Islam politico

L’Egitto e l’Islam politico

Intervista a Massimo Campanini

 

Gli eventi  in Egitto hanno riacceso il gran dibattito fra gli studiosi sulla ‘morte dell’Islam politico’ e sulla ‘fine dei Fratelli musulmani’. Un fallimento profetizzato già da Olivier Roy agli inizi degli anni ’90 e sconfessato dalla storia. Si sa che perdere una battaglia non significa perdere la guerra. E le analisi che mostrano un Islam politico alla fine del percorso, sono certo premature.

Fratelli d’Egitto

Fratelli MusulmaniChi sono i Fratelli Musulmani? Perché fanno così paura all’Occidente? I rapporti tra la Fratellanza e gli Stati Uniti

Bisogna conoscere il passato, la storia, ma anche seguirne i cambiamenti, il flusso, senza fossilizzarsi, per provare a capire qualcosa della realtà in cui viviamo. Scrive polemica, la storica e analista politica Paola Caridi a proposito dei Fratelli Musulmani«L’interpretazione, la vulgata, varia dal ‘sono terroristi, sono Al Qaeda, sostengono Ayman Al Zawahri’ al ‘fanno il doppio gioco, non usano la violenza ma la userebbero, e se anche non la usassero, farebbero un califfato, uno stato islamico’».

Un passo indietro. Il movimento dei Fratelli Musulmani è stato fondato in Egitto nel 1928 da Hasan al-Banna.  E segna la nascita del moderno Islam politico. Un piccolo gruppo quello degli Ihkwan, che si è trasformato presto in una potente organizzazione, da sempre osteggiata e combattuta dai regimi arabi. L’ideologia della Fratellanza è basata sulla concezione secondo cui l’Islam è la soluzione a tutti i problemi individuali, sociali e politici. E il successo del Movimento si spiega proprio con la combinazione di questi fattori.  Sul piano ideologico Massimo Campanini – esperto in pensiero politico islamico- ricorda il filosofo egiziano Hasan Hanafi che sosteneva: «l’Islam contemporaneo è vivo perché è l’unico sistema politico e ideologico che non si è arreso alla visione del mondo dominante imposta dall’Occidente». I Fratelli Musulmani «rappresentano un movimento conservatore e tradizionale ma non radicale, attento alle classi sociali deboli. La Fratellanza musulmana mira ad una “islamizzazione che parte dal basso“, su base popolare, attraverso l’educazione, la propaganda negli strati sociali e rifiuta la lotta armata».

 Hassan al Banna, fondatore dell’Ikhwan, è certo ancora molto importante per i membri della Fratellanza ma decenni di evoluzione della dottrina ne hanno limato intransigenze e anacronismi. C’è stata una modernizzazione necessaria. L’organizzazione rimane un movimento islamico fedele alla tradizione ma attento ai cambiamenti epocali: dogmatismo religioso unito al pragmatismo e alla flessibiltà. Ha mantenuto il sistema socio-economico che sta alla sua base, mirato a fornire una risposta reale alla fascia delle aeree degradate con servizi sanitari e di educazione. La Fratellanza in Egitto ha infatti da sempre sostituito uno stato sociale inesistente. Per farlo si è servito anche delle Moschee, che sono diventate così uno strumento di diffusione delle idee religiose e politiche. Ora al passa parola attraverso la moschea si aggiunto quello on line. Con una strategia comunicativa proliferata sul web 2.0, una maggiore attenzione alla propria immagine. Un linguaggio più vicino ai giovani. Pur non tradendo il caposaldo dell’importanza della Sharia (la legge islamica).

Un altro mito da sfatare: la credenza diffusa che i rapporti fra Washington e la Fratellanza egiziana, siano nati da poco, sull’onda delle ‘primavere arabe’. Invece, senza contare che l’Organizzazione era già presente negli Stati Uniti dagli anni Cinquanta, è necessario ricordare che tutte le amministrazioni Usa, anche quelle di Bush hanno sostenuto i regimi al potere negli Stati arabi senza mai tagliare i ponti con i Fratelli. Sempre Paola Caridi cita uno dei tanti cablogrammi resi pubblici da Wikileaks.  E’ del 2006 e arriva dall’Ambasciata del Cairo«Il regime di Mubarak», dice il cablo «ha una lunga storia di far aleggiare davanti a noi, la minaccia dell’uomo nero-Fratellanza Musulmana. O me o un regime islamista, magari simile all’Iran khomeinista. O me oppure il caos. O gli affari con me, oppure scordatevi l’Egitto». 

In realtà gli Stati Uniti si sono trovati impreparati alla svolta rapida in Egitto. E lo ha dimostrato il Presidente  Barak Obama indeciso fino all’ultimo se sostenere la Rivoluzione egiziana in nome  dei valori universali americani della libertà o continuare ad appoggiare Mubarak. Ma con la Fratellanza al potere, Obama ha dovuto per forza stringere un patto di alleanza per proteggere Israele. In questi ultimi tempi, la luna di miele sembra raffreddata. Obama è preoccupato per la tensione sociale che non si allenta e che non sembra garantire una stabilizzazione del Paese.  Diffida della Fratellanza ma non può farne a meno. Almeno per ora.

Antonella Appiano per L’Indro Chi Sono i Fratelli Musulmani (riproducibile citando la fonte)

Vedi anche:

 

Islam politico e guerra dei media

L’Egitto e la Tunisia dopo la fine delle autocrazie ’laiche’

Le vittorie dei Fratelli Musulmani e di En-Nahda sono un insuccesso? E intanto in Siria continua la battaglia mediatica.

Proteste e scontri in Egitto e in Tunisia. Scelte sbagliate del presidente Morsi che dopo essere stato ’acclamato’ per la mediazione – conclusa con successo – nelle trattative della tregua tra Israele e Hamas, è contestato dalla Piazza. Certo, una mossa poco saggia quella di reclamare i pieni poteri. E di imporre una nuova costituzione che riprende pesantemente la Shari’a. Gli egiziani hanno già dimostrato di non essere più disposti ad accettare dittature e il Paese sta vivendo una grave crisi economica e sociale. Ma il percorso da una autocrazia a un governo che garantisca ’democrazia’, sia pure declinata secondo l’Islam politico richiede tempo. Passaggi obbligati. Forse è presto per dire che la partita è persa. Anche in Tunisia dove, ricordiamo, dopo la cacciata di Ben Ali, ha vinto un governo di coalizione con a capo il partito religioso En-Nahda (Rinascita), sono ripresi scontri e proteste. Però En-Nahda deve mediare con il gruppo più radicale che fa parte della coalizione. E i compromessi storici, si sa, non sempre hanno successo. Certo il momento è importante: se fallisce anche l’Islam politico che cosa succederà in questi Paesi così vicini all’Italia e all’Europa? L’instabilità è un lusso che non possiamo permetterci.

Intanto non si profila nessuna soluzione per la Siria. Il generale prussiano Otto von Bismark diceva: “Non si mente mai come per una battuta di caccia, una donna o una guerra”Siria e armi chimiche. Quale verità? In questi giorni le dichiarazioni e le smentite riguardo all’arsenale chimico in possesso dalla Siria – e che potrebbero essere usato contro i civili – si rincorrono. La ‘BBC’ (attingendo a fonti del Foreign Office) riporta che la leadership di Damasco è pronta farne uso. Il regime dichiara invece di essere contrario all’uso di armi a base di gas contro la popolazione. Anzi, accusa il gruppo jihadista Fronte al-Nusra di controllare una fabbrica di cloro.

Sul terreno appare ormai chiara l’avanzata degli oppositori armati. Non solo al confine con la Turchia, ma anche intorno a Damasco. Gli Stati Uniti continuano ad esprimere la preoccupazione che le armi finiscano in mani estremiste. Ma questo, in parte, è già avvenuto. In uno scenario post-Assad quindi le incognite sono tante. I vari gruppi – o parte dei gruppi che compongono la resistenza armata – potrebbero continuare a combattere. La nuova coalizione eletta a Doha, è davvero in grado di controllare il territorio? Di far deporre le armi? E si dibatte sul ruolo della Russia. Sta allontanandosi dal regime? Mentre nel nord del Libano, a Tripoli, si acutizzano gli scontri fra fazioni pro e contro Bashar Al-Assad. Fonti libanesi parlano di una quindicina di morti nell’ultima settimana.

Dal web continuano ad arrivare tweet e video di cui è impossibile accertare la fonte. Anche i bambini non sfuggono alla strumentalizzazione. Bambini avvolti da bandiere del regime o dell’esercito siriano libero che guardano in telecamere, recitando slogan. E’ davvero l’immagine più triste.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro: Islam politico e guerra dei media, riproducibile citando la fonte.

 

Operazione Pace in Medio Oriente?

Tra attacchi, rivolte, tregue, stabilità e instabilità regionali, cambiamenti strategici, si aprono spiragli per processi politici stabili. Sperando che non sia l’eterno gioco dell’oca.

L’iniziativa che non è riuscita in Siria ai due inviati speciali dell’Onu e della Lega Araba, Kofi Annan e Lakhdar Brahimi, è stata raggiunta con successo dall’Egitto del Presidente Morsi. Il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, lo ha ringraziato “per essersi assunto la leadership che ha fatto di questo Paese un pilastro per la pace e la stabilità regionale”. Ma neppure Mohammad Morsi, leader dei Fratelli Musulmani e primo Presidente salito al potere in Egitto attraverso elezioni democratiche, avrebbe forse potuto tagliare il traguardo senza l’arrivo al Cairo, ’fulmineo’ e inaspettato, di Hillary Clinton in rappresentanza degli Stati Uniti, da sempre vigili protettori d’Israele. Un segnale forte per Netanyahu. Un altro segnale, la vittoria dell’Islam politico che, senza dubbio, ha cambiato gli equilibri strategici regionali. Oltre alla perdita della Turchia: un alleato che Israele, si è ’giocato’ nel 2010 dopo l’incidente della Mavi Marmara, la nave turca con gli attivisti che portavano aiuti proprio alla Striscia di Gaza. O forse ’Bibi’ ha deciso che in questo momento gli conveniva “provare a fare politica anziché guerre” come gli ha suggerito in una lettera aperta David Grossman? (’Repubblica’ del 6 novembre 2012)

Tregua. Tregua sperata, rinviata, di nuovo raggiunta. Una tregua che invece – per ben due volte – era stata sfiorata, ma subito disattesa in Siria, dove proseguono i combattimenti fra le forze fedeli al Regime e gli oppositori. Una lotta sempre più feroce, senza esclusione di colpi che non sembra trovare una risoluzione anche dopo la nascita, a Doha, della nuova Coalizione dell’Opposizione siriana. La coalizione ha già ottenuto il riconoscimento di gran parte dei paesi occidentali, Francia in testa, ed è guidata dallo sceicco sunnita Moaz al-Khatib, ex imam della moschea degli Ommayyadi di Damasco, che non ha mai nascosto le simpatie per la Fratellanza Musulmana.

Mentre alcuni Paesi si assestano e in Siria continua la cruenta guerra civile, la Giordania dopo due anni di proteste ’soft’ sembra vacillare. Nelle ultime settimane infatti i manifestanti oltre a esprimere malcontento per i provvedimenti economici per la liberalizzazione dei prezzi, cominciano a chiedere la caduta del regime e di re Abdallah. Le proteste, sostenute dai Fratelli musulmani e dai partiti di sinistra, sono state represse con violenza dalle forze dell’ordine. Abdallah riuscirà a mantenere il potere? La partita è aperta.

Tregua raggiunta dunque fra Hamas, che governa la Striscia di Gaza, e Israele. Ma adesso arriva la parte più difficile: trasformare la tregua in un reale processo politico. Altrimenti si continuerà a vivere sul filo del rasoio e sarà sufficiente un piccolo incidente per tornare ai banchi di partenza. Come nel gioco dell’oca. Insomma vorremmo che il sottotesto della parola ’tregua’ fosse ora ’processo di pace’. Quando nessuno più sembrava crederci, forse è possibile.

di Antonella Appiano, in esclusiva per L’Indro Operazione Pace in Medio Oriente? , riproducibile citando la fonte.

 

L’alternativa islamica, tra fede e politica

I fatti di Bengasi, l’Islam politico e le Primavere arabe

’L’alternativa islamica’, tra fede e politica

Violenza, libertà e rispetto: qualche considerazione con l’aiuto del professor Massimo Campanini

Nel saggioL’alternativa islamica, il professor Massimo Campanini -esperto in pensiero politico islamico e in movimenti radicali contemporanei – cita Hasan Hanafi, filosofo egiziano del Novecento che sosteneva: l’Islam contemporaneo è ancora vivo perché è l’unico sistema politico e ideologico che non si è arreso alla visione del mondo dominante imposta dall’Occidente”.

La Primavera non è finita: alla ricerca dell’equazione fra Islam e democrazia, un processo di cambiamento lungo e attualmente in atto.

“Primavere sfiorite”. “La Primavera è diventata autunno”. “Scenari inediti per il mondo arabo”. “La vittoria dell’Islam politico nelle Primavere”. I titoli dei quotidiani di tutto il mondo si sprecano in questo periodo, dopo circa una anno e mezzo dal fermento cominciato il 17 dicembre 2010, con il suicidio a Sidi Bouzi in Tunisia, del fruttivendolo Muhammed Bouazizi. Un atto, un’azione che si è tramutata subito in agitazione a onda lunga e che ha sollevato e scosso i Paesi della sponda sud del Mediterraneo (Egitto, Libia Marocco), continuando inarrestabile il suo cammino a est, in Siria, Yemen, Bahrein.

Anche se la situazione è ancora fluida e i contesti differenti, si possono però fare alcune riflessioni ed evidenziare alcuni punti. In Tunisia, le elezioni sono state vinte dal partito islamista En-Nahdah (Rinascita, Rinascimento). I deputati dell’Assemblea Costituente hanno mantenuto l’articolo 1 sulla laicità dello Stato, che non prevede quindi la Sharia, resistendo alla spinte estremiste dei Salafiti. In Libia, dove è avvenuta ‘l’invasione di campo’ da parte dell’Occidente (Nato) che si è appropriato del processo rivoluzionario con l’intervento militare, la situazione è caotica.

Morto Muammar Gheddafi, cacciata la dittatura, la Libia non ha ancora un governo né un esercito regolare. La sicurezza è affidata a milizie armate e il paese è diviso in fazioni e tribù. Per il 7 luglio è prevista l’elezione di 200 membri dell’Assemblea Costituente.

Yemen. Dopo 22 anni di dominio Alì Abdullah Saleh ha lasciato il Paese sotto la protezione degli Stati Uniti e dell’Arabia Saudita. Ma il potere è nelle mani del suo vice e uomo di fiducia, Abd Mansour Hadi, vincitore di un’elezione presidenziale-farsa (anche se controllate dagli Stati Uniti) in cui era presente lui come unico candidato. Intanto sono riprese le proteste in piazza perché il popolo vuole Salehrientri in Yemen per essere processato. E nel sud del Paese, come scrive Jonathan Steele sul ‘TheGuardian’, “sventolano le bandiere nere di Al Qaeda”. Anzi di Aqpa, nata nel gennaio del 2009 dall’unione della sezione saudita e yemenita dell’organizzazione creata da Osama Bin Laden. “In questa parte dello Yemen – si legge ancora sul ‘Guardian’ – sparisce la presenza del governo. La sicurezza è gestita alle milizie jihadiste e i servizi pubblici sono affidati a un emiro”.

In Marocco re Mohammed IV ha reagito con solerzia alle richieste del popolo che nelle piazze di Casablanca, Marrakech e Rabat scandivano lo slogan “vogliamo un re che regni ma che non governi”. Il re ha quindi emendato la Costituzione e ha sottoposto la riforma il primo luglio 2011 a un referendum popolare. Alle elezioni ha vinto il partito islamista Giustizia e Libertà.

Bahrein. Un caso insolito. Le manifestazioni contro la Monarchia, sedate con l’intervento militare dell’Arabia saudita, si sono svolte nel silenzio dei Media. La maggioranza della popolazione sciita sta chiedendo da oltre un anno alla monarchia sunnita riforme e pari opportunità ai cittadini.

Siria. Il processo storico nel Paese è “più in atto che mai”, anche perché dopo 18 mesi dall’inizio delle prime manifestazioni il presidente Bashar Al-Assad è ancora al potere.

La crisi si è internazionalizzata. E gli eventi si complicano ogni giorno di più. E incalzano. Mentre scriviamo, su richiesta della Turchia, l’Alleanza Atlantica si è riunita a Bruxelles per discutere del recente abbattimento del caccia turco Phantom F-4 da parte della contraerea siriana. “La Nato valuterà la situazione alla luce delle informazioni disponibili. Ankara sosterrà che l’aereo si trovava nello spazio aereo internazionale, mentre il governo di Damasco afferma che il jet era penetrato in quello siriano”. (fonte AGI).

In Egitto, i ragazzi di piazza Tahrir – promotori e anima della Rivoluzione che ha portato alla caduta di Hosni Mubarak, l’ex Generale dell’aviazione rimasto al potere per 30 anni – non hanno saputo trasformarsi da forza propulsiva a organizzazione politica. Così al potere per tutti questi mesi di transizione è rimasto l’esercito, con Mohammed Hussein Tantawi, non solo comandante in capo dell’Esercito, ma ministro della Difesa e della Produzione Militare, nonché presidente della Corte suprema. Carica di cui si è servito per sciogliere nei giorni scorsi il Parlamento (eletto il gennaio) in cui la Fratellanza musulmana godeva di una forte maggioranza. La corte ha anche ammesso al ballottaggio per le Presidenziali il candidato dell’esercito Ahmed Shafik. Le elezioni sono state vinte dal candidato dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsy, che rimane però senza il Parlamento, già conquistata dalla Fratellanza.

Fin qui un riassunto dei fatti. Tanti. Non ancora del tutto inquadrabili e definitivi. Una, almeno, la riflessione obbligatoria. La vittoria in Tunisia, Marocco ed Egitto di partiti islamisti e dell’Islam politico rende l’Occidente inquieto. Soprattutto per la grande confusione che si fa tra partito islamista ’moderato’ – confessionale dunque – e movimento estremista, se non terrorista. Tanto rumore per nulla dunque, per parafrasare Shakespeare?
Secondo la tesi formulata dallo studioso Olivier Roy, sì. Roy, infatti, già nel celebre saggio ’L’echoc de l’Islam politique’ affermava che il “mondo arabo vive ormai in una fase post-islamista derivata dal fallimento dell’Islam politico. Una fase che ha spezzato il legame fra impegno religioso e rivendicazione politica”.

Lo studioso Massimo Campanini, autore del saggio ’L’alternativa islamica’, sostiene invece che per quanto la tesi del post-islamismo “contenga una parte di verità perché durante le manifestazioni tunisini ed egiziani chiedevano ’Pane, giustizia e libertà’, quindi rivendicazioni del tutto laiche. Tuttavia, quando il movimento rivoluzionario si è istituzionalizzato l’Islam è tornato alla ribalta”. Ma c’è Islam e Islam. E senza dubbio la vittoria dei partiti islamisti è avvenuta soprattutto per ragioni sociali e politiche (le organizzazioni dei Fratelli Musulmani o di Ennahda, hanno sempre svolto un’azione sociale, di supporto e aiuto alla popolazione più povera) e identitarie.

E il 70% della popolazione nel mondo arabo ha meno di 25 anni. Una nuova generazione che fa comunque parte della società globale e rivendica una democrazia declinata secondo le proprie esigenze e non imposta dall’Occidente. Anche questi giovani, o almeno una parte, hanno votato per i partiti islamici. Dovranno essere loro, come protagonisti dell’Islam politico (post o comunque rinnovato) a dover cercare l’equazione fra Islam e democrazia. Cambiamenti, contraddizioni, incertezze. Ma la regione mediorientale sta vivendo un momento storico. È in fase di transizione. L’Occidente non deve trarre conclusioni affrettate. E soprattutto non deve intervenire per guidare i processi di cambiamento, piegandoli alle proprie visioni.

Antonella Appiano in esclusiva per L’Indro La primavera non è finita (riproducibile citando la fonte)