Isabella Camera d’Afflitto

Mille e una donna: lo Yemen al femminile

 

Sono passati 6 anni da quel giorno. Era il  12 giugno 2009 quando, a Roma, ho conosciuto quattro scrittrici e paladine dei diritti delle donne yemenite. Rileggere le loro dichiarazioni, speranze, fa male oggi.  Lo Yemen è in guerra. Ma è giusto rivedere il passato. La storia,

Su carta e via web la voce delle donne saudite

Samar al-Mogren è stata la prima donna saudita a dirigere una sezione non femminile di un giornale. Ma è stata costretta a dimettersi. Ora lavora per il magazine kuwaitiano ’Awan’, con sede negli Emirati Arabi, e milita per i diritti delle donne nel suo Paese, soprattutto per quelli delle detenute. Sull’argomento ha scritto articoli e rapporti ma perché la sua denuncia avesse più forza e più eco ha scelto anche la via del romanzo. Così ha raccontato la condizione e storie di vita delle donne nelle carceri saudite nel libro ‘Donne del peccato’ (Castelvecchi editore per l’Italia).

Samar punta il dito contro la Commissione per la promozione delle virtù e prevenzione del vizio, un organismo nato nel 1926 che si avvale di una vera e propria ‘polizia religiosa’. I diecimila agenti controllano che i precetti dell’Islam wahabita siano rispettati nel Regno, colpendo uomini e donne quando ritiene che idee e comportamenti non siano conformi alla Shari’a. Ma nell’occhio del mirino ci sono soprattutto le donne. I poliziotti religiosi per esempio possono seguirle per strada, chiedere di coprirsi i capelli che spuntano dal velo, a volte il viso. Arrestare chi – secondo loro- si macchia di colpe contro la morale.

Come scrive Mirella Pecoraro nella rivista di letteratura araba ‘Arablit’, “in Arabia saudita la società si destreggia tra un rigido attaccamento alla consuetudini religiose e la modernizzazione tecnica ed economica che ha favorito una lenta e graduale trasformazione dei valori tradizionali. Un Paese di contraddizioni in cui vi è una netta separazione tra la compagine femminile e maschile, sia in ambito privato, che lavorativo o sociale”.

Giornaliste e scrittrici come Samar si battono ogni giorno proprio contro ogni forma di violenza e discriminazione nei confronti delle donne del Regno. “La letteratura infatti – come scrive Isabella Camera d’Afflitto nell’introduzione alla raccolta di racconti di scrittrici saudite da lei curato ‘Rose d’Arabia’ (edizioni e/o) – nei Paesi in cui non esiste ancora una partecipazione politica delle donne, viene trasformata in foro”.

La narrativa diventa quindi un mezzo di espressione e una ‘cassa di risonanza’ per chi si fa paladina di nuove istanze. Di cambiamento, rinnovamento. Come Badriyya Al-Bashar, un’altra scrittrice saudita. Nata a Riyad, un Master in Sociologia presso la King Saud University e un dottorato di ricerca all’ l’Università Americana di Beirut. Badriyya, che ora insegna al dipartimento di Studi sociali della King Saud University, ha scelto infatti la scrittura per raccontare e far conoscere una realtà a volte contraddittoria e comunque misteriosa come quella dell’Arabia Saudita. Illuminate un suo racconto ‘La bidella’, tradotto in italiano nella citata raccolta.

Poi c’è la cronaca certo. C’è Internet che diffonde rapidamente le notizie. Recente (13 giugno scorso) quella delle attiviste saudite che hanno rilanciato la campagna per conquistare il diritto di guidare. Un diritto che non è negato, in questo caso, dalle leggi del Paese ma da tradizioni e consuetudini sostenute da ambienti religiosi e conservatori. Per farsi sentire le promotrici hanno messo in Rete una Petizione con lo scopo di raccogliere firme, prima di presentarla al re Abdullah .

Il 17 giugno scorso la Campagna per le donne al volante ha compito un anno. Tra le firmatarie Sheima Jastaniah, condannata a dieci frustate per aver sfidato il divieto e graziata dal sovrano, nel novembre dello scorso anno. E Manal al Sharif, arrestata nel maggio del 2011 dopo aver messo su Youtube un video che la riprendeva mentre guidava l’auto e rimessa in libertà dieci giorni dopo.

Nella petizione si chiede al Re Abdullah di appoggiare la campagna ‘Guiderò la mia auto’, sottolineando che questo diritto è negato alle donne solo in base “a costumi e tradizioni che non derivano da Dio”. Manal ha scritto sul suo blog “Il movimento è la prima goccia che scatena la pioggia, ma senza donne consapevoli e disposte a pagare un prezzo, e senza il sostegno di tutta la società civile, la lotta sarà lunga e incerta”.

Le battaglie sono comunque difficili quando la tradizione è più forte della legge o della religione stessa, e questo purtroppo accade ancora in molti Paesi musulmani. E non solo.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro http://www.lindro.it/su-carta-e-via-web-la-voce-delle-donne-saudite/ (riproducibile citando la fonte).