignorarne l’esistenza. Le strade e i vicoli sono sterrate e bisogna camminare nel fango, fra liquidi e putridume. Ai lati, case, negozi. Un’immagine surreale quella delle bancarelle di verdura fra cumuli d’immondizia, pile di cartoni, lattine, mobili rotti, abiti usati e nuvole di mosche. Due bambini giocano a pallone usando un sacchetto di plastica. Passa un carretto trainato da un somaro, stracolmo di rifiuti.

Mansheya – racconta Adham che lavora come “guida” al Monastero di San Simone il Conciatore, costruito proprio sopra il villaggio –  è abitata per il 90% da cristiani copti ortodossi e per il 10% da musulmani. Sono contadini immigrati al Cairo dal sud dell’Egitto. Senza soldi e senza  istruzione, per poter mantenere le famiglie, avevano incominciato a raccogliere i rifiuti con cui sfamare i loro maiali. I primi zibaleen sono arrivati circa mezzo secolo fa ma non abitavano qui. I governatori decisero poi di “sistemarli” tutti in questa zona. I maiali però non ci sono più. Qualche anno fa durante la febbre suina sono stati abbattuti”. Il monastero copto di San Simone (nato nel 1969) svolge anche un’importante attività di assistenza. “Ha fatto costruire un ospedale, scuole” spiega Adham e “aiuta sia i cristiani che i musulmani”.

Quanti sono oggi gli Zibaleen? Secondo Adham “Impossibile stabilire il numero esatto, ma si calcola 40mila, forse di più. E sono in aumento. La povertà e la crisi economica spingono molti contadini a lasciare le campagne”.

Il degrado sociale, umano, è evidente e le condizioni igienico sanitarie (il virus C è molto diffuso) del quartiere inaccettabili, nonostante l’intervento della Chiesa e di varie organizzazioni di volontariato. Non si tratta di povertà. Al Cairo ci sono quartieri più poveri, per esempio, quello di Duwe’a, vera e proprie baraccopoli senza energia elettrica. Ma qui il nodo è proprio il degrado e la conseguente emarginazione sociale, proprio perché gli zibaleen sono per il 90% cristiani copti. Già emarginati per motivi religiosi. E il paradosso consiste nel fatto che l’attività di “monnezzari”, pur emarginandoli, è l’unica fonte di guadagno.

Racconta ancora Adham: “Gli zibaleen riescono a guadagnare in media 400 pound (circa 50 euro al mese)”. E ci spiega come si svolge il lavoro. “Al mattino presto un gruppo di zibaleen parte con carretti o pick-up per raccogliere  l’immondizia. Il carico viene poi portato nei centri di raccolta  del quartiere dove un’altra squadra (composta anche di donne e bambini) seleziona e divide il materiale: plastica, carta, ferro, rifiuti organici. Una parte di questo sarà infine riciclato e venduto”.  Si calcola che gli zibaleen raccolgano circa 3 tonnellate di rifiuti. Legalmente, perché le autorità del Cairo hanno concesso agli zibaleen, dal 1996, una licenza per gestire i rifiuti. Ma nella capitale operano anche aziende regolari di nettezza urbana (quattro che hanno vinto una gara di appalto internazionale). Con scarso risultato. La megalopoli araba è infatti una città sporca. Produce circa 10mila tonnellate di rifiuti al giorno di cui il 20% rimane nelle strade. L’arrivo delle aziende di stampo “occidentale” aveva creato, qualche anno fa, una vera e propri rivoluzione degli zibaleen, timorosi di perdere il lavoro. Non è accaduto. Gli zibaleen sono in grado infatti, grazie all’esperienza di decenni, di riciclare quasi il 90% cento dei rifiuti contro il 60% delle aziende tradizionali che pure usano sistemi meccanizzati. Un circolo vizioso. Il quartiere degli uomini-spazzatura conviene. E così bambini e le donne in gravidanza continuano a vivere fra i rifiuti, i gas tossici, il liquame.

Un gruppetto di uomini riposa in un caffè fumando la “shisia”, mentre una ragazza, sguazzando con i sandali aperti nel fango, raggiunge un negozio dove l’insegna colorata promette una “Hair-stylist” di lusso. Anche questa è Zibaleen-City.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Zibaleen City, dove vivono gli uomini spazzatura (riproducibile citando la fonte)