Erdogan

un fatto, due opinioni - con Antonella Appiano - F - 10 dicembre 2014

Erdoğan guarda al mondo arabo, non all’Occidente – un fatto, due opinioni – F magazine

Intervista a due per il magazine F – Cairo Editore – 10 dicembre 2014,  a cura di Gaia Giorgetti: il parere di Yasemin Taskin (giornalista turca, corrispondente in Italia, licenziata dal quotidiano filogovernativo Sabah) e Antonella Appiano (giornalista esperta di Medio Oriente e Islam)

un fatto, due opinioni - intervista a due Antonella Appiano - F - 3 dicembre 2014

un fatto, due opinioni – intervista a due con Antonella Appiano – F – 10 dicembre 2014 – versione integrale PDF

Il presidente nemico delle donne allontana la Turchia dall’Europa?

«Le donne non sono uguali agli uomini, ma un gradino sotto: facciano le madri». Lo ha detto il presidente turco Erdoğan al vertice internazionale “Donne e giustizia”.
Nonostante questa deriva islamista, c’è ancora chi, in Turchia, sogna di entrare in Europa. Ma c’è posto a Bruxelles per un Paese che ci discrimina così?


«La Turchia è un Paese musulmano e credo che Erdoğan abbia del tutto abbandonato il suo interesse verso l’Europa: piuttosto, vuole porsi come leader di un nuovo grande Stato neo ottomano. Ha avuto un’uscita molto infelice sulle donne, che ha suscitato l’indignazione delle intellettuali turche. Ma tutti i Paesi dell’area del Mediterraneo e quelli musulmani si fondano su culture patriarcali, dove gli uomini sono padroni. In Turchia, Tunisia, Siria, Marocco le donne stan facendo grandi cose per la loro parità. È un percorso culturale, lungo: non lo fermeranno le parole di Erdoğan». Antonella Appiano è una reporter esperta di questioni mediorientali.

Le parole di Erdoğan sulle donne peseranno sui rapporti con l’Europa?

«È grave ciò che ha detto sulle donne, ma ancora più grave è stata la sua posizione di appoggio allo Stato Islamico. Dalla Turchia transitano molti jihadisti, e questa è una responsabilità gravissima di Erdoğan nei confronti dell’Europa. Tutto questo fa di quel Paese una realtà che guarda non verso Occidente, ma al mondo arabo».

Ma l’Europa ha un interesse strategico, e non solo economico nel riavvicinare la Turchia all’Occidente?

«Non credo, ormai. Né mi pare che vi sia più questo interesse da parte della Turchia: l’asse si è spostato verso Oriente e il premier sempre di più si presenta come un capo autoritario, un leader in linea con quelli dell’area dei Paesi Arabi. L’Europa, d’altra parte, oggi ha interesse piuttosto a guardare a sud, nel Mediterraneo. In questo momento è difficile capire quali saranno e dove si sposteranno le alleanze: tutta la geopolitica mediorientale è in movimento e le alleanza, come abbiamo potuto vedere, sono più fluide che mai».

l’intervista a due in edicola F- magazine – n°49  10 dicembre 2014 – Cairo Editore
(un fatto, due opinioni – F 10 dicembre 2014)

Assad e Erdoğan: c’eravamo tanto amati

Come sono cambiate le relazioni fra i due Paesi dopo le rivolte siriane. La “rivincita” di Bashar dopo gli scontri di Piazza Taksim

Solo pochi anni fa, il primo ministro turco Recep Tayyip  Erdoğan e il presidente siriano Bashar al- Assad erano buoni amici. Ottime relazioni economiche e politiche fra i paesi. E ottime relazioni personali fra le rispettive  famiglie che trascorrevano insieme le vacanze estive. Siriani e turchi passavano da una parte all’altra del confine esibendo soltanto la carta d’identità. Il ministro Davutoğlu faceva spola fra Ankara e Damasco per discutere progetti commerciali di sviluppo e cooperazione. Erdoğan voleva addirittura coinvolgere Bashar in  un accordo con Israele sul Golan. Si racconta che  la celebre teoria dello “zero problemi con i vicini” sia nata proprio pensando a Damasco. Una teoria fondata sul sanare vecchi contrasti e  riallacciare rapporti con tutti i Paesi vicini,  per portare la Turchia al ruolo-chiave di un’area che andava  dai Balcani al Caucaso e dal Mar Nero al Mediterraneo Orientale.

Nessuno allora poteva immaginare scene di proteste, manifestazioni. Repressioni e violenza. Nessuno aveva previsto “le primavere arabe” e nessuno dei due leader avrebbe mai immaginato di poter essere contestato.  Il Sultano Erdoğan si  immaginava leader nel nuovo Medio Oriente: ambizioso, inorgoglito dal fatto che  la stessa Turchia, con un Governo islamico accettato anche dall’Occidente, fosse diventata un modello da seguire per gli stessi paesi arabi. Mentre Bashar al-Assad si sentiva al sicuro nel complesso, sofisticato e ferreo modello di regime ereditato dal padre.

Ma  l’esplodere delle prime rivolte in Siria, nel marzo del 2011, fa crollare l’armonia. Erdogan abbandona presto il vecchio amico. Ankara passa da posizioni  pro-Assad, fiduciose nella stabilizzazione della crisi fino a posizioni di aperta disapprovazione  nei confronti del leader. Erdoğan, chiede più volte la fine delle violenze. Poi si schiera con l’Opposizione,  ne ospita la sede in Turchia, offre rifugio all’Esercito siriano Libero. Crea campi profughi  al confine, una zona-rifugio per la guerriglia, sicuro che  sia necessario poco tempo per abbattere il regime. Un errore clamoroso. Bashar resiste e il Premier turco contribuisce  all’internazionalizzazione delle crisi e, in seguito, della guerra civile, innescata dalla reazione violenta di Bashar al- Assad contro le prime manifestazioni pacifiche. La Turchia, insieme alle Petro-Monarchie, chiede più volte all’Occidente di instaurare  una “no-fly zone”. I due ex amici, attraverso dichiarazioni ai media, non si risparmiamo accuse pesanti e frecciate al vetriolo. Erdoğan definisce Bashar “massacratore del suo popolo”. Bashar lo accusa di comportarsi “come il nuovo sultano Ottomano e di appoggiare,  più di chiunque altro, il  traffico di armi e di terroristi”.

Intanto i turchi cominciano a temere che il Paese possa essere coinvolto nella crisi siriana.  Il 23 novembre 2011 il quotidiano ‘Zaman‘ (filo Akp, il partito del Premier) scrive che «Ankara rischia di essere trascinata nella guerra civile ospitando nei campi profughi  l’Esercito Siriano Libero».

Un  vero e proprio campanello d’allarme sui rischi della posizione politica del Premier. Un sondaggio rivela che più del 60% dei turchi è contrario alla guerra e decine di manifestanti scandiscono slogan contro il premier, prima di essere dispersi dalla polizia con manganelli e lacrimogeni. Incidenti di frontiera fra Siria e Turchia e poi attentati fanno temere il peggio.

Da quel novembre 2012  è passato un anno e mezzo, la Siria brucia. L’intera Regione si è trasformata in una zona di guerra e guerriglia con schieramenti opposti: da una parte il Regime con l’Iran,  la Russia, i miliziani libanesi di Hezbollah, e dall’altro gli oppositori armati, sostenuti da Turchia, Qatar, Arabia Saudita, le potenze occidentali e vari gruppi jihadisti e mercenari.

E la Turchia, è travolta, in questi giorni, da una protesta popolare senza precedenti contro il premier Erdogan, accusato di derive autoritarie e conservatrici.  Piazza Taksim chiama Erdogan “dittatore”  e certo il Rais Bashar al -Assad  si “gusta il piatto freddo della vendetta”,  girando a Erdogan le stesse  accuse ricevute: «Il potere che opprime il suo stesso popolo ha perso la sua legittimità», per esempio.  Sembra un paradosso ma, con poca fantasia, Erdogan si difende accusando i manifestanti, come aveva fatto il Rais «di essere guidati da gruppi estremisti» e «collegati con l’estero». E Bashar al -Assad  invita addirittura i siriani a non andare in Turchia. Una zona a rischio. La tragedia rappresentata  dal popolo siriano e l’angoscia per la sorte di quello turco ci impediscono persino di sorridere. 

Antonella Appiano per L’Indro Assad e Erdoğan: c’eravamo tanto amati  (riproducibile citando la fonte)
Vedi anche:

 

 

 

L’enigma siriano

La rivolta si militarizza, trattative segrete tra ribelli e nuovo governo libico. Di Paola: “ma la Siria non è la nuova Libia”.

In medio Oriente, a volte si ha la sensazione che nessun evento della storia abbia mai un orizzonte finito” aveva scritto scritto Robert Fisk, del quotidiano inglese ’The Independent’, nel celebre saggio ’Cronache mediorientali’. Una definizione perfetta per la crisi siriana: in continua evoluzione, con nuovi scenari ed ipotesi. Tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre gli eventi hanno subito una forte accelerazione con la progressiva militarizzazione della rivolta: imboscate, uccisioni mirate, blitz contro centri di comando.

L’esercito siriano libero- composto da migliaia di disertori dell’esercito regolare al comando del colonnello Riyadh al Asaad – pare sempre più forte e organizzato. Le fonti sull’addestramento dei militari ribelli nella base turca di Iskenderun non sono confermata anche se sembrano attendibili. Dall’altra parte Ankara, dall’inizio della crisi siriana, ha sempre sostenuto le rivolte contro il regime di Assad. In Siria entrano armi di contrabbando già da agosto, ma in questo ultimo periodo l’afflusso attraverso il confine libanese e turco è aumentato. Su ’L’Indro’ avevamo già riportato le tesi opposte sui “finanziatori”. e a fine novembre sul Daily Telegraph è apparsa la notizia di trattative segrete tra i ribelli siriani e le nuovo governo libico che avrebbe offerto armi e addestratori.

Burthan Ghalioun alla guida del CNS ( Consiglio Nazionale siriano) si dichiara contrario agli interventi dell’esercito Siriano libero, ribadendo che “il carattere della rivolta deve rimanere pacifico”. Nello stesso tempo però il CNS, che ha aperto da poco una sede ad Istanbul, chiede con insistenza la creazione di zone cuscinetto all’interno del territorio siriano per dare rifugio ai membri dell’ opposizione siriana”.

Una ’creazione’ che richiederebbe di fatto un intervento militare esterno. “Al momento attuale la Siria non è una nuova Libia. Quello che èstato fatto in Libia non necessariamente si deve ripetere anche in Siria, non c’è nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza e alcuna indicazione dalla Comunita’ internazionale“. Ha riferito a un gruppo di giornalisti italiani ieri (n.d.r 14 dicembre, fonte Adnkronos) il Ministro della Difesa Giampaolo Di Paola, dalla base militare di Trapani Birgi. E le dichiarazioni contro un intervento armato straniero erano state escluse dalla stesa Lega araba.

L’altro evento che ha portato all’escalation della crisi in Siria è stato l’isolamento regionale del Paese. Alla fine del mese scorso la Lega Araba, ha approvato sanzioni commerciali contro il regime di Damasco. Anche la Turchia si è unita alla decisione interrompendo le transazioni con la Banca Centrale del Paese. Un danno economico grave per la Siria che aveva instaurato con i Paesi Arabi e soprattutto la Turchia ottimi scambi commerciali. Ricordiamo che prima della Lega Araba anche l’Ue (Unione Europea) e gli Stati Uniti avevano imposto sanzioni che hanno colpito il settore petrolifero siriano. L’Ue assorbiva infatti circa il 95% delle esportazioni petrolifere siriane, ben un terzo delle entrate di Damasco. Ed è innegabile che un tipo di embargo del genere vada a colpire, prima che il regime, il popolo siriano. A favore della leadership di Damasco continuano a rimanere schierati Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (i cosidetti Paesi BRICS) contrari all’imposizione di altre sanzioni. Anche l’Iran ha intensificato lo scambio economico mentre Russia e Cina hanno posto il veto anche a qualsiasi risoluzione di condanna della Siria in sede ONU.

La Siria e gli altri

Come cambiano le dinamiche fra gli attori internazionali, tra vecchi nemici e alleati storici.

Il premier turco Erdogan e Bashar al-Asad

La Lega Araba sospende la Siria dall’Organizzazione e, il 16 novembre, centinaia di siriani protestano colpendo le ambasciate del Qatar, degli Emirati Arabi, del Marocco. Prima era stata attaccata anche quella dell’ex alleata e amica Turchia. E gli attori sulla scena internazionale si moltiplicano, si schierano, mantengono o cambiano il ruolo.

La Lega araba prima di tutto. La sua decisione può allora essere sufficiente a far cadere Bashar al-Assad? Secondo Robert Fiskè difficile”. Per il giornalista britannico infatti la caduta di Bashar è ancora molto lontana anche se “il tempo a sua disposizione si sta esaurendo rapidamente”. Un consenso inter-arabo anti-Assad rende più difficile alla Russia e alla Cina il sostegno al regime ma, ancora Fisk, dalle pagine dell’’Indipendent, afferma che “ i vertici militari russi non hanno interrotto la fornitura di armi e tecnologia militare alla Siria, che permette alla flotta militare russa di avere un porto (Tartous) sul Mediterraneo”.

La Turchia. Il primo Ministro Recep Tayyb Erdogan ha reagito all’attacco dell’Ambasciata minacciando di sospendere i progetti congiunti di trivellazioni petrolifere e di tagliare le forniture elettriche alla Siria. Un’azione che procurerebbe però un bel danno economico per la Turchia, che ha fatto molti investimenti in Siria. Ankara, d’altra parte, all’inizio delle rivolte ha cercato di convincere Bashar Al- Assad ad abbandonare la via della repressione ma dopo vari tentativi falliti, ha aperto all’Opposizione siriana ospitando vertici e Congressi. E proprio dalla Turchia il 17 novembre il leader del leader dei Fratelli musulmani siriani in esilio, Muhammad Shafqa, ha dichiarato alla stampa che la Fratellanza è favorevole “a un intervento militare straniero in Siria, meglio se turco.

Le opposizioni in Siria. Cosa sta accadendo.

Le “correnti” dell’Opposizione in Siria. La Conferenza di Dialogo Nazionale e la Conferenza di Istambul. Per fare un po’ di chiarezza fra Opposizione e Conferenze.

Damasco piazza Al-Merjeh

Le “correnti” dell’Opposizione organizzata sono tre. Due in Patria e una all’estero.
In patria c’è quella dei dissidenti siriani, composta da circa 200 intellettuali indipendenti, che da marzo, si sono dichiarati disposti a tenere aperto il dialogo con la leadershep di Damasco. Circa 200 personalità e intellettuali fra cui il cristiano Michel Kilo, l’alauita Lu’ay Husayn e l’alauita Aref Dalilah. Gli ultimi due, nell’aprile scorso, avevano incontrato Butayna Sha’ban, la Consigliera Presidenziale, in merito alla “Conferenza di Dialogo Nazionale” promossa dal governo, una novità da parte della leadership al potere, che, prima di oggi, non ha mai riconosciuto alcuna forma di dissenso. Durante la conferenza, che si è tenuta regolarmente a Damasco, dal 10 al 13 luglio, il governo ha ribadito l’impegno a intraprendere riforme politiche. Sono stati invitati esponenti dell’opposizione e della società civile, intellettuali, artisiti e religiosi. Ma Michel Kilo, Fayez Sara, Lu’ay Husayn e Aref Dalilah non hanno partecipato dichiarando che “le condizione necessarie per un vero dialogo sono la fine della repressione violenta e la liberazione di tutti i prigionieri politici”.
Il gruppo di Aref Dalilah” ha proposto al governo una soluzione politica in otto punti. La prima richiesta è appunto la fine delle violenze. E anche una conferenza nazionale in cui siano invitati rappresentati di tutti i gruppi, anche chi organizza le proteste della strada. Questa corrente vuole convincere le autorità di Damasco ad accettare i punti del documento programmatico. E, nello stesso tempo, convincere chi manifesta che, se la leadership accetterà, si aprirà una fase nuova. Il gruppo sottolinea anche il pericolo di un cambiamento parziale, di un “regime change” come è avvenuto in Egitto, dove tuttora non si sono ancora svolte libere elezioni..

La seconda corrente in patria è quella dei“Comitati siriani di Coordinamento locale“, Lccs, una specie di piattaforma che, da maggio, ha riunito gli organizzatori delle manifestazioni anti-regime nel Paese. Anche questo“gruppo” ha proposto un programma politico. In sintesi, chiede, attraverso una transizione pacifica, la fine del mandato presidenziale di Bashar Al- Assad e un cambiamento totale del sistema politico. Secondo un organizzatore della capitale è necessario che le autorità “accettino la richiesta altrimenti il Paese rischia lo scoppio di una guerra civile”. Chi dovrebbe guidare la transizione?

Nel manifesto dei Comitati di coordinamento locale si legge che il compito spetterebbe “ a un comitato composto da rappresentanti civili e militari”, per un per periodo non più lungo di 6 mesi.

Infine c’è l’opposizione all’estero. Molti dei loro esponenti hanno partecipato alla conferenza di Antalya, in Turchia, che si è tenuta dal 31 maggio al 2 giugno. Fra i promotori, i firmatari dell’”Iniziativa nazionale per il cambiamento”. Un gruppo di cira 150 dissidenti siriani- creato da Radwan Zyaada, un 35enne, che vive negli Stati Uniti da 4 anni, ricercatore alla George Washington University- che esclude ogni possibile trattativa con Bashar-al Assad e ne chiede le dimissioni.
Gli oppositori siriani all’estero, circa 300, si sono riuniti di nuovo, sabato 16 luglio in una ”Conferenza di Salvezza Nazionale” ad Istambul , per redigere una road map e creare una “Struttura di coordinamento permanente dell’opposizione”.La conferenza è stata promossa da personalità indipendenti e partiti politici, fra cui, l’avvocato e dissidente storico Haithem Al Maleh. La Turchia – che ospita anche esponenti dei Fratelli Musulmani in esilio- è stata quindi di nuovo sede di un incontro dell’opposizione siriana.

Il cambiamento dell’ atteggiamento del Presidente Erdogan e del suo partito Akp (un partito islamico moderato considerato un modello per una larga fascia dei sunniti siriani e per gli Stati Uniti) nei confronti di Bashar-al-Assad, dopo gli ottimi rapporti degli ultimi anni, secondo alcuni osservatori, è il segnale di una politica espansiva neo-ottomanana del governo di Ankara nell’area del Medio Oriente.