Curdi

IRAQ - Isis

Il califfato: dalla Siria all’Iraq, con furore

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Le sigle rischiano di confondere il lettore che legge ISIS (Stato islamico dell’Iraq e della Siria) o ISIL (Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) senza poter dare agli acronimi lo spessore storico.
‘Siria’ e ‘Levante’ sono termini ingannevoli. In realtà, gli arabi usano invece la parola ‘Sham’ o ‘As-Sham’ che significa ‘la Grande Siria’. Non la Sira di oggi, dunque, (almeno prima delle rivolte e della guerra) che confina con la Turchia a nord, la Giordania e Israele a sud, l’Iraq ad est, e il Libano a ovest. Perché ‘la Grande Siria’, invece, comprendeva -prima della divisione dell’Impero Ottomano con l’Accordo Sykes-Picot (il trattato segreto stilato da due diplomatici britannici e francesi, Mark Sykes e Francois George-Picot , alla fine della Prima Guerra Mondiale per dividere le terre dell’Impero Ottomano tra Gran Bretagna e Francia)- la Siria di oggi più parte dei territori di questi Stati.
Per questo gli arabi non usano le sigle occidentali, ma identificano il gruppo estremista sunnita islamico con il nome di Dawla Islamiya fi Iraq wa Sham chiamato familiarmente Daesh dai siriani.
Il trattato di Sykes-Picot, fu un raggiro a danno della Grande Siria e molti arabi non dimenticano ancora ‘la grande offesa’. Per questo, ancora oggi, molti mediorientali, rifiutano di accettare questa divisione e pensano alla Siria come ‘la Grande Siria’.
E se agli occidentali, il termine ‘Califfato’ può far sorridere e sembrare fuori dal tempo, è bene ricordare che proprio della terra di ‘Sham’ (Bilad al-Sham) questo vasta regione di cui facevano parte anche aree dei Paesi sopra citati, nacque il primo Califfato Islamico, quello degli Omayyadi, dal 661 al 750 d.c., con Damasco capitale.

Chiarito questo primo punto storico, passiamo alla Siria, dove il gruppo estremista di matrice qaidista, è comparso sul terreno più di un anno fa, nel febbraio 2013, sventolando le ormai celebri bandiere nere. Combattendo contro il regime, ma con finalità diverse dall’Esercito Siriano Libero (ESL), quelle, appunto, della creazione di un Califfato islamico. E, in secondo tempo, scontrandosi addirittura con alcune brigate dello stesso ESL e agendo quind, di fatto, come ‘forza controrivoluzionaria’ -e cioè indebolendo i ribelli siriani più che la leadership degli Assad. E’ in Siria che l’ISIS si è rafforzato e ha cominciato la sua espansione verso est, impossessandosi di Mosul, la seconda città irachena e arrivando a pochi chilometri dalla capitale, Baghdad. 

Molto importante, però, al fine della comprensione dei fatti,  è ricordare l’’intrecciarsicontinuo  e il collegamento delle azioni del gruppo, in Siria e in Iraq dal 2013. Infatti, subito dopo la comparsa in  Siria, a Daraya e Aleppo (a febbraio), già nel luglio 2013, il gruppo estremista sunnita, compie una serie di attentati suicidi in Iraq, a Nassiriyya, Mosul, Kirkuk, Bassora. Mentre, nell’agosto 2013,  riesce a conquistare la città di Raqqa, sconfiggendo i ribelli dell’Esercito siriano libero (Esl) alleato con i gruppi salafiti di Jabhat al Nusra e Ahrar ash Sham, che avevano strappato la città al regime, nel 6 marzo 2013.  Dalla conquista di Raqqa, il gruppo comincia a vessare i civili (anche i musulmani non solo i cristiani)  e balzare sulle pagine della cronaca per le azioni crudeli.  Afferma di applicare la Sharia (la legge coranica) ma è una interpretazione radicale, secondo molti analisti, distorta. ‘Lo Stato Islamico’ esegue fustigazioni e taglio delle mani ai ladri, espone pubblicamente chi uccide perché accusato di omicidio o di combattere per il regime. Spesso impone l’abolizione del fumo, della musica e velo integrale alle donne.

Proprio perché ormai ‘Lo Stato Islamicorappresenta un pericolo per le vere forze rivoluzionarie, in Siria, i ribelli che combattono contro Bashar al- Assad, si riuniscono sotto il Fronte islamico e cercano (dal dicembre 2013)  di cacciarlo dal Paese. In un susseguirsi di vittorie  e di sconfitte, alla fine i ribelli siriani perdono. Il risultato finale? A irrobustirsi e a consolidare posizioni o  ad addirittura ad avanzar sono l’Isis e il regime. Inoltre, anche i gruppi di jihadisti stranieri combattono da tempo sui due fronti: Siria e Iraq. Un’azione congiunta comprensibile se si pensa che il fine ultimo è cancellare la frontiera fra i due Paesi per la creazione del Califfato.

Due osservazioni ancora. Se in un primo tempo, abbiamo definito l’Isis (o  Isil o Dawla Islamiya fi Iraq wa Islam), insomma lo Stato islamico dell’Iraq e del Levante, un gruppo di stampo qaidista perché nato con l’approvazione del leader di al QaidaAyman al Zawahiri,  e da un primo nucleo operante in Iraq (ISI) in un secondo tempo, all’inizio del 2013, il leader dell’Isi, Abu Baqr al Baghdadi, comincia prendere decisioni ‘unilaterali’. Proclama la sua fusione con il gruppo del Fronte al -Nursa (che invece rivendica la sua autonomia) fino ad essere richiamato dallo stesso Zawahiri  in Iraq, e invitato a abbandonare la questione siriana. Ma Abu Baqr al Baghdadi rifiuta di obbedire, rivendica la propria autonomia e si definisce Califfo dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante.
La seconda. Perché Lo stato Islamico dell’Iraq e del Levante sta collezionando tante vittorie? Superiorità militare sul terreno senza dubbio, però esiste ancora un fattore: la sua organizzazione. Per la prima volta ci troviamo davanti a un gruppo jihadista, estremista che non è nato solo per combattere. Ma per vincere e restare in maniera strutturata. Un gruppo di  tipo ‘parastatale’ anche se, il modello che propone è quello di uno Califfato, uno Stato basato, come abbiamo detto, sulla sharia -anzi su una interpretazione oscurantista, deviata della sharia-  ma che è in grado, quando s’impossessa di un territorio  di rendere operativi scuole, uffici, strutture poliziesche.

Sui media occidentali, il fenomeno Isis vien visto soprattutto come scontro confessionale fra sunniti e sciiti. Ed anche il Presidente iracheno Nuri al Maliki spinge in questa direzione. Ma è riduttivo definire l’Isis solo come gruppo combattente religioso‘. E necessario conoscere la storia. E’ necessario ricordare il potere, la politica, la rivincita.
Si sa, infatti, che in Iraq, la politica di Al Maliki e dei  governi a maggioranza sciita al potere dopo la  caduta di Saddam Hussein, sono stati penalizzanti nei confronti dei sunniti (il 40% della popolazione se consideriamo anche curdi e turcomanni ). Quindi il successo delloStato islamicopuò anche essere visto dai sunniti come  rivincita sul potere sciita. Non solo in Iraq ma anche in Siria, dove la dittatura al potere degli Assad, appartiene al ramo sciita degli  alawiti (nel Paese la percentuale sunnita è del 74%).
E ancora, il richiamo al Califfato, non riguarda solo l’Islam degli albori, delle prime conquiste, ma ricorda lo scontro per il potere secolare, tra le due confessioni del mondo musulmano: sciiti e sunniti.
Proviamo a pensare alle  guerre di religione in Europa. Cattolici e protestanti combatterono per la religione in senso stretto o per il potere secolare? Vittoria dopo vittoria (ma in Iraq alla presa di Mosul, hanno contribuito  gli ex ufficiali di Saddam e i gruppi tribali della provincia), gli Stati Uniti rilasciano dichiarazioni contrastanti di intervento sì e intervento no sul territorio o tramite droni o di una alleanza con l’Iran. I Paesi dell’Unione Europea, l’Italia soprattutto, non contano nulla, né sul piano diplomatico nè operativo, mentre la proclamazione di un  califfato sunnita, a ridosso del confine tra Iraq e Siria, sta diventando concreta.
Per ora solo i guerrieri curdi (i peshmerga)  della regione autonoma del Kurdistan iracheno con capoluogo a Erbil, si sono dimostrati in grado di contrastarli. Dal 12 giugno, dopo che Kirkuk era caduta in mano dell’Isis, è sotto controllo appunto deipeshmerga.
Certo l’attacco dell’Isis al Governo irecheno rappresenta una buona occasione per i curdi iracheni che mirano alla costituzione di uno Stato vero e proprio e in passato si sono scontrati con il Governo di Baghdad per dispute territoriali sul Governatorato di Kirkuk e di Salaheddine. Ora, di fronte alla totale impreparazione dell’Esercito iracheno, la leadership di Baghdad  ha chiesto ufficialmente al Governatorato del Kurdistan di impiegare i peshmerga contro Isis.

In Siria si continua a combattere anche dopo le ‘elezioni presidenziali‘ e le opzioni sono ancora tutte aperte. Un fatto appare, pero, altamente provabile: accordo Sykes-Picot, addio. L’avanzata dell’Isis ha il reale potere di cambiare gli assetti regionali del Medio Oriente e i confini tracciati dall’Occidente dopo la prima guerra mondiale per la spartizione dell’area.

Antonella Appiano per  ©Lindro  Il Califfato: dalla Sira all’ Iraq con furore – Tutti i diritti riservati

Vedi anche: La terza guerra d’Iraq

Per approfondire:

Chi rivuole il Califfato in Siria?
Sogniamo un Kurdistan indipendente
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Siria: scenari possibili post elezioni 2014
Il fondamentalismo islamico
Chi sono i Salafiti
Iraq, una pace mai nata

 

 

La comunità cristiana in Siria

Richard W. Bulliet, uno dei più autorevoli studiosi statunitensi di storia musulmana, scrive ne ‘La civiltà islamico cristiana‘.  «Dimentichiamo spesso che Islam e  Occidente hanno radici comuni e condividono molta della loro storia. I contrasti non dipendono da differenze essenziali ma da una prolungata ostinazione a non voler riconoscere la parentela che li unisce». E aggiunge : «nel passato, protestanti e cattolici si sono massacrati a vicenda e i cristiani hanno perseguitato e oltraggiato gli ebrei. Eppure oggi le valutazioni di parentele di civiltà che uniscono protestanti, cattolici ed ebrei non risentono di queste pesanti memorie storiche. Non possiamo invece unire l’Islam nel concetto perché  siamo eredi di una tradizione storiografica cristiana costruita volutamente sull’esclusione, sull’immagine dell’Islam come altro come  cattivo».

Qualche data per capire meglio. La regione siriana faceva parte dell’Impero romano e con la disgregazione di questo (395-634 DC) passa sotto il controllo dell’Impero Romano d’Oriente e successivamente entra a par parte dell’Impero Bizantino. E’ in Siria che avviene la conversione di San Paolo,tra il 34 e il 37 DC. Il 20 agosto 636  gli arabi sconfiggono i bizantini sulle rive del fiume Yarmuk  (affluente del fiume Giordano a sud del lago Tiberiade). L’esercito arabo travolge i Sasanidi, si riversa sulla Persia e sulla Mesopotamia bizantina, arrivando alla fine del 639 alle porte dell’Egitto. La Siria è quindi il primo Paese conquistato dai musulmani al di fuori dell’Arabia. Dopo quasi un millennio di dominazione occidentale, entra nell’orbita del mondo arabo, assumendo come riferimenti culturali e religiosi l’Oriente, l’Islam e il mondo semitico.

Muawiya nel 661 fonda il Califfato Omayyade con capitale Damasco che diventerà uno dei maggiori centri culturali del tempo, califfato che durerà fino al 750  quando si trasforma in  Califfato Abbaside (fino al 1258)  con capitale Baghdad. Damasco perde prestigio e la Sira diventa una provincia. XI-XIII Secolo Anche il territorio della Siria si trova ad essere campo di battaglia durante le crociate. 1259 invasione mongola e nel 1401 invasione di Tamerlano che saccheggia Damasco e Aleppo. Dal 1516  al 1918 fa parte dell’Impero ottomano. Nel 1914, l’anno dell’inizio della Prima guerra mondiale, nell’Impero, i cristiani erano circa il 24% della popolazione, e nella zone che oggi chiamiamo, Siria, Libano, Palestina e Giordania, il 30%. Ma la Grande Guerra segna la sconfitta della ‘Sublime Porta’, alleata degli imperi centrali della Germania, Austria e Ungheria che viene spartita dagli Stati vincitori. E non solo. In Medio Oriente nasce un nuovo ordine politico.

Dalla dissoluzione dell’Impero Ottomano sorgono la Turchia moderna, e i primi Stati Nazionali arabi ma sotto forma di  colonia o mandato, creazioni artificiali, dovute a giochi di potere. Un Medio Oriente, insomma, assoggettato a sfere d’influenza della Russia, della Gran Bretagna, della Francia. La divisione venne fatta a tavolino, tradendo l’accordo Husain-McMahon (1915) con il trattato di Sykes-Picot del 1916 e senza tenere conto dei desideri delle popolazioni locali.  Nel 1919 in margine alla Conferenza di Pace di Parigi, il sistema mandatario spartisce la Mezzaluna fertile tra Francia e Gran Bretagna, la Siria è sotto la Francia, la Palestina sotto la gran Bretagna. E la Francia divide la “Grande Siria, in Siria e Libano. I due Stati sono nati rispettivamente nel 1924 e nel 1926. La Siria ottiene l’indipendenza effettiva dalla Francia solo nel 1946. L’anno successivo nascono il partito Nazionale, il partito del Popolo e le prime elezioni politiche sono vinte dai nazionalisti.

A Damasco nasce il Partito Ba’th (Rinascita) basato sull’affermazione del nazionalismo arabo. Dal 1949 al 1954  la Siria vive una forte instabilità politica, con ben 4 colpi di  Stato militari. Il 1956, è l’anno della Nazionalizzazione del Canale di Suez, rotta strategica per i commerci verso e dall’Oriente, da parte del Presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, leader carismatico del nazionalismo arabo. Nello stesso anno iniziò l’influenza degli Stati Uniti in Medio Oriente in senso anticomunista (Guerra Fredda). 1958 Istituzione della Repubblica Araba Unita. RAU, tra Siria e Egitto con capitale Il Cairo fino al 1961 quando il 28 settembre, con un colpo di Stato militare, la Siria si separa. Nel 1963 Colpo di stato di alcuni ufficiali baatisti, fra cui Hafez al- Assad (padre dell’attuale Presidente Bashar) che prendono il potere, sostenuti da altri gruppi di militari. Il nuovo Governo avvia la nazionalizzazione di ogni settore dell’economia. Nasce l’Ufficio della Sicurezza nazionale.

1964 Prima insurrezione anti-regime ad Hama che viene repressa duramente. 1966 Colpo di Stato interno nel Ba’th. Il colonnello al comando dell’aviazione Hafez Assad diventa Ministro della Difesa. 1967 L’esercito siriano è sconfitto  nella guerra dei Sei giorni contro Israele che occupa le alture del Golan. Israele occupa anche il Sinai egiziano, e la Cisgiordania. Nel mese di novembre la risoluzione 242 delle Nazioni Unite richiama Israele al rilascio dei territori occupati. Ancora oggi il Golan è occupato da Israele. 1970,  il 16 novembre, il Ministro della Difesa Hāfiz al-Asad,  con un golpe incruento, assume il ruolo di Presidente con mandato settennale. 1976-1982,  i Fratelli Musulmani attaccano esponenti del partito partito Ba’th. Nel 1979 sono uccisi 32 cadetti alawuiti  dell’Accademia militare di Aleppo. Per rappresaglia e per reprimere la Fratellanza musulmana che rappresenta l’opposizione, Hafez al- Assad fa radere al suolo nel 1982 di Hama (roccaforte dei Fratelli Musulmani). Si parla di 10 mila morti, 20mila morti (il numero non è mai stato accertato con sicurezza).

E’ stabilita la pena di morte per i seguaci del movimento. 2000,  il 10 giugno, Hafez al-Assad muore e il  figlio Bashar al-Assad  diventa il nuovo Presidente della Repubblica siriana. Annuncia riforme nel campo della tecnologia e dell’educazione. Da il via alla privatizzazione delle banche. Scarcera centinaia di Fratelli musulmani. Gli intellettuali incominciano a riunirsi. E’ iniziata la ‘Primavera di Damasco‘. Nel 2001 i comitati per la rinascita  pubblicano  il Manifesto dei Mille del 2001 (che chiedeva l’avvento del pluripartitismo), la leadership di Bashar reagisce con arresti e chiusure.

Nel 2004 a Qamishli, nel nord est della Siria, scoppia una rivolta dei curdi siriani che viene repressa con violenza. Bashar al-Assad rifiuta qualsiasi ipotesi separatista. Nel 2004 gli Stati Uniti impongono sanzioni economiche alla Siria, accusata di supportare il terrorismo internazionale.

Nel settembre 2008, a Damasco si svolge un incontro a quattro, con Francia, Turchia e Qatar, per un piano di pace per il medio Oriente. Durante il summit esplode una bomba nella capitale. La colpa verrà attribuita a militanti islamici. Inverno 2010/2011 Egitto, Tunisia e in misura minore, altri Paesi arabi, sono attraversati da proteste e ribellioni.  Per motivi economico sociali soprattutto. Le difficili condizioni di vita, la disoccupazione,  la maldistribuzione delle ricchezze, la corruzione, la violazione dei diritti umani, il diritto alla libertà di informazione sono tematiche ricorrenti.
Il processo, definito con il nome di ‘Primavera Araba’ per ora non ha portato soluzioni definite ed è ancora in fase di trasformazione in tutti Paesi coinvolti.  2011 (metà marzo), anche in Siria hanno luogo le prime proteste pacifiche a Damasco e a Daraa, dopo l’arresto di alcuni ragazzi che avevano scritto sui muri della scuola slogan anti-regime. I ragazzi vengono liberati ma le manifestazioni continuano. La Polizia spara sulla folle.  Il regime comincia ad accusare ‘bande armate’. Bashar al -Assad  annuncia alcune riforme richieste, fra cui l’abolizione dello stato di emergenza, in vigore da quasi mezzo secolo, e la liberazione di alcuni prigionieri. La protesta non si arresta e si estende a Lattakia, Homs, Baniyas. Manifestazioni a favore di Bashar a Damasco.

Nel Paese su 22 milioni di popolazione, i cristiani sono circa  2 milioni (il 10%)  una comunità di ben  11 Chiese. E sono rappresentati da comunità ortodosse, (per esempio greco-ortodossa di Antiochia, ortodossa siriaca) e cattoliche (rito latino, caldeo, siriaco maronita, melchita e armeno). Dal punto di vista confessionale la maggioranza è musulmana sunnita (72%) . La minoranza di maggior rilievo demografico è quella alawita (circa l’11% della popolazione), un ramo sciita cui appartiene la famiglia di Bashar- al Assad. Molti cristiani erano stati cooptati nel sistema dagli Assad, già dal padre di Bashar,  e i cristiani, in generale hanno sempre sostenuto il regime, sentendosi protetti. Certamente all’inizio delle rivolte le testimonianze delle comunità a favore del regime e quelle che riflettevano il timore di un cambiamento e di una deriva islamista erano tante. Le paure dei cristiani sono state senza dubbio anche alimentate e strumentalizzate dal regime, ma questo fatto non le rendeva meno ‘vere’.

Le rivolte pacifiche represse duramente si sono trasformate in lotta armata e sono degenerate in Guerra Civile, alimentata dall’intervento di potenze straniere, regionali e internazionali e dalla formazione o dall’afflusso di gruppi estremisti di stampo jihadista o al qaedista e da mercenari. Dalla metà marzo del 2011,  dopo più di due anni e mezzo dall’inizio delle rivolte, la Siria vive una nuova fase in cui, i ribelli sono sempre più divisi sia sul campo sia nelle rappresentanze politiche.

E nell’autunno di questo 2013, si è aperto un terzo fronte interno fra le  brigate dell’Esercito Libero Siriano e i gruppi jihadisti. Sul terreno la situazione è in continuo cambiamento. E i cristiani, ma non solo, anche i sunniti e le altre minoranze, sono coinvolte negli scontri tra i militari di Assad e i ribelli dell’opposizione; fra quelli dell’Esercito Siriano libero e i gruppi fondamentalisti. Secondo il quotidiano britannico ‘The Independent’, il 60 per cento dei cristiani siriani si sarebbe stabilito oltreconfine. E i fatti di Maloula, nel sud-ovest della Siria, considerata cuore della cristianità, presa d’assalto dal gruppo Fronte al Nusra, legato ad al Qaida, sono gravi. Fonti Human Rights Watch stimano che almeno 200 persone siano state uccise durante l’assedio. Alawiti e Cristiani, accusati di sostenere il regime di Assad. E’ proprio su questo punto che bisogna fare chiarezza, credo. Le milizie estremiste non rappresentano l’Islam.

Ma è anche importante riflettere su altri fatti. E’ innegabile che la violenza richiami violenza, e che in Siria, ormai si stanno verificando casi di vendetta. Il punto è che i cristiani non sono attaccati in quanto cristiani ma in quanto difensori del regime. Una lettura basata sulla religione è  riduttiva perché la religione ha sempre coperto interessi, potere, tentativi di supremazia politica o territoriale. Basti pensare alle Crociate. La Siria come ho ricordato nelle note storiche è nata ‘forzatamente’ ed è davvero un crogiolo di etnie e religioni. Ma i gruppi fondamentalisti attaccano anche gli sciiti, i sunniti, i drusi. E in ogni caso, va sottolineato che  gli scontri ‘su base settaria’ di oggi non sono state le cause delle rivolte.

Allora, i cristiani sono in pericolo in Siria? E’ innegabile che in questa ultima  fase della guerra siriana le correnti dei ribelli si sono e si stiano estremizzando sempre di più. Le infiltrazioni qaediste sono  in aumento. E queste milizie sono le più forti sul campo e quelle meglio equipaggiate ed armate. Ovvio che se i cristiani si sentivano già in pericolo nel 2011, ora, dopo i fatti recenti di Maaloula e di Sadad, sono impauriti, terrorizzati per il loro futuro in Siria.  I salafiti hanno davvero distrutto chiese, ucciso. Ma nel ‘ragionare’ sui cristiani non bisogna dimenticare i 126mila morti, i profughi di ogni etnia o religione che vivono in condizioni durissime nei campi, al freddo. Non dimentichiamo i morti sotto le bombe dell’Esercito  o sotto i cannoneggiamenti o i colpi dei cecchino. Non dimentichiamo il resto. Non dimentichiamo il passato, anche quello recente. Perché il regime deve sedere al tavolo delle trattative a Ginevra 2, senza dubbio.  Ma non si torna più indietro. Il regime ha davvero favorito la  convivenza pacifica? O sono i siriani che si sentivi uniti? O addirittura -come ipotizzano alcuni analisti- gli Assad  hanno alimentato le paure delle minoranze per mantenere il potere?
Soprattutto non dimentichiamo che la guerra è guerra, per tutti. E che la Siria sta andando a pezzi.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La comunità cristiana in Siria (riproducibile citando la fonte)

Vedi anche:

 

Siria - guerra

Una guerra civile infinita o una “cantonizzazione” della Siria?

L’utopia e l’ipocrisia bisbigliano ancora “soluzione politica”. Il Piano B di Bashar al-Asad

 

Siria - guerraLa realtà mette sul piatto della bilancia ormai solo due scenari. Il proseguimento di una guerra civile brutale, senza esclusioni di colpi che scivolerà ogni giorno di più nell’anarchia e nel caos. O la cantonizzazione della Siria.

La guerra civile porterà l’inevitabile corollario di vendette personali e di clan; di gruppi armati che si affrontano, milizie private, sacche di resistenza, bande criminali. Il Paese, d’altra parte, è già distrutto nelle infrastrutture e negli animi, nel patrimonio culturale e nel tessuto sociale. Alcuni analisti hanno ipotizzato almeno una ventina di anni prima che la Siria possa essere ricostruita. Ma si può ipotizzare quanti anni siano necessari per guarire dall’odio, dalle ferite interiori?  Come entità territoriale unica comunque il Paese esiste solo sulle vecchie carte geografiche. Si sta disgregando. E i combattimenti continueranno anche in uno scenario post- Assad. Qualsiasi transizione infatti deve avvenire dall’interno. Dall’accordo dei vari gruppi e delle varie etnie. Certo la Siria può vantare un passato di coesistenza intercomunitaria. Ma dopo la guerra, le distruzioni e l’altissimo prezzo pagato in termini umani, quanto tempo impiegheranno i siriani a sentirsi cittadini di un unico Stato? E ci riusciranno?

Intanto sul terreno nessuno sembra intenzionato a deporre le armi. I combattimenti fra il regime e gli oppositori registrano vittorie e sconfitte alterne. Il Presidente Bashar al- Assad non controlla più tutto il territorio.  E’ piuttosto stabile a Damasco ma sembra che stia preparando da tempo un piano B, nel caso fosse costretto ad abbandonare la capitale.

L’alternativa è quella di un piccolo Stato indipendente, costiero, nella  zona di Latakia, protetto ad est dalle montagne popolate di villaggi  alawuiti  (il ramo sciita cui appartiene la famiglia degli Assad) e a ovest dalla base navale russa di Tartous. Uno stato che per sopravvivere dovrebbe essere collegato con la valle libanese della Beqaa (dominata dal movimento sciita di  Hezbollah, filo-Assad) attraverso la piana di Qusayr, a una trentina di km a sud ovest di Homs. Una direttrice vitale.

Questo spiegherebbe il nuovo fronte dei combattimenti fra l’esercito lealista coadiuvato da Hezbollah e gli oppositori. Damasco, Homs, Hama e infine Latakia: la dorsale a ridosso del confine con il Libano è una zona strategica perché unisce la capitale con le zone costiere del nord dove la maggioranza della popolazione è, come abbiamo detto, alawita.  La creazione di uno stato-énclave alawita collegato al Libano di Hezbollah e anche all’Iran attraverso l’aeroporto  di Latakia o i porti di Tortous e Latakia, consentirebbe agli Assad di rimanere al potere e di mantenere in vita il cosiddetto “arco sciita”. Le zone  curde di al-Raqqa e al-Hasaka, vicine al confine turco e iracheno, potrebbero invece distaccarsi dalla Siria e creare uno stato indipendente curdo.  E qualcuno teme che i gruppi jihadisti estremisti riescano a dare vita a piccoli “emirati islamici” nelle regioni sotto il loro controllo.

Più di 70 mila morti secondo le fonti Onu, centinai di migliaia di profughi,  macerie, rovine, troppo sangue versato. Che cosa resta oggi della Siria?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/politica/2013-05-09/81389-siria-due-possibili-scenari (riproducibile citando la fonte)

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CHE COSA VOGLIONO I CURDI SIRIANI?

Sventolano la bandiera del Kurdistan nelle manifestazioni di protesta, ma prendono le distanze dagli oppositori. “Potrebbe esserci stato un accordo con il governo di Bashar al Assad”

Sventolano la bandiera del Kurdistan nelle manifestazioni di protesta, rivendicando la propria identità. Ma, nello stesso tempo, i curdi siriani prendono le distanze dagli oppositori sostenuti dalla Turchia. Secondo l’’Associated Press’, a partire da agostol`esercito siriano ha abbandonato le postazioni nel nord-est del Paese, lasciandone il controllo ai curdi. Una minoranza stimata circa due milioni di persone (secondoL’Institut Kurde de Paris sono 1.600 mila) che potrebbe rivelarsi una pedina importante sulla scacchiera della siriana. E non solo.

“La totale assenza di scontri armati con le forze dell’esercito siriano, più che a una conquista del territorio da parte delle milizie curde, fa pensare piuttosto ad un accordo fra le parti” afferma Stefano Torelli, Ricercatore presso l’Università di Roma dove si occupa della ’questione curda’. Sempre secondo l’’AP’i militari che hanno lasciato città e villaggi alla frontiera con la Turchia – come Qamishli, Dirbasiyeh, al-Malkia – per rafforzare la posizione ad Aleppo e Damasco, sono stati sostituiti da curdi del PYD ( Partito dell’Unione Democratica ). “La presenza al confine turco del PYD – la più importante fazione armata e strutturata curdasiriana, affiliata al PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) da sempre fonte di preoccupazione di Ankara – rappresenta senza dubbio un segnale preciso di avvertimento alla Turchia, da parte del regime”, aggiunge Stefano Torelli. “Un forte deterrente”.