Generale Al Sisi

Egitto. Democrazia Militare - Acconcia Giuseppe - ediz. Exorma

Raccontare l’Egitto- Egitto Democrazia Militare

Egitto. Democrazia Militare - Acconcia Giuseppe - ediz. Exorma

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«Che cosa si dice in Italia del Colpo di Stato in Egitto contro il presidente Morsi»? Mi scriveva Omar, un giovane Fratello Musulmano che avevo conosciuto al Cairo, tre mesi prima di quel 3 luglio 2013. La stessa domanda di molti amici egiziani che non parteggiavano per Morsi ma neppure per l’esercito, come Mahmoud. Insieme con me, il 22 marzo del 2013, aveva visto la polizia assistere senza intervenire alle violenze fra sostenitori e oppositori dei Fratelli musulmani, davanti alla sede principale del braccio politico della Fratellanza, il Partito Libertà e Giustizia, nel quartiere di Moqattam. Era uno di quelli che temeva un colpo di stato.

Rispondevo che l’Italia, come altre cancellerie occidentali, non lo chiamava “colpo di stato”. E che i media mainstream nostrani lo definivano «l’espressione della volontà popolare sostenuta dall’esercito», «una seconda rivoluzione». Che in molti si affannavano a ripetere che la democrazia era rimasta intatta e Omar replicava: «Come possono dichiararlo se un presidente, democraticamente eletto, è stato destituito dai vertici militari con la forza»?

Eppure, in Italia, se cercavi di affermare il contrario eri zittito, spesso attaccato. Per fortuna, Giuseppe Acconcia non si è fatto zittire, non si è “allineato” e ha scritto un libro dal titolo volutamente provocatorio: “Egitto – Democrazia militare”, il primo libro onesto che ho letto sull’Egitto e i suoi cambiamenti negli ultimi quattro anni. Il primo che racconta come il Movimento di piazza si sia trasformato in un Colpo di Stato Militare e come il Paese viva ormai in una condizione di completo controllo politico, sociale e di dura repressione sotto la presidenza di Abdel Fattah al-Sisi: ex generale e membro del Consiglio supremo delle Forze armate eletto, con un voto boicottato dalla maggioranza degli egiziani, il 27 maggio 2014.

Il primo che non minimizza la strage di Rabaa, del 14 agosto 2013: «Non posso cancellare il ricordo del massacro di Rabaa al Adaweya- scrive Giuseppe Acconcia- ottocento settantasette morti (secondo altre fonti, quel giorno, sono oltre duemila e ottocento le persone scomparse) ». Testimone di quell’inferno scrive ancora: «i corpi di decine di ragazzi e uomini adulti, i volti straziati di donne e giovani, il rosso vivo del loro sangue ricordano che queste persone indifese sono state attaccate alle prime luci dell’alba da poliziotti armati fino ai denti, sono stati massacrati da criminali in borghese sguinzagliati alla rinfusa ». Contestavano il colpo di stato e sono stati trucidati. «Che cosa si dice in Italia dei morti di Rabaa? Non me lo chiedeva più Omar, scomparso proprio a Rabaa (sopravvivrà, pur se segnato, a un duro periodo in carcere) ma Ibrahim, del Movimento 6 Aprile, turbato e pentito di aver creduto, in un primo momento, a un’alleanza possibile fra i movimenti civili e i militari. «In Italia, sono apparsi come morti di serie B senza importanza » ho dovuto rispondere.

Ma il reportage di Giuseppe Acconcia, ricercatore e giornalista, sostenuto da una profonda cultura storica e sociale sull’Egitto, ricompone il quadro degli eventi con chiarezza. E come il grande Egisto Corradi – autore della celebre frase, il vero giornalismo si fa consumando la suola delle scarpe – viaggia attraverso il paese raccogliendo testimonianze, preferendo la “presa diretta”, le chiacchierate con la gente, operai, sindacalisti, studenti. Non solo il Cairo dunque, perché non si deve «ingabbiare l’opposizione al regime all’interno di piazza Tahrir». Ma anche Port Said per incontrare le famiglie degli ultras uccisi dagli uomini vicini al Partito nazional- democratico di Mubarak. E ancora le fabbriche di Mahalla al-Kubra, sul Delta del Nilo dove i Fratelli Musulmani sono accusati di «essere dei feloul, uomini del vecchio regime». Il Sinai, terra di jihadisti alleati di volta in volta con contrabbandieri e giovani beduini. E ancora Alessandria e Suez «città di soldati e lavoratori». Una storia costruita “dal basso” attenta ai dettagli, alle sensazioni, agli umori, a tutte le voci. Perché l’autore racconta anche la contestata elezione del presidente Mohammad Morsi, il 30 giugno 2012, gli errori dei Fratelli Musulmani e il fallimento al governo. Un reportage che descrive quattro anni di movimenti sociali e aspirazioni finiti nella repressione», dalle barricate degli attivisti di piazza Tahrir alla strumentalizzazione dei movimenti giovanili, civili, liberal e di sinistra, fino al ritorno all’ordine imposto dalla casta militare con «atti criminali sistematici contro i civili, processi politici, detenzioni di massa, omicidi, minacce, tortura nelle carceri».

Il libro di Giuseppe Acconcia però è ancora altro. Rappresenta un atto di coraggio di onestà e d’indipendenza, in un paese dove molti inviati delle testate a larga diffusione si affidano ai lanci delle agenzie stampa o a fixer di parte senza andare a “ficcare il naso dove succedono le cose” o non sono preparati dal punto di vista storico e quindi incapaci d’interpretare i fatti in maniera corretta. Oppure (e questa è la cosa peggiore) si piegano al servizio della politica, dell’economia, distorcendo l’informazione. Troppo spesso in Italia i mass media riportano concetti facili da assimilare, ripetuti in ogni articolo o notiziario, così da essere introiettati dalla gente, diventando verità impossibili da sradicare. Così, un colpo di Stato militare è definito “democratico”. La repressione con le armi, “ordine pubblico”. Un presidente deposto è subito “ex presidente”. Il massacro di Rabaa, “sgombero”. Gli islamisti, “terroristi” senza distinzioni. «Il massacro di Rabaa ha riportato indietro l’Egitto di decenni – scrive  invece l’autore – alla totale arbitrarietà dell’élite militare, connivente con polizia e giudici. Lo spazio della contestazione da sinistra e da destra, nelle fabbriche e nelle università, da parte dei think tank è ora completamente azzerato. Il modello dominante, forgiato da Sisi, è la guerra generica dello Stato contro il terrorismo».

Che cosa succederà in Egitto? Per ora viene in mente una frase del film La battaglia di Algeri‘ di Gillo Pontecorvo: «Iniziare una rivoluzione è difficile, ancora più difficile è continuarla, e difficilissimo è vincerla. Ma sarà solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà».

Egitto Democrazia Militare di Giuseppe Acconcia
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Dove sta andando l’Egitto?

Fra ondate di ultranazionalismo, autocensura della stampa indipendente, crisi economica, ‘demonizzazione dei Fratelli Musulmani’, in Egitto esploderà una terza rivoluzione? Abbiamo raggiunto, al Cairo, il Professor Gennaro Gervasio, docente di Storia e Politica del Medio Oriente all’Università Britannica per fare un punto sulla situazione.

I giovani di Piazza Tahrir della rivoluzione del gennaio 2011, non sembrano soddisfatti della situazione in Egitto. Di fatto sono stati esclusi di nuovo. Che cosa ne pensa?

Ci sarebbe innanzitutto da chiarire chi siano ‘i giovani di piazza Tahrir’. Una parte di questi avevano tentato la via della politica istituzionale, dei partiti quindi, per ritrovarsi però chiusi e delusi dall’asfissia del vecchio sistema politico egiziano, fatto di accordi sottobanco e di politica personalistica. Altri – compresi molti che non avevano partecipato alla Rivoluzione del 2011 e che si sono attivati solo contro i Fratelli Musulmani – avevano visto il movimento Tamarrod come luogo possibile per ripristinare il processo di cambiamento. Purtroppo, era chiaro che nel Tamarrod coesistevano, in maniera assolutamente opportunista, rivoluzionari, reazionari e ‘indecisi’. Ora quindi, per riassumere, la rivoluzione, intesa come cambiamento socio-economico ancora prima che politico, e riassunta nel famoso slogan ‘pane, libertà e giustizia sociale’ è schiacciata dalla tenaglia delle due forze o raggruppamenti contro-rivoluzionari (Fratelli Musulmani contro militari e reazionari), che si erano già coalizzati in maniera precaria, nel marzo 2011 per bloccare il processo rivoluzionario. E che, in questo momento, sono alla resa dei conti. I Fratelli, con le loro tattiche perdenti, stanno avendo chiaramente la peggio. Un atteggiamento autolesionista, direi, perché rafforza l’idea che li considera ‘terroristi’.

Si parla di un terzo movimento, una piazza che non si colloca né dalla parte dell’esercito né dalla parte dei Fratelli musulmani, sta veramente prendendo piede?
Il gruppo è formato da attivisti che si pongono come obiettivo quello di tornare ai principi originari del 25 gennaio 2011. Ideali di giustizia sociale quindi. Contro la violenza dell’esercito e contro il settarismo dei Fratelli Musulmani. Però è ancora piuttosto limitato.

Secondo lei il  processo di islamizzazione di cui è stato accusato l’ex Presidente Morsi è stato davvero così grave? In realtà  non era stata avviata una ‘dittatura  religiosa’ con i Fratelli Musulmani al potere. Il tanto discusso articolo sulla licenza degli alcolici, per esempio,  mirava a rendere più difficile la vendita degli alcolici, non ad abolirla, e non è stato mai applicato. Anche la Costituzione -fatta approvare in tutta fretta da Muḥammad Morsi, nell’autunno del 2012- non era così  retrograda da implicare una trasformazione radicale, in senso islamico, dei costumi egiziani. La shari’a era la principale fonte della legislazione anche nella Costituzione permanente di Sadat del 1971, emendata in questo senso nel 1980 e valida fino alla caduta di Hosni Mubarak. Il problema, piuttosto, è stato quello della svolta autoritaria dell’ex Presidente Morsi. E’ prevalsa l’ala più conservatrice con  il conseguente  ‘golpe bianco’,  la subordinazione della  Corte costituzionale al Presidente. E l’accentramento del potere. La crisi economica è pesante. Dal  gennaio 2011, l’Egitto ha visto alternarsi Governi di natura diversa, da quello militare a quello islamista, senza però assistere ad un miglioramento delle condizioni socio-economiche della popolazione. Il tasso di disoccupazione è sempre  intorno al 13%, è la Banca Mondiale calcola che un quinto della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Senza dubbio la crisi non migliora con lo stato di emergenza e il coprifuoco. Il Cairo è una città che vive di notte.  Ora il coprifuoco è a mezzanotte (e il venerdì l’orario è rimasto alle 19) ma le attività di ristorazione e commerciali si arrestano molto prima per dare modo alla gente di rientrare. Quindi in pratica alle 10, 10,30. E finché dura l’instabilità politica e i carri armati stazioneranno nelle strade, è impossibile che il turismo prenda piede.  Secondo un portavoce del Governo, lo stato d’emergenza imposto in Egitto il 12 agosto, alla vigilia dello sgombero forzato delle piazze della protesta pro-Morsi, terminerà a metà novembre e non verrà prorogato. Vedremo.. Un altro nodo cruciale dell’Egitto: la libertà di stampa, com’è al momento la situazione? Si sta assistendo ad un incredibile fenomeno di autocensura della stampa indipendente. I giornalisti egiziani si sono uniti al coro della propaganda nazionalista.  Il nazionalismo dilaga nelle strade del Cairo e la stampa indipendente, sembra  affetta da uno ‘strabismo’ che impedisce di vedere. Meglio, a questo punto, la televisione o i media di Stato.   Intanto i  Cinquanta costituenti sono riuniti per riscrivere la Costituzione. Centinaia di studenti dell’Università islamica di al-Azhar al Cairo manifestano per il terzo giorno consecutivo contro il  golpe dei militari che ha deposto l’ex presidente Mohammed Morsi. Una quarantina di studenti sono già stati arrestati ed è stata  rinviata per la terza volta l’inaugurazione dell’anno accademico, per ragioni di sicurezza.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Dove sta andando l’Egitto? (riproducibile citando la fonte)

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il Cairo

Un giorno qualsiasi al Cairo

L’Egitto dopo il golpe, “Si respira una strana aria, come d’attesa

il Cairo

Chiunque abbia vissuto anche solo qualche mese al Cairo non può dimenticare il fascino delle sue notti. Il Cairo, la città che non dorme mai. Notti vivaci a Downtown, a Nasr City, ovunque. Vivaci, piene di musica e chiacchiere. Fumare la “shisha” nei caffè sempre aperti, andare a fare la spesa tardi. «Le facciate dei negozi brillavano con i loro neon così scintillanti da lasciare abbagliati gli occhi. Da un caffé o un negozio vicino si propagava la voce di Karem al Sahar che cantava per la sua amata» scrive Khaled al Khamissi nel suo “Taxi”.

Puoi immaginare ora il senso di straniamento che provo” racconta al telefono Amal, insegnante trentenne che ho conosciuto a marzo e con cui sono rimasta in contatto durante tutta l’estate, dai primi giorni dopo il golpe militare che ha deposto il Presidente Mohammad Morsi. “Le giornate sono caotiche. Girare in città è un’impresa per il traffico intenso. Quindi stress e  tempi di attesa molto lunghi per via del coprifuoco (n.d.r) ridotto l’altroieri di 2 ore,  quindi dalle 23 alle 6) che poi ti blocca in casa. E nello stesso tempo  si respira un’aria strana, come di attesa. Mi sembra che in l’Egitto stia sparendo  il senso di civiltà, di  umanità. Che si stia disgregando il tessuto sociale“.

Uno studente della Cairo University,  Karim,  conferma che le lezioni dovrebbero riprendere regolari. “L’anno accademico è stato fissato per il 21 settembre”. Ma Karim aggiunge: “mi sento smarrito. Sono musulmano non appartengo alla Fratellanza, ho votato Morsi alle Presidenziali ma non ho partecipato ai sit- in pro Morsi. Onestamente avevo paura. Però molti miei compagni di università lo hanno fatto.Fratelli Musulmani ma anche “civili”,  laici come dite voi. Alcuni sono stati arrestati. Il fratello di un mio amico è  stato ucciso da un cecchino, quando i militari hanno disperso con la violenza, il sit-in diRabaa. Mi domando che cosa proverò a tornare all’Università. Riuscirò a riprendere a studiare come se niente fosse avvenuto? Ritrovare la spensieratezza di prima? A un certo punto mi sentivo così impotente e furioso che,  su Facebook,  ho cambiato il mio avatar con quello  delle 4 dita (n.d.r indica supporto al sit -in di Rabaa e viene esibito dai Fratelli Musulmani e  dagli anti-golpe). Ma ho ricevuto molte minacce. E su facebook  sono apparse pagine con numeri telefonici da chiamare per segnalare chi mostra l’ormai famoso avatar“.

Sulla vita quotidiana al Cairo faccio anche qualche domanda a Baraem, blogger italo-egiziana.(http://www.ilmioegitto.blogspot.it/).  Che non ha votato Morsi, non sostiene i Fratelli Musulmani ma sul suo blog-diario ha denunciato la carneficina di Rabaa. Perché come sempre, al di là dei grandi eventi, della grande storia, esiste la  piccola storia di chi è stato coinvolto, a volte travolto, e deve convivere con i cambiamenti.

Che cosa ti spaventa di più, in questo momento d’incertezza e di cambiamento?

“Soprattutto  la sensazione di sospetto, d’intolleranza, a volte di odio, che respiro nell’aria. Ci sono cittadini comuni, civili che aiutano le forze dell’ordine in azioni di sicurezza. Denunce, collaborazioni per arresti arbitrari. Credo che gli egiziani ancora non si rendono conto del pericolo, della deriva che potrebbe sfociare in un aumento della violenza fra la gente.

Se la situazione in Egitto non fosse così grave, la faccenda dei  cittadini-collaborazionisti assumerebbe a volte risvolti comici. Il ‘Telegraph ha riportato la notizia di un egiziano zelante che ha arrestato un cigno e lo ha consegnato alla polizia, nel Governatorato di Qena, a sud del Cairo. Era convinto  che fosse una spia perché il cigno portava un apparecchio elettronico (un normale tracciatore per ricerche sugli uccelli). Chiedo ancora a Baraem, come si vive nella capitale in questi giorni. “Il Cairo una città sempre più stanca, per via di un coprifuoco che sta succhiando l’economia ed il lavoro dei cittadini.  Il Paese non è stabile, ovvio, ed è aumentata la disoccupazione. Molti dipendenti diristoranti e locali sono “in vacanza non retribuita”, i negozi di alimentari, per rifarsi delle perdite serali sugli acquisti, hanno alzato molto i prezzi. Spero che riducendo il coprifuoco la situazione migliori. Oggi ho pagato un kg di patate, 8 lire egiziane. Una follia. In pratica facendo la spesa compro la metà e spendo il doppio di 2 settimane fa. Non ci sono controlli. Ognuno impone i prezzi che vuole.

Altri problemi di vita quotidiana? “La luce, per esempio, che continua a saltare. Nel mio quartiere circa un’ora ogni giorno. Ma mi hanno raccontato che nei villaggi nel sud dell’Egitto è peggio. La corrente s’interrompe anche per un giorno intero, con la  conseguente mancanza di acqua.  Continua Baraem: “soprattutto mi sento stanca. Il dolore stanca. Ne abbiamo visto troppo. Credo che l’Egitto abbia bisogno di pace, di respirare, di riprendersi e gli egiziani abbiano bisogno di fermarsi e capire dove stanno andando. C’è confusione anche fra chi ha partecipato alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Per esempioil leader del Youth Council del 25 gennaio, si è dimesso il giorno prima delle manifestazioni del 30 giugno considerando il movimento Tamarrod (i ribelli) – che ha organizzato la petizione contro Morsi e le manifestazioni del 30 Giugno –antirivoluzionario. Anche molti attivisti sono delusi e preoccupati. (come la celebre blogger e attivista Gigi Ibrahim)

Mentre sul giornale Mas El Youm è apparsa in questi giorno la dichiarazione di Badr, un leader movimento Tamarrod, che  proponeva il generale Al-Sisi come prossimo Presidente egiziano, nel caso  la situazione interna non si stabilizzi. Il gruppo  poi si e’ distanziato dalle sue dichiarazioni considerandole inaccettabili. Comunque chiunque critica le Forze armate è in pericolo.La “Terza Piazza”, quella del Mohandessin al Cairo che rifiuta il regime di Morsi e quello di Al Sisi e’ stata definita “la quinta colonna sionista in Egitto”. E i suoi sostenitori sono considerati traditori.

Nella presentazione del suo Blog, Baraem scrive: «Vivo al Cairo dal 1997, ho partecipato alla la Rivoluzione del 2011 in prima fila, ho pianto di rabbia per le 800 vittime e ho riso di gioia quando il vecchio presidente Mubarak se n’è andato. Ma ora mi chiedo: come sarà  il nostro futuro?  E che cosa e quanto è rimasto del nostro passato?».

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro Un giorno qualsiasi al Cairo (riproducibile citando la fonte)


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