Dar’aa

Noura al Ameer

Voci dell’Opposizione siriana – Intervista a Noura Al-Ameer.

Noura al – Ameer, hijab colorato e sorriso aperto, è vice Presidente dl CNS, il Consiglio Nazionale Siriano (National Coalition for Syrian Revolutionary and Opposition Forces). Una delle pochissime donne, fra l’altro, a far parte dell’unica piattaforma politica di Opposizione riconosciuta dalle Diplomazie Occidentali (3 esponenti femminili su 122 membri). La incontriamo al seminario organizzato dall’Istituto Affari internazionali (IAI) sul tema “Sviluppi della Crisi Siriana e recenti prospettive” dove è intervenuta insieme al Segretario Generale del Cns, Badr Jamous, e all’attivista per i diritti umani Michel Kilo.

Due anni fa in partenza per Damasco

Caffé in old Town Damasco, Marzo 2011

Due anni fa, in questi giorni, mi preparavo a partire per Damasco. Questa è una delle prime fotografie che ho scattato in un caffé della Città vecchia. Locali affollati, luci, allegria. I primi disordini inizieranno a metà mese. E Daraa, cittadina della Siria meridionale al confine con la Giordania, capoluogo della regione agricola e tribale dell’Hawran, il 18 di marzo è teatro di una grande manifestazione. Sono rimasta quattro mesi nel Paese e ci sono rientrata altre tre volte nel corso del 2012. Ormai il Paese è in preda alla guerra civile e la situazione degenera ogni giorno di più. Nessuna soluzione all’orizzonte, una sola cerrtezza. Qualsiasi piega prendano gli eventi, la Siria cambierà anche se non sappiamo ancora come. Ma ricorderò sempre che ho vissuto un cambiamento epocale, che ho sentito a pelle gli umori, le speranze, le paure, le ansie di chi, magari senza volerlo, si trova coinvolto nei cambiamenti della Storia.

Antonella Appiano

 

 

La Siria e gli altri

Come cambiano le dinamiche fra gli attori internazionali, tra vecchi nemici e alleati storici.

Il premier turco Erdogan e Bashar al-Asad

La Lega Araba sospende la Siria dall’Organizzazione e, il 16 novembre, centinaia di siriani protestano colpendo le ambasciate del Qatar, degli Emirati Arabi, del Marocco. Prima era stata attaccata anche quella dell’ex alleata e amica Turchia. E gli attori sulla scena internazionale si moltiplicano, si schierano, mantengono o cambiano il ruolo.

La Lega araba prima di tutto. La sua decisione può allora essere sufficiente a far cadere Bashar al-Assad? Secondo Robert Fiskè difficile”. Per il giornalista britannico infatti la caduta di Bashar è ancora molto lontana anche se “il tempo a sua disposizione si sta esaurendo rapidamente”. Un consenso inter-arabo anti-Assad rende più difficile alla Russia e alla Cina il sostegno al regime ma, ancora Fisk, dalle pagine dell’’Indipendent, afferma che “ i vertici militari russi non hanno interrotto la fornitura di armi e tecnologia militare alla Siria, che permette alla flotta militare russa di avere un porto (Tartous) sul Mediterraneo”.

La Turchia. Il primo Ministro Recep Tayyb Erdogan ha reagito all’attacco dell’Ambasciata minacciando di sospendere i progetti congiunti di trivellazioni petrolifere e di tagliare le forniture elettriche alla Siria. Un’azione che procurerebbe però un bel danno economico per la Turchia, che ha fatto molti investimenti in Siria. Ankara, d’altra parte, all’inizio delle rivolte ha cercato di convincere Bashar Al- Assad ad abbandonare la via della repressione ma dopo vari tentativi falliti, ha aperto all’Opposizione siriana ospitando vertici e Congressi. E proprio dalla Turchia il 17 novembre il leader del leader dei Fratelli musulmani siriani in esilio, Muhammad Shafqa, ha dichiarato alla stampa che la Fratellanza è favorevole “a un intervento militare straniero in Siria, meglio se turco.

Damasco non rispetta il piano.

Bashar al Assad trascura i quattro punti della road map della Lega Araba.

Bashar al-Assad

La Lega Araba è un’Associazione internazionale composta oggi di 22 stati arabi, nata nel 1945 al Cairo, con lo scopo di coordinare le loro politiche, di rappresentarli in alcune trattative internazionali e di mediare dispute e conflitti. La Lega non ha poteri militari. E, fino ad ora, in nessuna delle numerose crisi mediorientali, ha raggiunto gli obiettivi, rivelandosi di fatto un organismo ininfluente.

Anche l’accordo con il governo di Damasco, che sembrava essere stato raggiunto settimana scorsa (il 2 novembre) è fallito. I quattro punti della Road Map proposti dalla Lega: fine alle violenze, rilascio dei prigionieri politici, libero accesso alla stampa internazionale, e ritiro dei carri armati dalle città, non sono stati rispettati. La Lega ha organizzato quindi un incontro sabato prossimo, 12 novembre, per riesaminare la delicata questione siriana. Il segretario generale della Lega Araba, Nabil el-Arabi è con le spalle al muro. Ha lanciato un nuovo appello al regime siriano ricordando che “il fallimento della soluzione araba avrebbe conseguenze disastrose sulla situazione nel Paese e della regione nel suo insieme”. Ma il Presidente Bashar al-Asad sembra curarsene poco. In Siria infatti, proseguono le violenze. I mezzi pesanti continuano ad attaccare Homs, roccaforte della rivolta, dove secondo gli attivisti “è in atto un disastro umanitario. E sembra che l’esercito sia entrato anche nella città Hama, nella zona centro-occidentale del Paese. La repressione continua. Secondo le stime dell’Alto Commissariato dell’Onu i civili uccisi sono oggi oltre 3.500.

Tv2000 – Nel cuore dei giorni – Presentazione di “Clandestina a Damasco”.

Donatello Vaccarelli intervista la giornalista Antonella Appiano. A “Nel cuore dei giorni” il suo racconto esclusivo di giornalista che è rimasta in Siria per quattro mesi, dai primi di marzo alla fine di maggio 2011, e ci è ritornata in luglio, sempre da «clandestina». Dagli inizi di novembre è in libreria il suo libro “Clandestina a Damasco. Cronache da un Paese sull’orlo della guerra” (Castelvecchi RX).

Il link al programma “Nel cuore dei giorni”

Il venerdì militarizzato della capitale – Diario da Damasco

E dalla tivù arrivano notizie di scontri a Latakia e Daraa.

Capitale deserta. Uno scenario ormai consueto il venerdì. Ma a Damasco in questo venerdì della solidarietà a Daraa, la polizia, le guardie repubblicane e le forza di sicurezza sono presenti in maniera massiccia. E controllano le vie di accesso alla città.
Uscendo da Bab Sharqi, una delle sette porte del centro storico e percorrendo a piedi le larghe direttici Sheadah Khalil e Al Khartoun vedo passare intorno alle 12, nel giro di dieci minuti, due camionette di soldati. Un pullman di militari è fermo dietro piazza Bilal.
CITTÀ MILITARIZZATA. Poliziotti e studenti del partito Baath sorvegliano le moschee e le zone sensibili: i ministeri e la Banca centrale. Forze di sicurezza in borghese, come venerdì scorso, pattugliano le vie intorno a piazza Al Abassyn.
È l’una. Arriva un autobus carico di forze di sicurezza che mi affianca. Attiro troppo l’attenzione nelle strade vuote e devo prendere in fretta un taxi per farmi portare nella vicina chiesa cattolica di Nostra Signora di Damasco. La messa sta finendo e, all’uscita, un signore mi avverte «non vada in direzione della piazza, volti a destra».

«I siriani pagheranno il prezzo delle sanzioni economiche»

Un uomo legge il quotidiano Tashrin all’interno di un bar di Damasco (© Getty Images)

Anche la piccola moschea, all’angolo fra la piazza Bab Touma e via Al Qasse’e, appena dietro il fiume Barada, è sorvegliata dalla polizia. Dalle finestre di un piccolo caffè di fronte, la vista sulla moschea è perfetta. Ai tavoli, mentre mangiano ful e hummous, i clienti guardano con attenzione nella stessa direzione. Si aspetta la fine della preghiera con tensione.
Perché questo venerdì l’attesa è davvero grande. Snervante come non mai durante questo ultimo mese. Nella farmacia di turno, nella via centrale al Moustaqeem, il farmacista mi dice che oggi non ha un orario stabilito. «Dipende dalla situazione nel Paese e a Damasco».
LE NOTIZIE DEGLI SCONTRI. Alle due una violenta grandinata disperde le poche persone che circolano. Mi rifugio in un negozio aperto dove il televisore è acceso, sintonizzato su Al Arabyia. Chiedo informazioni. Il negoziante mi racconta di manifestazioni a Banias e Latakia. «Guardo tutti i canali, Bbc, Al Arabyia, la tivù siriana e quella libanese. Poi chiedo conferma a parenti e amici. Solo così riesco a farmi un’idea della situazione».
Farid sa delle sanzioni economiche che la comunità internazionale sta pensando di imporre alla Siria. Esprime la sua amarezza: «Non sarà chi è al potere a pagarne il prezzo ma il popolo siriano».

L’ombra preoccupante dei Fratelli musulmani

Case distrutte a Latakia, a nord di Damasco (© Ap Images)

Nel primo pomeriggio, l’appuntamento è a casa dell’avvocato Siham per avere notizie e conferme. Siham è molto preoccupato. Sperava in una «mediazione pacifica con il regime. Un periodo di transizione per poter riorganizzare le forze politiche». Ribadisce i pericoli che sta correndo la Siria. «Il Libano delle divisioni confessionali e l’lraq distrutto dagli scontri settari sono il nostro incubo. L’unità nazionale è a rischio e in caso la perdessimo ci troveremo coinvolti in una guerra civile».
«SI RISCHIA LA DERIVA ISLAMISTA». Spera ancora «che si possa  trovare un modo per spezzare la catena delle violenze e che la maturità dei siriani riesca a evitare le derive islamiste».
In città, verso le 17 cominciano a circolare voci sulla manifestazione dispersa con i lacrimogeni nel quartiere di Qanawat e al Midan, ma non riesco a ottenere testimonianze dirette. Sarà più facile nei prossimi giorni, secondo uno schema ormai consolidato.
Anche la dichiarazione aperta dei Fratelli Musulmani che per la prima volta dall’inizio delle manifestazioni antiregime sono usciti allo scoperto, viene commentata con insistenza. E con timore. «Pare sia una leadership in esilio ma è comunque un segnale allarmante».

di Antonella Appiano per Lettera43

L’eco delle morti di Daraa – Diario da Damasco

Situazione sotto controllo nel centro. Ma gli scontri nel Paese proseguono.

La corrente dei damasceni che sperava nel ritorno completo alla normalità è abbastanza soddisfatta. Nella capitale, non c’è stata la sollevazione generale che ormai da più di un mese viene annunciata ogni settimana, anche dai siti di opposizione presenti su Facebook.
Però in città, qualcosa è successo. Piccoli fuochi, come aveva previsto lo studente con cui avevo parlato qualche giorno fa.
Il tam-tam cittadino segnalava manifestazioni ancora nel sobborgo di Douma – dove venerdì scorso c’erano stati scontri fra dimostranti e forze di sicurezza e una decina di morti – e nel quartiere di Kafr Sousah. Altre voci indicavano disordini in alcune moschee della capitale.

Focolai senza incidenti in alcune zone della capitale

Turisti e damasceni poer le vie della capitale siriana (© ap images)

Nessun allarme invece per la la Grande Moschea degli Ommayyadi. Infatti la mattina dell’8 aprile – a differenza della settimana scorsa – molti negozi per turisti erano aperti e la gente passeggiava tranquilla.
Dopo un giro rapido nel quartiere di Bab Srejah, passando davanti alle due moschee di As-Senayahhah e As-Sibayyah, sono andata con un’amica a Kafr Sousah. Un quartiere residenziale a sud ovest della città, dove venerdì 2 aprile, il giorno dei Martiri, dimostranti e polizia si erano scontrati, senza vittime.
POLIZIA ANTISOMMOSSA. Arrivando a piedi dal nuovo centro commerciale Damasqino, intorno alle 12 e 30, le vie erano deserte e la polizia schierata, in tenuta anitisommossa, nella piazza di Shoada’e Qana e intorno alla moschea di Ar-Refa’e. Impossibile fermarsi. Sono passata di nuovo, in taxi, verso le 13 e 15 chiedendo al taxista «shu-fi? Che succede?». Ha risposto tranquillo: «Police? Ah, è perché all’uscita dalla preghiera ci sarà una manifestazione».
Come se fosse la cosa più normale del mondo. Ho chiamato al cellulare Nour che abita a Douma, mi ha risposto rilassata, confermandomi un appuntamento per martedì prossimo.
Le ultime voci in città, riportate da gente che abita a Sousah, riferiscono che «un corteo di un centinaio di persone si è scontrato con la poliza ma non ci sono stati morti, alhamdulihhah». Almeno così assicurano. E dato che in internet circolano notizie di linee interrotte con Douma, richiamo Nour che mi risponde senza problemi. Il mercato popolare di Bab Srejah è colorato e festoso come sempre. La gente fa la fila per comperare il pane appena sfornato e i dolci.

«Riforme senza rivoluzione»

Scontri per le strade di Daraa, nel sud del Paese (© Ap images)

E nel centro storico, si chiacchiera e si passeggia. Prima di rientrare a casa mi fermo al caffè Haretna, dove trovo un gruppetto di conoscenti che m’invitano a bere un caffè. Stanno commentando le ultime riforme di Bashar.
MA A DARAA SI COMBATTE. La cittadinanza siriana concessa ai curdi che vivono nella regione di Al-Hasaka, e ancora lo studio di una legge per eliminare lo stato di emergenza. Commentano un po’ cinici: «Bene, così otterremo altre riforme, senza rivoluzione».
Ormai anche qui, a Damasco, sono arivate le notizie di manifestazioni violente a Daraa e a nord, nelle zone curde, dove sono morte più di una ventina di persone. Ma non sembrano smuovere la capitale.

di Antonella Appiano per Lettera43

Ultimi rumors e…le fonti più attendibili. Vince BBCnews

Ultimi rumors. Sono in molti, a Damasco, a pensare che la sommossa a Dar’aa sia stata strumentalizzata. Da chi? C’è chi crede in un intervento del Mossad. Una Syria nel caos porterebbe infatti molti vantaggi ad Israele.  

La sommossa a Dar'aa il 18 marzo

Nessuno qui a Damasco dimentica la questione non risolta delle alture del Golan. E la capacità di Bashar Assad di rientrare nel gioco della politica estera, grazie all’Alleanza del Nord con Iran, Iraq e Turchia. Alri ancora vedono, nei disordini, un tentativo di dividere in Paese – composto da un mosaico di etnie e minoranze religiose – che fino ad ora hanno convissuto pacificamente.
www.conbagaglioleggero.com/2011/03/melting-pot  

Ma veniamo ai fatti. Ieri sera ho fatto un giro in “Internet” per leggere le news sulla situazione in Siria. Le informazioni più corrette, equilibrate (e più corrispondenti a ciò che ho potuto sentire e sapere qui a Damasco) sono su BBC news, che riporta:
1) Le stime sul numero dei morti di Dar’aa negli scontri di mercoledì, variano (il tam tam appunto vario e contraddittorio). E in attesa di conferme, che per ora non ci sono, si limita a scrivere “parecchi” e non ”centinaia” come ho letto su alcuni quotidiani italiani. BBC:”Gli attivisti sostengono 100, altri 15, il governo 10”. A Damasco circolano altri numeri ancora. Più altri, più bassi.
2) Ieri è stata la portavoce del Presidente Buthaina Shaaban, durante una conferenza stampa (lo aveva già detto Bashar Assad sabato scorso sulla tv di stato aggiungendo che avrebbe creato una commissione di’inchiesta) a negare che il governo abbia dato l’autorizzazione ad aprire il fuoco. Ma ha ammesso “questo non significa che non siano stati commessi errori”.
3) Le  riforme promesse, sono state elencate ancora attraverso il portavoce: aumento dei salari, pacchetto “salute”,  permesso ad altri partiti (per ora solo il Ba’th, al potere dal 1963) di presentarsi alle elezioni. E ancora apertura dei media e soprattutto (un problema caldo) il sistema per combattere la corruzione.  

Io aggiungo. Se è vero che molte riforme – come scrive BBC news – erano già state assicurate 6 anni fa, qualcuna è stata matenuta. Vedi apertura a Internet, www.conbagaglioleggero.com/2011/03/in-siria-facebook-or-not-facebook, la riforma recente della riduzione del perido di leva di 3 mesi (un problema che sta a cuore a molti giovani). E una maggiore apertua della stampa, onestamente, dal 2009 a oggi c’è stata. Anche sui giornali in versione inglese. Syria today e Baladna, quindi a portata degli stranieri. www.conbagaglioleggero.com/2011/03/un-fatto-mille-voci
Ma soprattutto per la prima volta – questo è davvero importante, mi sembra – il governo ha promesso di studiare la necessità di mettere fine allo stato di emergenza (in vigore dal 1963). Una situazione che dà alle forze di sicurezza poteri “illimitati”. Brava BBC che non cerca il titolo sensazionale e valuta con prudenza.
www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-12853634
Riporto, per dovere di cronaca, le manifestazioni di ieri e l’altro ieri a Damasco pro-Assad. Le varie testimonianze che ho raccolto a favore di un processo di democratizzazione del Paese, senza “rivoluzione”. Anzi il timore di tanti di veder precipitare il Paese nel caos.

Un fatto, mille voci

Un fatto è certo: le proteste in Siria non stanno coinvolgendo “le masse”, come è accaduto al Cairo, Tunisi, Manama, Sana’a, Tripoli. I disordini di Homs, Aleppo (non confermati) persino di Dar’aa, dove ha preso fuoco la rivolta più impetuosa, non sono paragonabili, per il numero di persone coinvolte, a quelle degli altri Paesi arabi. Le voci. Tante. Spesso contraddittorie. Un tam-tam d’informazioni. Che arrivano da chi è sul posto, da chi ha parenti o amici che vivono nelle zone “calde”. L’ultima notizia è arrivata stamattina. Altri sei morti a Dar’aa. Ma l’amico di Mohammed, originario della città non vuole raccontare di più. Scappa di nuovo, come ieri sera. “L’unico modo per sapere la verità in Siria – mi dice di nuovo Mohammad, – è esserci. Vedere”.

I media infatti, sono tutti filogovernativi  (non esiste una stampa di opposizione) anche se, dopo due anni, ho verificato che è diventata più aperta e lascia spazio anche a notizie – come quelle sui casi di discriminazione e violenza nei confronti delle donne – che prima non venivano pubblicate.

Le voci, dunque. “Il Presidente ci piace, è amato dal popolo”. “I siriani non seguiranno chi vuole la rivoluzione”. “Sì, il Presidente sta facendo molto per il Paese ma il il gruppo al potere è troppo corrotto”. “Non siamo poveri come gli egiziani, le nostre condizioni economiche e sociali sono migliori, perché dovremmo mobilitarci?”. “Non vedo un gruppo politico in grado di sostituire il governo”. Il governo riesce comunque a tenere uniti e in pace armeni, curdi, drusi, cristiani, musulmani, alawuiti”. “Aleppo? No ci vive mio zio, lo avrei saputo!”. “Dar’aa? Situazione critica, 4 morti, anzi di più”. “Dar’aa? Non tutti, in citta, hanno preso parte alla rivolta”.
Dopo molti no, non so, forse, ora anche a Damasco i rumors concondano nel confermare che un cordone militare circonda la città. L’ingresso è consentito ma solo a chi è in grado di dimostrare ragioni valide. E le comunicazioni telefoniche sono interrotte a causa dell’incendio appiccato dai manifestanti alla sede di Syriatel. Le immagini che arrivano sono degli abitanti che riprendono con il cellulare perché – sembra – nessuna tv ha avuto i permessi (infatti anche Aljazeera si basa su fonti di Agenzia, l’inviata è qui a Damasco).
Il Presidente Bashar al Assad intanto, continua a fare concessioni. Domenica scorsa , con un decreto legislativo, ha ridotto di tre mesi il servizio militare obbligatorio, da 21 a 18 mesi. El l’8 di febbraio aveva fatto riaprire l’accesso ad Internet e ai Social Groups. Ciò che è sempre mancata su larga base – e che in parte continua a mancare – in Siria è una vera cultura del dissenso. Una presa di coscienza del concetto di libertà. Che rimane ristretto a nicchie di élite culturali.

Che succedera? Nessuno può prevederlo. Il fuoco si propagherà a tutto il Paese o si spegnerà? I prossimi giorni sono “cruciali”. I siriani non sono, come d’altra parte noi italiani, un popolo di rivoluzionari. Se non fosse scoppiata la seconda guerra mondiale, penso, ci saremmo tenuti Mussolini. Però l’esempio dei Paesi vicini potrebbe risvegliare ideali sopiti e portare più siriani in piazza. In due settimane le cose sono cambiate nel senso che, al mio arrivo, non si poneva neppure la questione. Ora, pro o contro, i rumors sulla “rivoluzione” percorrono in lungo e in largo la capitale.