Damasco
Qui Siria – Clandestina ritorna a Damasco
“Qui Siria. Clandestina ritorna a Damasco” è il mio secondo libro sulla Siria. Ma questa volta per raccontare ciò che ho visto nel Paese nei viaggi successivi al 2011, la trasformazione delle rivolte pacifiche in guerra civile, e i fatti fino ai giorni d’oggi, ho scelto di scrivere un ebook. Perché permette – attraverso collegamenti multimediali, foto, mappe, approfondimenti, timeline – una lettura più ricca e intensa. Quasi vissuta in prima persona dal lettore.
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Istirahah
istirahah: in arabo significa pausa, relax. Ogni tanto nella vita un momento o un periodo di istirahah è prezioso per tutti. Per staccarsi dalle cose e vederle in un’altra prospettiva, per riflettere, per andare contro la tirannide del tempo. Per superare la paura di “non esserci”. Isrirahah è come riprendere fiato, un modo per recuperare energie fisiche ma soprattutto mentali e intellettuali.
Quindi anche questo blog si prende un breve periodo di istirahah. A presto!
Nella foto: un caffè a Damasco, nel quartiere iracheno, che si chiama proprio Istirahah, foto scattata nel luglio del 2011
di Antonella Appiano
A Damasco
Sono a Damasco da due giorni. Ho trovato la città più bella che mai. Sono stupita ogni volta dal suo fascino. La sento la mia città di elezione. Il mio sogno? Vivere qui, lavorare qui, comprare una piccola casa araba nella città vecchia. Gli amici damasceni mi prendono in giro e citano un vecchio proverbio siriano che recita: “Se vivi sette anni a Damasco, la città vivrà in te“.
Sul taxi per andare al centro commerciale di Sham City Center, incrocio autobus strapieni di siriani: donne con l’abaya, ragazze con l’hijab e altre con i capelli al vento, uomini con la tunica bianca e altri vestiti all’occidentale. Kefiaat e cappellini da baseball con scritte fosforescenti…(…) Incomincio a lavorare. Voglio fare ricerche sul delitto d’onore, sul problema dei matrimoni a tempo, sulla tratta delle irachene. Ho scritto mail a tutti i miei contatti, non mi resta che aspetttare. Dimenticare la fretta occidentale e adeguarmi al ritmo lento di Damasco. Qui il tempo ha una valenza diversa.
( da Clandestina a Damasco- Un Paese sull’orlo della guerra civile, Castelvecchi RX, in libreria e su : Amazon, IBS, La Feltrinelli, Castelvecchi)
…...questo accadeva due anni fa. Ero riuscita ad organizzare un giro per il Paese con le volontarie dell’Osservatorio sulle Donne Siriane ma dopo il 15 di marzo gli eventi prendono una piega diversa…Rimarrò in Siria, “sotto copertura” per 4 mesi. E riuscirò a tornarci con un visto regolare solo nel maggio del 2012 e ancora a luglio e agosto. Questi i miei primi articoli scritti per il quotidiano on line Lettera 43.
Ombre nere sulla città L’atmosfera è cambiata – 29 Marzo 2011 -Lettera43
Siria, le bugie dell’Occidente – 03 Aprile 2011 – Lettera43
Infiltrati negli scontri – 16 Aprile 2011 – Lettera43
L’eco delle morti di Daraa – 09 Aprile 2011 – Lettera43
«A Bashar non c’è alternativa» – 31 Marzo 2011 – Lettera43
Il venerdì fa paura ai siriani – 07 Aprile 2011 – Lettera43
Oggi dopo due anni, possiamo dire che la Siria come stato unitario non esiste più. Settantamila (secondo le fonti Onu), centinaia di migliaia di profughi e una guerra civile che continuerà anche se cadesse il Presidente Bashar-al Assad. Una parte del Paese è ancora sotto il controllo del regime, l’altra dall’oppsizione armata, divisa in varie sigle. Dall’ESL (esercito siriano libero) al Fronte al Nusra, il gruppo miitante jihadista che si è formato nel gennaio del 2012, a quello dei Volontari libici e altri ancora. La guerra è una guerra a due piani, come scrissi ad agosto 2012, da Aleppo. Una fra il regime e gli oppositori siriani e una “internazionale” perché ormai in Siria sono coinvolte da tempo potenze mondiali e regionali: Russia, Usa, Francia, Gran Bretagna, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Iran.
Una partita sullo scacchiere del Medio Oriente che potrebbe svilupparsi con risvolti gravi per tutta l’area. E non solo. Giocata purtroppo sulla pelle dei siriani.
Antonella Appiano
Due anni fa in partenza per Damasco
Due anni fa, in questi giorni, mi preparavo a partire per Damasco. Questa è una delle prime fotografie che ho scattato in un caffé della Città vecchia. Locali affollati, luci, allegria. I primi disordini inizieranno a metà mese. E Daraa, cittadina della Siria meridionale al confine con la Giordania, capoluogo della regione agricola e tribale dell’Hawran, il 18 di marzo è teatro di una grande manifestazione. Sono rimasta quattro mesi nel Paese e ci sono rientrata altre tre volte nel corso del 2012. Ormai il Paese è in preda alla guerra civile e la situazione degenera ogni giorno di più. Nessuna soluzione all’orizzonte, una sola cerrtezza. Qualsiasi piega prendano gli eventi, la Siria cambierà anche se non sappiamo ancora come. Ma ricorderò sempre che ho vissuto un cambiamento epocale, che ho sentito a pelle gli umori, le speranze, le paure, le ansie di chi, magari senza volerlo, si trova coinvolto nei cambiamenti della Storia.
Antonella Appiano
Operazione Pace in Medio Oriente?
Tra attacchi, rivolte, tregue, stabilità e instabilità regionali, cambiamenti strategici, si aprono spiragli per processi politici stabili. Sperando che non sia l’eterno gioco dell’oca.
L’iniziativa che non è riuscita in Siria ai due inviati speciali dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan e Lakhdar Brahimi, è stata raggiunta con successo dall’Egitto del Presidente Morsi. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, lo ha ringraziato “per essersi assunto la leadership che ha fatto di questo Paese un pilastro per la pace e la stabilità regionale”. Ma neppure Mohammad Morsi, leader dei Fratelli Musulmani e primo Presidente salito al potere in Egitto attraverso elezioni democratiche, avrebbe forse potuto tagliare il traguardo senza l’arrivo al Cairo, ’fulmineo’ e inaspettato, di Hillary Clinton in rappresentanza degli Stati Uniti, da sempre vigili protettori d’Israele. Un segnale forte per Netanyahu. Un altro segnale, la vittoria dell’Islam politico che, senza dubbio, ha cambiato gli equilibri strategici regionali. Oltre alla perdita della Turchia: un alleato che Israele, si è ’giocato’ nel 2010 dopo l’incidente della Mavi Marmara, la nave turca con gli attivisti che portavano aiuti proprio alla Striscia di Gaza. O forse ’Bibi’ ha deciso che in questo momento gli conveniva “provare a fare politica anziché guerre” come gli ha suggerito in una lettera aperta David Grossman? (’Repubblica’ del 6 novembre 2012)
Tregua. Tregua sperata, rinviata, di nuovo raggiunta. Una tregua che invece – per ben due volte – era stata sfiorata, ma subito disattesa in Siria, dove proseguono i combattimenti fra le forze fedeli al Regime e gli oppositori. Una lotta sempre più feroce, senza esclusione di colpi che non sembra trovare una risoluzione anche dopo la nascita, a Doha, della nuova Coalizione dell’Opposizione siriana. La coalizione ha già ottenuto il riconoscimento di gran parte dei paesi occidentali, Francia in testa, ed è guidata dallo sceicco sunnita Moaz al-Khatib, ex imam della moschea degli Ommayyadi di Damasco, che non ha mai nascosto le simpatie per la Fratellanza Musulmana.
Mentre alcuni Paesi si assestano e in Siria continua la cruenta guerra civile, la Giordania dopo due anni di proteste ’soft’ sembra vacillare. Nelle ultime settimane infatti i manifestanti oltre a esprimere malcontento per i provvedimenti economici per la liberalizzazione dei prezzi, cominciano a chiedere la caduta del regime e di re Abdallah. Le proteste, sostenute dai Fratelli musulmani e dai partiti di sinistra, sono state represse con violenza dalle forze dell’ordine. Abdallah riuscirà a mantenere il potere? La partita è aperta.
Tregua raggiunta dunque fra Hamas, che governa la Striscia di Gaza, e Israele. Ma adesso arriva la parte più difficile: trasformare la tregua in un reale processo politico. Altrimenti si continuerà a vivere sul filo del rasoio e sarà sufficiente un piccolo incidente per tornare ai banchi di partenza. Come nel gioco dell’oca. Insomma vorremmo che il sottotesto della parola ’tregua’ fosse ora ’processo di pace’. Quando nessuno più sembrava crederci, forse è possibile.
di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Operazione Pace in Medio Oriente? , riproducibile citando la fonte.
Senza un attimo di tregua
La trama è diversa da quella del capolavoro di Boorman ’Senza un attimo di tregua’, ma altrettanto complessa e intricata. Se fosse il celebre film, la guerra civile siriana avrebbe lo stesso montaggio dal ritmo serrato, non lineare, in un alternarsi di violenza, alta tensione e brevi pause di speranza. L’ultima: la speranza di una tregua di quattro giorni per la Festa del Sacrificio, chiesta dall’inviato speciale dell’ Onu e della Lega Araba, Lakhdar Brahimi. E accettata, giovedì scorso, da entrambi gli schieramenti. Ma l’impegno non è stato rispettato, anche se non è chiaro chi abbia rotto la tregua per primo. Inutile aggiungere che le parti in causa si sono scambiate accuse reciproche.
Damasco deserta, Aleppo attende.
L’Iran conferma l’appoggio a Bashar. Nella capitale del Nord si attende la battaglia decisiva.
Damasco. Arrivare a Damasco, questa volta è facile. Pochi controlli e superficiali. L’iter burocratico alla frontiera con il Libano è veloce. Certo c’è poca gente che entra nel Paese ora, e siamo in pieno Ramadan. Ma dopo la fuga di ieri (6 agosto) del Primo Ministro siriano Riyad Hijab, la ’battaglia’ per la conquista di Aleppo, l’attentato contro la sede della televisione di Stato sempre di ieri, è comunque sorprendente.
L’altra faccia della guerra in Siria
Damasco – È siriano ma ha vissuto a lungo in Italia, a Siena, per studiare Storia dell’Arte Contemporanea. Artista e critico d’arte, fondatore della Biennale di Sharjah, Talal Moualla, ha lavorato negli Emirati Arabi Uniti, a Dubai e a Sharjah, come Direttore del Centro d’arte arabo. Da un anno è ritornato in Siria per dirigere il nuovo Dipartimento per lo sviluppo dei Musei e dei siti archeologici del Patrimonio Culturale.
“Una squadra specializzata si trova ora nel Distretto di Qamishli, a nord, nella zona curda, dove sono stati scoperti i resti di antichi villaggi. Lo so, sembra strano, ma nel paese esiste questa doppia realtà. Certo, in alcune zone si combatte, però allo stesso tempo la vita va avanti. Tutti gli uffici e i Ministeri funzionano regolarmente, anche il Museo di Damasco è aperto”. Sorride. “Non ci sono turisti, è vero, ma torneranno. In ogni caso non possiamo permettere che le testimonianze delle antiche civiltà che si sono sovrapposte in Siria – da Ebla ai Babilonesi, dai Romani ai Bizantini, dagli arabi agli ottomani – vengano danneggiate o dimenticate. Ho proposto al Governo un nuovo piano per il mantenimento del nostro Patrimonio culturale, una delle nostre ricchezze più grandi, ed è stato accettato con entusiasmo”.
Occhiali e folta barba brizzolata, Talal Moualla afferma che “In passato questo Patrimonio non è stato conservato e valorizzato in maniera corretta” e aggiunge “c’è molto da fare, per questo, anche se ho la residenza a Dubai sono rientrato nel mio Paese”.
Guerra e cultura. Guerra, monumenti e antichità. Sembrano entità distanti fra loro eppure non lo sono. Prima di tutto perché, approfittando della situazione, molte opere d’arte possono che essere trafugate e portate di contrabbando all’estero. “Il commercio illecito di antichità sta aumentando – racconta Jean, un libanese che ha parenti in Siria – io stesso pur non essendo nel ramo sono stato contattato da una famiglia di Damasco che mi ha proposto la vendita di un antico dipinto”. E Fatima, che teme un intervento militare da parte dell’Occidente aggiunge. “Non posso dimenticare che cosa è successo in Iraq, durante l’attacco anglo-americano. Il museo di Baghdad depredato dei suoi tesori. I siti di Umma eIsin, distrutti per sempre”.
Fatima appartiene anche al gruppo dei siriani ’profughi’ in Patria. Abitava a Douma, una quindicina di chilometri da Damasco, il sobborgo a maggioranza sunnita, teatro degli scontri fra l’esercito e i guerriglieri del Free Syrian Army, nei primi giorni del mese. “Ho lasciato la mia casa già da mesi. Ora vivo dalla nonna in città”. E’ ancora Jean a raccontarmi che “un certo numero di siriani sta cercando casa a Beirut. Ho affittato appartamenti a due famiglie. C’è domanda. Qualcuno continua a rimanere in Siria però preferisce avere una piccola base anche fuori”.
Una giornalista siriana, Rana, sospira: “Stasera vado a una festa di fidanzamento. Ci si sposa, si esce, anche la sera, si cerca di vivere come prima. Però non è più come prima. Ho paura. Passo davanti a un’automobile e penso: esploderà? Due mie amici, che insegnavano arabo agli stranieri, da senza lavoro, si sono trasferiti in Francia. Chi ha parenti all’estero o doppia nazionalità, soprattutto chi ha figli piccoli sta pensando di lasciare il Paese almeno fino a quando la situazione si risolverà”. Chiedo: in che modo? Mi risponde con un sorriso imbarazzato.
Intanto il numero dei profughi siriani, secondo gli ultimi dati dell’UNHCR, (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), è salito a 90mila, di cui il 75% donne e bambini. Sono ospiti nei campi allestiti in Turchia, Libano e Giordania.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/laltra-faccia-della-guerra-in-siria/ (riproducibile citando la fonte).
Siria, una guerra a due piani
Damasco – Majed è un soldato di leva. In Siria il servizio militare è obbligatorio e dura un anno e mezzo. “Sono un musicista” mi dice subito. Finiti gli studi al Conservatorio, infatti, ha avuto il posto nell’Orchestra sinfonica ma è anche stato richiamato. Ora è ricoverato all’Ospedale militare di Tishreen con una brutta ferita alla gamba sinistra. “Sono stato colpito in un’imboscata alla periferia di Aleppo, il 5 di Giugno; eravamo sulla statale con l’ambulanza quando siamo stati attaccati, un mio compagno è morto.” Majed non sa quanti siano gli insorti armati nella zona nord (lui li chiama terroristi), ma racconta che sono ben armati. Mitragliatrici PKC e lanciarazzi RPG. Fra quattro mesi Majedtermina, il servizio militare, e “tornerà a suonare la tromba nell’Orchestra sinfonica, insahaallah”.
Brahim invece è un ufficiale. Capelli rasati e occhi chiari, sembra un marine. Anche lui è ferito a una gamba. Anche lui è stato colpito in un’imboscata, ma a Douma il 4 di giugno, durante un servizio di pattugliamento. “Appena guarisco ritorno nell’esercito a fare il mio dovere”.
“Ieri c’è stato il funerale di 30 soldati qui all’Ospedale” − mi dice il Direttore, un chirurgo ortopedico. “Nei mesi scorsi, arrivavano una quindicina di morti al giorno, ma negli ultimi tempi le vittime sono aumentate”. Il Direttore, che non è solo medico ma anche generale, è cristiano e originario di un villaggio vicino a Homs, appare molto sicuro. “La situazione è sotto controllo”. E mi corregge quando cerco di sapere il numero di chi combatte nelle fila dell’Esercito siriano libero: 40, 50 mila? “Non è un esercito, sono bande, gruppi armati di terroristi che non osano affrontarci frontalmente e ci attaccano in agguati e imboscate”. Poi sorridendo mi suggerisce di girare la domanda al Presidente Barack Obama.
Eppure i feriti sono tanti nelle corsie dell’Ospedale. Questo significa che la guerra in Siria si è fatta più dura. L’esercito regolare è composto da circa 300mila uomini, ma in tanti hanno disertato e più che una guerra è una guerriglia sempre più crudele, fatta d’imboscate, rapimenti, rappresaglie. “I civili spesso sono presi di mezzo, coinvolti in una lotta senza esclusione di colpi”, racconta un testimone che chiede l’anonimato per sicurezza. Hassan è stato ferito proprio mentre “cercava di liberare un gruppo di soldati rapiti il 27 di giugno a Daraa dai terroristi”. Terroristi. Una parola che fa paura soprattutto ai cristiani fuggiti da Homs e che ora riempiono molti alberghi Damasco. “Chi sono?, Li ha visti?”, chiedo a uno sfollato che accetta di essere intervistato. “Ma non scriva il mio nome”, chiede con insistenza. “Sono integralisti, jihadisti. Arrivano dall’Iraq, dalla Giordania, o comunque da fuori. Non so quanti siano ma abbastanza per terrorizzarci e farci lasciare le nostre case. Siamo profughi, vede? Profughi di lusso, ma pur sempre profughi”.
Diciotto mesi, circa 15mila morti. In Siria si combatte una guerra su due livelli. Il primo è sul campo, fra i ribelli e la leadership di Damasco. Il secondo è fra le diplomazie e i giochi di potere dei Paesi coinvolti ormai in questa battaglia geopolitica. Potenze regionali come i Paesi del Golfo le grandi Potenze. Usa e Russia in testa. L’Iran. Ma la Siria confina anche con Paesi caldi come la Turchia, Israele, Libano e Iraq. Intanto, di vertice in vertice, di riunione in riunione per cercare una soluzione politica per il disarmo, per decidere se i Caschi Blu devono o no proseguire la loro missione, la gente qui muore.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Siria-una-guerra-a-due-piani/ (riproducibile citando la fonte).
Voci dalla capitale siriana: Damasco, una città divisa
Damasco – Una casa, nel quartiere di Salihiyya, sotto il Jebel Qassiuon, la montagna rocciosa che si erge a nord ovest di Damasco.
“Tutto sembra tranquillo vero?” dice Amal. La sera, il Jebel è illuminato. Le automobili, le luci, la gente. Nei sobborghi però gli scontri proseguono. Ieri, a Qadam. “Io ho paura. Non riesco più a dormire da quando, settimana scorsa, i terroristi sono arrivati alle porte di Damasco. Gli spari, i colpi di cannone. Che vita è questa?”.
La sorella, Busrha, la interrompe spazientita. “Non sono terroristi, Amal, sono ribelli. Questa è una rivoluzione”.
Succede in molte famiglie della capitale ora, non solo fra amici, di discutere e schierarsi a favore o contro la leadership al potere. Si sono addirittura rotti fidanzamenti.
Si parla, a Damasco. Dell’esercito siriano libero, di Kofi Annan, del conflitto che ha superato le frontiere, della gente che è scappata da Homs e da Duma e che occupa gli hotel al posto dei turisti. O affitta case. Ieri le voci degli scontri nel distretto di Qadam, a circa tre chilometri, sono circolate subito. Impossibile, però, verificare. Anche Qudsaya non è più raggiungibile. Intorno alla capitale sono aumentati i posti di blocco. Come sono cresciuti, rispetto a un mese fa, quelli lungo il tragitto che dalla frontiera libanese porta in Siria.
Beirut est e Beirut ovest? In effetti si prova una specie di spaesamento in questi giorni. Anche quando non è dichiarata, si percepisce fra la gente una divisione. Uno schieramento fra chi è ‘pro’ e chi e ‘contro’. La città vecchia sotto il sole rovente è vivace. Il souk pieno di merce. Nei caffè le ragazze fumano narghilè, annoiate. George, il proprietario di un ristorante racconta che “certo l’embargo ha creato problemi al Paese. Il gas è più caro, per esempio. Il 50% della produzione siriana di gas era destinata a uso interno e il 50% all’estero. Ora che l’Europa non importa più dalla Siria, il gas lo vendiamo in Russia, in Iran, Algeria. L’economia terrà”.
George non ha dubbi. È con il Presidente Bashar al Assad, così come Samar, un’insegnante di sport, originaria di Sweeda, che vuole addirittura farsi fotografare.
Si respira altro nell’aria di Damasco, in questi giorni: la stanchezza, l’incertezza, l’indecisione. Perché se è vero che per la prima volta la capitale è divisa, la divisione spesso si limita alle parole. E ancora si respira, come mi dice Jamal, “la sensazione di essere pedine” su “un grande tavolo da gioco manovrato da altri”. Jamal, è un artista. “Detesto la violenza. Vorrei che la situazione venisse risolta politicamente. Basta armi. Ci sono stati troppi morti da tutte e due le parti. Troppe famiglie hanno qualcuno da piangere. La rivolta pacifica si è trasformata in una guerra vera. Non è più solo un problema siriano. Troppi interessi in gioco. Troppe le Potenze interessate”.
Intanto la Russia ha presentato ai membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite una bozza di risoluzione che prolunga di tre mesi la missione Onu in Siria. Gli osservatori internazionali non dovrebbero più limitarsi alla sorveglianza del cessate il fuoco ma impegnarsi in una soluzione politica del conflitto.
Il documento che sollecita una “urgente” e “immediata” attuazione del piano di Annan qui sembra qualcosa di molto lontano, di astratto.
Bushra apre la finestra. “Io non credo a uno scontro settario. Nessuno toccherà i cristiani o gli alawuiti (la minoranza sciita cui appartiene la famiglia del Presidente Bashar al Assad) se vince la rivoluzione”.
Amal non è d’accordo. “Chi ci garantisce che non ci saranno vendette? Quanta gente è rimasta schiacciata senza volerlo in questa guerra?” E rivolta a me: “Sai che la parte antica del quartiere è stata costruita da Nur al Din per gli arabi costretti a fuggire da Gerusalemme, a causa dai Crociati?”. Già. Era l’anno 1099. Le crociate: potere, territorio, dominio. Non certo religione.
Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/Damasco-una-citta-divisa/ (riproducibile citando la fonte).