Giordania

Nel turbine della storia- Parte II Le primavere arabe del Mashreq e dei Paesi del Golfo

Una infinità di variabili in Medio Oriente

Bahrein Proteste

Abbiamo già scritto quanto sia difficile analizzare eventi ancora in atto. E’ un momento storico in cui nulla è scontato. Terreno friabile, quello delle rivolte dei Paesi arabi. Un fiume in piena che può deviare il corso molte volte ancora. Che ci costringe a continui aggiornamenti e riconsiderazioni. Tentiamo, comunque, di terminare  la sintesi prendendo in considerazione l’area del Mashreq e quella dei Paesi del Golfo.

Mashreq Per ora è la zona regionale  più problematica  a causa della funzione chiave che svolge in geopolitica. Già a rischio prima delleprimavereper il conflitto senza fine fra Israele e i palestinesi e oggi, più che mai, teatro di scontri non risolti.  In Siria è tuttora in corso una violenta guerra civile,  fra l’esercito, le milizie del regime e i gruppi armati dei ribelli, complicata dalla presenza di combattenti stranieri jihadisti e di frange terroristiche come il Fronte Al Nusra. La Siria si sta disgregando, come ha dichiarato l’inviato delle Nazioni Unite, Lakhdar Brahimi, “la guerra sta distruggendo il Paese pezzo dopo pezzo”.  Una guerra per procura, dove i ribelli sono appoggiati dalla Turchia, dai Paesi arabi del Golfo (Arabia Saudita e Qatar) e dai Paesi Occidentali. E il regime del Presidente Bashar-al Assad, sostenuto dalla Russia, può contare invece sull’Iran e gli hezbollah libanesi. Non possiamo prevedere lo scenario futuro, ma certo una transizione è ancora molto lontana. Ricostruire la Siria sarà una operazione lenta, complessa e costosa in termini umani ed economici. Senza contare il rischio-contagio in Libano e  http://www.lindro.it/il-punto-della-situazione-in-giordania/. Finora le primavere arabe hanno spazzato via i regimi cosiddetti laici. Ma se il conflitto dovesse debordare in monarchie come la Giordania, il puzzle mediorientale cambierebbe di nuovo, assumendo forme nuove.

Area Paesi Golfo. Ad eccezione del Bahrein, le Petromonarchie del Golfo si sono salvate dalle rivolte. Con il denaro proveniente dalle rendite petrolifere infatti,  sono riuscite a tacitare lo scontento dei gruppi di opposizione ‘laica’ che chiedevano riforme.  Il meccanismo di questi stati-provvidenza, come scrive Marcella Emilianisi regge sull’assioma no taxation no representation. Gli autocrati possono cioè permettersi di non concedere alcuna rappresentanza politica nella misura in cui non fanno pagare le tasse”. D’altra parte, l’Arabia Saudita, il Qatar e gli altri stati-provvidenza hanno sempre elargito denaro per garantire la stabilità interna.

Bahrein. Proprio oggi (14 febbraio n.d.r)  si  ‘festeggia’  il  secondo anniversario delle proteste contro  la monarchia sunnita di re Hamad al- Khalifa. La popolazione, formata in maggioranza da sciiti (circa il 70%)  discriminati sul piano sociale, politico ed economico, rivendica diritti uguali per tutti e un vero Parlamento. Ma la monarchia continua ad attaccare i manifestanti, forte anche dell’aiuto dei militari dello Scudo della Penisola (forza congiunta dei Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo) e del silenzio complice dell’Occidente e degli Stati Uniti che, ricordiamo, proprio in Bahrain hanno basato la IV Flotta.
Infine, fa parte geograficamente dei Paesi Golfo ma non è uno stato-provvidenza, lo Yemen, dove si continua a combattere. Uno scontro complesso fra clan, esercito e gruppi di Al Qaida al sud, ed esercito e gruppi sciiti Huti al Nord del Paese. Anche in Yemen, due giorni fa (il 12 febbraio) si è celebrato il secondo anniversario delle rivolte contro l’ex presidente Ali Abdullah Saleh fra scontri nella capitale e nel sud del Paese dove le forze di ordine hanno sparato sulla folla. Durante le manifestazioni i dimostranti hanno chiesto che Saleh venga richiamato in patria e processato.

Dopo l’entusiasmo iniziale di fronte alle rivolte arabe, lo scenario appare senza dubbio instabile anche se sarebbe sbagliato affermare che le “primavere sono sfiorite”. Ci troviamo ancora, come scrisse Ryszard Kapuściński nel “turbine della storia”.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro: Le primavere arabe del Mashreq e dei paesi del golfo (riproducibile citando la fonte)

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Per approfondire:

Medio Oriente: un 2012 di conflitti

Cambiamenti, speranze, violenze, caos

La Siria e una guerra civile sempre più cruenta. Egitto, Tunisia e Libia: rivoluzioni tradite?

 

A picture taken on July 23, 2012 shows a portrait of Syrian President Bashar al-Assad burning during clashes between rebels and Syrian troops in the city center of Selehattin, near Aleppo. Syrian rebels "liberated" several districts of the northern city of Aleppo on Monday, a Free Syrian Army spokesman in the country's commercial hub said.  AFP PHOTO / BULENT KILIC

L’Indro – AFP PHOTO / BULENT KILIC

Il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussenafferma: ”Abbiamo la conferma di nuovi lanci di missili Scud in Siria, testimonianza di un regime disperato vicino al collasso”. Ma il vice presidente siriano Farouk al-Sharaa ha dichiarato qualche giorno fa al giornale libanese ‘Al Akhbar’, che “sul terreno non possono vincere né ribelli né il governo ed è necessaria una soluzione politica”. A una soluzione politica si è appellato anche il Presidente della Commissione d’inchiesta Onu sulla Siria, Paulo Sergio Pinheiro, presentandoi risultati del rapporto a Bruxelles: “Non esiste una soluzione militare al conflitto in Siria. La fine del conflitto non è vicina se le forze in campo continuerannoad affrontarsi con le armi”. Parole che risuonano a vuoto. E sembrano una beffa tragica perché in Siria si muore e “la violenza ha raggiunto picchi di crudeltà elevatissimi con crudeltà incredibili da entrambe le parti in lotta” come ha denunciato ancora Carla Del Ponte, ex procuratore generaledel Tribunale per la ex Jugoslavia (Tpi), oranella commissione d’inchiesta Onu per la Siria. La tanto invocata soluzione politica appare un miraggio. Dopo mesi di fallimenti, pochi giorni fa è saltato infatti anche il verticetra il premier turco Erdogan e il presidente iraniano Ahmadinejad come riferisce ‘Russia Today’. Turchia e Iran.Due attori protagonisti sulla scena siriana.

La Turchia appoggia la guerriglia mentre l’Iran continua a sostenere il presidente siriano Bashar Assade accusa addirittura la Nato di avere messo le basi per una terza guerra mondiale schierando i Patriot in Turchia.

Intanto Putin ha ribadito la contrarietà della Russia a qualsiasi cambiamento che preveda l’uso delle armi oa un ripetersi di uno scenario libico. I rumors sono tanti.I fatti accertati sul campo pochi.

Secondo una inchiesta del ‘New York Times’, i gruppi jihadisti (fra cui il Fronte al-Nusra dichiarato dagli Usa, il 20 novembre scorso, una organizzazione terroristica internazionale) sono ben equipaggiati e i più operativi nei combattimenti contro le forze lealiste. Tanto da aver messo in secondo piano l’Esercito siriano libero (composto dai disertori che per primi,si sono schierati con le armi, appoggiati dalla Turchia, contro il regime).

Continua la lettura su L’Indro http://www.lindro.it/politica/2012-12-21/63263-medio-oriente-un-2012-di-conflitti

In esclusiva per L’indro. Riproducibile citando la fonte.

Operazione Pace in Medio Oriente?

Tra attacchi, rivolte, tregue, stabilità e instabilità regionali, cambiamenti strategici, si aprono spiragli per processi politici stabili. Sperando che non sia l’eterno gioco dell’oca.

L’iniziativa che non è riuscita in Siria ai due inviati speciali dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan e Lakhdar Brahimi, è stata raggiunta con successo dall’Egitto del Presidente Morsi. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, lo ha ringraziato “per essersi assunto la leadership che ha fatto di questo Paese un pilastro per la pace e la stabilità regionale”. Ma neppure Mohammad Morsi, leader dei Fratelli Musulmani e primo Presidente salito al potere in Egitto attraverso elezioni democratiche, avrebbe forse potuto tagliare il traguardo senza l’arrivo al Cairo, ’fulmineo’ e inaspettato, di Hillary Clinton in rappresentanza degli Stati Uniti, da sempre vigili protettori d’Israele. Un segnale forte per Netanyahu. Un altro segnale, la vittoria dell’Islam politico che, senza dubbio, ha cambiato gli equilibri strategici regionali. Oltre alla perdita della Turchia: un alleato che Israele, si è ’giocato’ nel 2010 dopo l’incidente della Mavi Marmara, la nave turca con gli attivisti che portavano aiuti proprio alla Striscia di Gaza. O forse ’Bibi’ ha deciso che in questo momento gli conveniva “provare a fare politica anziché guerre” come gli ha suggerito in una lettera aperta David Grossman? (’Repubblica’ del 6 novembre 2012)

Tregua. Tregua sperata, rinviata, di nuovo raggiunta. Una tregua che invece – per ben due volte – era stata sfiorata, ma subito disattesa in Siria, dove proseguono i combattimenti fra le forze fedeli al Regime e gli oppositori. Una lotta sempre più feroce, senza esclusione di colpi che non sembra trovare una risoluzione anche dopo la nascita, a Doha, della nuova Coalizione dell’Opposizione siriana. La coalizione ha già ottenuto il riconoscimento di gran parte dei paesi occidentali, Francia in testa, ed è guidata dallo sceicco sunnita Moaz al-Khatib, ex imam della moschea degli Ommayyadi di Damasco, che non ha mai nascosto le simpatie per la Fratellanza Musulmana.

Mentre alcuni Paesi si assestano e in Siria continua la cruenta guerra civile, la Giordania dopo due anni di proteste ’soft’ sembra vacillare. Nelle ultime settimane infatti i manifestanti oltre a esprimere malcontento per i provvedimenti economici per la liberalizzazione dei prezzi, cominciano a chiedere la caduta del regime e di re Abdallah. Le proteste, sostenute dai Fratelli musulmani e dai partiti di sinistra, sono state represse con violenza dalle forze dell’ordine. Abdallah riuscirà a mantenere il potere? La partita è aperta.

Tregua raggiunta dunque fra Hamas, che governa la Striscia di Gaza, e Israele. Ma adesso arriva la parte più difficile: trasformare la tregua in un reale processo politico. Altrimenti si continuerà a vivere sul filo del rasoio e sarà sufficiente un piccolo incidente per tornare ai banchi di partenza. Come nel gioco dell’oca. Insomma vorremmo che il sottotesto della parola ’tregua’ fosse ora ’processo di pace’. Quando nessuno più sembrava crederci, forse è possibile.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Operazione Pace in Medio Oriente? , riproducibile citando la fonte.

 

“L’OFFENSIVA SU GAZA, UNA PROVA PER MORSI”

“Esiste una capacità missilistica che Israele credeva smantellata e che ora si è dimostrata, al contrario, potenziata”

Beirut – Incontro Sayyed Ibrahim Moussawi, responsabile del Dipartimento Media e Informazioni e membro dell’Ufficio Politico di Hezbollah, in un palazzo dell’intricata periferia sud di Beirut, storica ’roccaforte’ della comunità sciita.

Ormai è guerra fra Israele e Gaza. E ha un nome, ’Pilastro di Sicurezza’. Dopo l’uccisione, mercoledì scorso, di Ahmed Jabari, capo del braccio militare di Hamas, Ezzedine-al Kassame la successiva pioggia di missili che ieri ha colpito anche la periferia di Tel Aviv, stanno proseguendo i bombardamenti israeliani a Gaza- City: almeno una ventina di morti e centinaia di feriti.

Qui in Libano, il leader del Partito Hezbollah, Hassan Nasrallahha invitato i Paesi Occidentali e arabi a fare pressione sulle Nazioni Unite per fermare l’attacco israeliano. Scambio di accuse delle due parti. Israele minaccia una nuova offensiva via terra delle truppe Tsahal contro Gaza e Hamas ribadisce il diritto di difendersi- dice IbrahimMoussawi. Ma lo scenario, rispetto all’operazione ’Piombo Fuso’ del 2008-2009 è diverso, pur presentando alcuni elementi in comune.

Quali sono le ’costanti’?

Fratelli musulmani: l’eccezione giordana

I rapporti di forza nel Regno Hascemita

Il Pragmatismo politico del Movimento e del Fronte d’Azione Islamico fra potere, necessità storiche e fratture interne.

Nel Regno Hascemita, al contrario della Tunisia, dell’ Egitto, della Siria, i Fratelli Musulmani non sono stati combattuti e costretti alla clandestinità. Anzi, con il partito del Fronte di Azione Islamico, braccio politico del Movimento, fanno parte integrante del sistema politico da almeno sessant’anni e rappresentano la principale forza di opposizione. “Il governo è solido, Abdallah non permetterà che in Giordania accada ciò che è accaduto in Tunisia, Egitto, Siria”, ripete Hamid ogni volta che gli telefono ad Amman. “Ma Hamid che cosa pensi della grande manifestazione del 5 ottobre?”, (i dati ufficiali parlano di circa 15mila partecipanti mentre quelli degli organizzatori, di 50mila). “E’ vero”, ammette riluttante, “c’è una certa lentezza nel procedere con le riforme e le nuova legge elettorale e la gente vuole cambiamenti più radicali. Però Hamid non vuole commentare il fatto che la manifestazione di Ottobre – il giorno dopo lo scioglimento del Parlamento deciso dal Re – è stata promossa dal Fronte di Azione Islamico. Lo scioglimento del Parlamento, precede le elezioni politiche, più volte annunciate, e che dovrebbero tenersi alla fine dell’anno. Quale sarà il peso del Fronte di Azione Islamico nelle elezioni? Avranno lo stesso successo riscosso in Egitto e in Tunisia?

Il Fronte instabile dei Paesi delle Rivoluzioni

Intervista al Professor Massimo Campanini
Il fronte instabile dei Paesi delle Rivoluzioni
Perché hanno vinto i partiti islamici, il ruolo delle Petromonarchie del Golfo. La presenza di gruppi terroristici nei Paesi in via di trasformazione.
“Iniziare una rivoluzione è difficile, ancora più difficile è continuarla, e difficilissimo è vincerla. Ma sarà solo dopo, quando avremo vinto, che inizieranno le vere difficoltà. Sono le parole che – nel film, ’La battaglia di Algeri’ di Gillo Pontecorvo 

Primavere arabe:il punto della situazione

Preoccupa anche la Giordania

’Primavere arabe’: il punto della situazione

L’escalation siriana rischia di creare seri pericoli nei Paesi vicini e nell’intera regione. In Libia, a meno di un mese dalle prime elezioni libere, cade il governo del premier Mustafa Abushagur.

Mitt Romney spara a zero sulla politica estera di Obama in Medio Oriente dichiarando, davanti ai cadetti della Virginia Military Institute, che “il Presidente ha fallito nel trattare la questione siriana”. E non lo risparmia neppure riguardo la Libia, l’Iran e l’Iraq. Bellicoso e sicuro di sé, il candidato repubblicano ha affermato che il fallimento di Washington è totale in Siria, dove più di 30.000 tra uomini, donne e bambini sono stati massacrati dal regime di Assad negli ultimi 20 mesi. La Turchia, nostro alleato, è stata aggredita e il conflitto minaccia la stabilità nella regione”. Affermazioni pesanti, quelle di Romney, che afferma: L’assalto al consolato americano di Bengasi è stato compiuto dalle stesse forze che ci hanno attaccato l’11 settembre 2001. Per questo, il colpevole non può essere un riprovevole video contro l’Islam, nonostante il tentativo dell’amministrazione Obama di farlo”. Ancora critiche. L’Iran non è mai stato così vicino alla realizzazione di armi nucleari e in Iraq ha portato a un aumento delle violenze, al ritorno di al Qaeda, all’indebolimento della democrazia”. Promette di fare di meglio, Romney, e si appella alla necessità “dell’America come guida”.

Ritorna Khaled Meshaal

Un nuovo passo nel processo di pace tra Israele e Palestina ?

Dopo 13 anni di ’esilio’, il capo dell’Ufficio politico del partito islamista di Hamas, KhaledMeshaal, torna in Giordania.

Nato nel villaggio di Silwad, vicino a Ramallah, in Cisgiordania, si era rifugiato in Kuwait con la famiglia, dopo la guerra del 1967. Una laurea in fisica, e un profilo da attivista e leader nel Fronte Islamico, cioè la sezione locale dei Fratelli Musulmani. Poi, alla fine degli anni Ottanta, entra nella direzione esterna del movimento di Hamas. Ma l’Iraq invade il Kuwait eMeshaal insieme a migliaia di profughi palestinesi, si trasferisce in Giordania. Ed è proprio qui che si fa conoscere come esponente di Hamas, portando appoggio esterno al movimento.

Nella capitale giordana di Amman, nel settembre del 1997, sfugge ad un attentato degli agenti del Mossad (i servizi segreti israeliani). Due anni dopo, le relazioni fra la leadership giordana e Hamas si deteriorano, a causa delle pressioni diplomatiche degli Stati Uniti e di Israele sul re Hussein di Giordania. E nel novembre 1999, Khaled Meshaal – anche se possiede cittadinanza giordana- viene espulso dal Paese insieme ad altri rappresentanti del gruppo. Meshaal va a vivere in Siria, a Damasco.

Quale è il ruolo di Meshaal? Volto ufficiale’ di Hamas fuori dalla Palestina, il suo incarico è quello di rafforzare le relazioni con Governi e le Organizzazioni straniere.

Secondo le fonti del ’Jerusalem Post’ il leader “arriverà ad Amman, domenica 29 gennaio grazie ad una mediazione del Qatar. Sarà accompagnato dal principe ereditario dell’Emirato,Tamim Ben Hamad Al Thani, e ricevuto dal re Abdallah e altri responsabili del governo”. Si apre una nuova pagina nei rapporti tra il movimento islamista e il Regno hashemita? Sempre stando alla testatagli incontri non saranno a discapito dell’autorità palestinese che per la Giordania è l’unico rappresentante legittimo del popolo palestinese”. Ma Amman spera in un passo di riavvicinamento tra Fatah e Hamas, i due principali movimenti politici rivali palestinesi. Chissà se il re Abdallah restituirà a Masha il suo passaporto giordano, o gli permetterà di risiedere nel Paese.

La primavera di re Abdallah

Il piano: favorire la classe media e aprire ai privati. “Noi un modello di democrazia per il mondo arabo”

La famiglia reale.

In mezzo al mare in burrasca delle rivoluzioni arabe lui ce l’ha fatta a tenere saldo il timone della nave. Re Abdallah ha dichiarato anzi in una recente intervista che la Giordania diventerà un modello di democrazia costituzionale nel mondo arabo.

Il suo piano? Favorire la classe media, “un ceto medio forte e stabile” e l’apertura al settore privato. Il re ha infatti evidenziato il ruolo economico negli sconvolgimenti dell’area mediorientale: povertà e disoccupazione sono state le cause, ha ricordato, non la politica. Ed è vero che i manifestanti scesi in piazza nel gennaio scorso ad Amman, non avevano chiesto la caduta della monarchia.

Un re piuttosto amato, Abdallah, anche grazie alla carismatica e affascinante moglie Raniache si è sempre battuta per i diritti delle donne e per la modernizzazione del Paese.
E’ salito al trono nel 1999, dopo la morte del padre Husayn. Un diploma in Inghilterra alla St.Edmund’s School, studi universitari negli Stati Uniti, un Master in Relazioni Internazionali presso la Georgetown University: il giovane re aveva dimostrato subito buone capacitaimprenditoriali . Viaggi in tutto il mondo, per convincere gli Stati esteri a incrementare gli investimenti finanziari, e sviluppo del turismo. Un settore che ora rappresenta per la Giordania il 12,4% del Pil, è destinato a crescere anche per l’instabilità della vicina Siria e grazie a un piano quinquennale annunciato in questi giorni dal Ministero del Turismo e delleAntichità. Tra il 2004 ed il 2010, il numero di visitatori in Giordania è cresciuto del 48%, con un aumento dei guadagni passato da 949 milioni a 2.4 miliardi di euro. Nuovo obiettivo è portare il numero di visitatori a 9.4 milioni, raggiungendo un fatturato pari a 4.2 miliardi di euro .

Il re intanto incassa due altri risultati. Dopo la chiusura degli scali siriani, ancora a causa delle tensioni del paese, le navi in ingresso nel porto di Aqaba sono aumentate del 27% e il volume dei traffici è raddoppiato. La Giordania è stata poi inserita nell’elenco dei Paesi indicati dalla Commissione Ue per i prossimi negoziati commerciali con l’obiettivo di firmare accordi di libero scambio. Un bilancio che sembra positivo. Che lo scossone delle ’primavere’, abbia portato Abdallah alla ribalta internazionale?

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/La-Primavera-di-Re-Abdallah (riproducibile citando la fonte)